A causa di una poco felice posizione geografica ed il
susseguente clima estremo, il subcontinente indiano è spesso vittima di
catastrofi naturali di grandi proporzioni.
Con il lento ma progressivo sviluppo del paese, negli
ultimi decenni le vittime ed i danni causati in India sono sempre inferiori,
seppur stiano invece aumentando i gravi incidenti causati dall’uomo, che spesso
hanno devastanti conseguenze.
Gli eventi più catastrofici sono la siccità, le inondazioni
ed i terremoti, che possono provocare elevatissimi numeri di vittime.
La disponibilità d’acqua in India dipende dalle estive
piogge monsoniche, purtroppo spesso erratiche a causa di peculiari condizioni
atmosferiche, in particolare l’influenza del Nino.
Ancora oggi un monsone debole od assente è in grado di
creare notevoli danni all’agricoltura e quindi all’economia del paese, mentre
fino al non lontano 1943, ripetute annate senza pioggia causavano tremende
carestie che mietevano milioni di vittime.
Se la siccità è solitamente la causa primaria dello scoppio
delle carestie, nel subcontinente spesso hanno influito anche le inondazioni,
soprattutto nell’area del delta del Gange occupato dal Bengala Occidentale e
dal Bangladesh, in grado di distruggere completamente i raccolti.
Stando ai dati delle voci di Wikipedia in inglese, tra le
20 peggiori carestie della storia, ben 7 sono avvenute in India, nei tre secoli
tra il 1630 ed il 1943, anno dell’ultima grande carestia del Bengala.
La più grave avvenne nel periodo tra il 1789 ed il 1792 nel
centro-sud della penisola indiana e fu causata da interferenze del Nino che
annullarono le piogge monsoniche per alcuni anni di fila.
Il numero di vittime è stato calcolato in circa 11 milioni
di persone, catastrofe che si può anche intuire dal nome con cui è nota, Skull
Famine, per la quantità di ossa che giacevano nelle strade e nei campi.
Tra i dieci disastri naturali che hanno colpito il pianeta
e causato il maggior numero di vittime, ben 3 eventi, dal V al VII, sono stati cicloni
abbattutisi nell’Oceano Indiano.
Il Ciclone Bhola del 1970 è stato il più distruttivo e
colpì principalmente il Bangladesh (al tempo ancora Pakistan Orientale), causando
la morte di circa 375 mila persone, o comunque un numero compreso tra i 250 ed
i 500 mila.
Il Ciclone di Coringa del 1839 colpì in particolare la
cittadina di Coringa in Andhra Pradesh e provocò la morte di 300 mila persone,
numero simile stimato anche per il Ciclone di Calcutta, che colpì il Golfo del
Bengala del 1737.
Altri devastanti cicloni si verificarono: in Bangladesh nel
1991, causando circa 140 mila vittime; nella città di Bombay, sulla costa
opposta, nel 1882, con 100 mila morti; ed infine il Ciclone del Bengala del
1874, che fece circa 80 mila vittime.
Purtroppo, nel non lontano 2004, alla lista delle inondazioni
causate dai cicloni si è aggiunta la voce tsunami, con quello dell’Oceano
Indiano che causò circa 280 mila morti, di cui alcune decine di migliaia in
India.
Come accennato in un post specifico sull’argomento, al
quale rimandiamo per ulteriori dettagli (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2017/03/i-terremoti-in-india.html),
il subcontinente indiano è spesso colpito da potenti terremoti, che causano la
morte di migliaia di persone, oltre a creare ingenti ed estesi danni.
Il terremoto più catastrofico per numero di vittime fu
quello che colpì il Kashmir pakistano nel 2005, causando poco più di 85 mila
morti, mentre in territorio indiano si ricorda tristemente il terremoto del
Gujarat del 2001 che fece circa 20 mila vittime.
Per quanto riguarda catastrofi di minor entità, l’India non
è particolarmente prona a tragedie legate a tempeste e valanghe, non possiede
vulcani attivi ed anche le ondate di caldo, che hanno causato circa 2.500 morti
sia nel 1998 che nel 2015, sono ben lontane dai dati di quelle che hanno
colpito Europa e Russia nel 2003 e 2010, con 70 e 56 mila vittime.
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