venerdì 30 settembre 2016

Il cobra reale in India

KingCobraFayrer.jpgIl cobra reale (ophiophagus hannah) è il serpente velenoso più lungo al mondo arrivando a raggiungere e superare i 5 metri.
Considerato una specie vulnerabile, quindi relativamente in salute, il cobra reale vive in India, nel sud-est asiatico, compresa la zona meridionale della Cina, in Indonesia, Malesia e Filippine.
Come si deduce dal nome scientifico del genere cui appartiene, ophiophagus, e di cui è l’unica specie, il cobra reale si nutre prevalentemente di altri serpenti velenosi, in particolare colubridi.
Il suo morso è particolarmente pericoloso, non tanto per la tossicità del veleno, comunque potente, quanto per la quantità che il cobra reale è in grado di iniettare con un singolo attacco, seppur la nozione secondo la quale possa uccidere perfino un elefante sembra però essere esagerata.
Per fortuna comunque, gli attacchi nei confronti degli esseri umani non sono moltissimi e pare siano abbastanza spesso morsi privi di veleno.
Attualmente esistono due antidoti, uno sviluppato dalla Croce Rossa thailandese ed uno da un centro di ricerche indiano, e sono entrambi efficaci, ma devono essere iniettati con discreta celerità visto che il veleno può essere letale anche nell’arco di mezz’ora.

Fisicamente, come detto, il cobra reale può raggiungere e superare i 5 metri, rendendolo il serpente velenoso più lungo al mondo, sebbene non il più pesante, visto che il crotalo diamantino orientale e la vipera del Gabon, sono leggermente più corti ma più robusti.
Il colore può variare dal giallo al verde o dal marrone al nero, con gli esemplari più vecchi solitamente più chiari.
Com’è noto, quando si sente in pericolo assume la sua caratteristica postura alzandosi per circa un terzo della sua lunghezza ed allargando la testa formando un ampio “cappuccio”.
Il suo sibilo è leggermente differente da quello degli altri cobra, ha una tonalità inferiore e sembra quasi un gorgoglio, fatto che spesso può ingannare gli esseri umani durante i pur rari incontri.

Culturalmente, i serpenti in India sono legati a numerose antiche tradizioni come quella dei Naga, divinità o entità celesti che prendono la forma di serpenti, spesso appunto il cobra reale, e sono presenti sia nell’induismo che nel buddismo e lo jainismo.
Tra le divinità induiste, bisogna poi aggiungere la particolare relazione tra i serpenti e le divinità Vishnu e Shiva, anche se in realtà non viene quasi mai indicata la specie precisa di appartenenza, ma considerando il cobra reale, appunto il re dei serpenti indiani, c’è da immaginarsi che è a lui che si faccia riferimento.
Il dio Vishnu, ad esempio, viene spesso rappresentato sdraiato su Ananta Shesha, il serpente a 5 o 7 teste, presumibilmente un cobra reale, sul quale Vishnu riposa beatamente durante la stagione delle piogge.

Shiva, invece, viene considerato il signore degli animali, in particolare di quelli velenosi, sui quali possiede un enorme potere derivatogli dalle sue pratiche ascetiche.
I suoi stessi ornamenti sono infatti un cobra che gli cinge il collo a guisa di collana ed altri più piccoli intorno agli arti, come bracciali e cavigliere.
Durante il mese indiano di Shravan, tra Luglio e Agosto, considerato mese propizio per Shiva e per i serpenti, che escono dalle loro tane che iniziano ad allagarsi a causa delle piogge monsoniche, i luoghi sacri a Shiva diventano meta di numerosi incantatori di serpenti che portano in giro i loro animali per elargire benedizioni ai devoti indù.
In particolare il quinto giorno di luna piena di Shravan viene chiamato Nag Panchami (da naga, serpente e panchami, quinto giorno di luna piena) ed è dedicato alla venerazione dei serpenti, tra cui spesso magnifici esemplari di cobra reale.

Nel jainismo e nel buddismo, talvolta le statue dei tirthankar (profeti jaina http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/04/breve-cenno-alla-religione-jaina.html) e di Buddha sono sormontate da serpenti a una o più teste (solitamente dispari), che proteggono la figura seduta a gambe crociate.

Nel buddismo è piuttosto noto Mucalinda, considerato il re dei serpenti, che protesse il Buddha mentre era in meditazione sotto all’albero di bodhi prima dell’illuminazione.

mercoledì 28 settembre 2016

Il rinoceronte indiano

Dürer's Rhinoceros, 1515.jpgIl rinoceronte indiano (rhinocheros unicornis) è un grande mammifero che vive, purtroppo sparsamente, nelle pianure del sud del Nepal, nel nord della pianura gangetica e negli stati indiani del West Bengal e dell’Assam.
Seppur il suo areale originario coprisse tutta la zona settentrionale del subcontinente indiano, dal Pakistan agli stati più orientali dell’India, oggigiorno sono rimaste solo 11-12 piccole popolazioni selvatiche, di cui: 4 in Assam, 2 in West Bengal, 2 in Uttar Pradesh e le rimanenti 3-4 in parchi naturali nepalesi.
Il totale è di circa 3.300 esemplari, divisi in circa 2.600 in India e 700 in Nepal, seppur le stime attualmente disponibili non siano precisissime.

Grazie a vari sforzi per la sua protezione, ad esempio quasi tutti gli individui vivono in zone protette, oggigiorno la popolazione di rinoceronti indiani è in leggero aumento un po’ ovunque, ed è considerato una specie vulnerabile dall’IUCN (International Union of Conservation of Nature), a soli due passi dal rischio minimo e ben cinque dall’estinzione.
Essendo quasi tutti i gruppi residenti in parchi nazionali, dove quindi l’habitat rimane pressoché immutato, il pericolo più grande per la conservazione del rinoceronte indiano rimane il bracconaggio, a causa dell’utilizzo di molte sue parti, soprattutto il prezioso corno, nella medicina tradizionale cinese.

Fisicamente il rinoceronte indiano è di dimensioni molto simili, ma di poco inferiori, al rinoceronte bianco africano, con un’altezza di circa 2 metri, una lunghezza di 3 metri e mezzo ed un peso tra i 2.200 ed i 2.600 chilogrammi.
Come si deduce dall’epiteto del nome scientifico, unicornis, il rinoceronte indiano possiede un unico corno di cheratina sulla punta del muso, rispetto ai due dei cugini africani.
Essendo un animale erbivoro, ha udito ed olfatto eccellenti, ma scarsa vista e riuscendo a correre fino a circa i 40 km/h può essere piuttosto pericoloso nel caso sia confuso e decida di caricare.
Gli incidenti sono comunque piuttosto rari, dati il loro numero ridotto e la loro indole tendenzialmente docile.

Compiendo semplici safari a dorso d’elefante, è piuttosto facile riuscire ad individuarne qualche esemplare all’interno del Parco Nazionale di Chitwan in Nepal, come anche al Kaziranga National Park dell’Assam, in India.

martedì 27 settembre 2016

La cittadina di Mussorie

Le cosiddette “hill stations” sono delle stazioni di montagna che gli inglesi fondavano in territorio straniero durante il periodo coloniale, per sfuggire al caldo spesso torrido delle località di pianura.
In particolare in India, data la lunga afa estiva e la presenza di varie catene di colline e montagne, i britannici poterono sbizzarrirsi nel cercare piccole località dal clima salubre e fresco.
In realtà questa tradizione era già diffusa tra i principi locali che regnavano in precedenza sull’India, ma raramente erano in possesso di territori molto vasti, mentre gli inglesi avevano a disposizione tutto il subcontinente indiano.
La Hill Station per antonomasia è sicuramente Shimla (per dettagli http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/la-citta-di-shimla.html), che per alcuni decenni fu vera e propria capitale estiva dell’Impero Britannico in India ed è ancora oggi un’apprezzata meta di villeggiatura estiva tra gli indiani benestanti delle vicine città di pianura, come Delhi, Chandigarh ed Amritsar.

Seppur di minor prestigio, sulle colline dello stato dell’Uttarkhand, si trova Mussoorie, un’altra rinomata località di montagna, molto apprezzata anche per la vicinanza con le pianure e la facilità nel raggiungerla.
Situata ad un’altezza di circa 2.000 m s.l.m., e con una popolazione di poco più di 30 mila abitanti, Mussoorie venne fondata da Frederick Young un irlandese della Compagnia delle Indie Orientali, intorno al 1820, con lo scopo di andare a caccia nelle vicine foreste.
Alcuni anni dopo, a Mussoorie doveva terminare un importante studio sulla geografia del subcontinente indiano e vi si stabilì per ben 11 anni il geografo gallese George Everest, in onore del quale, nel 1865, verrà chiamato il monte più alto del mondo.
Tra le altre curiosità degne di nota, stando alla voce wikipediana inglese dedicata alla cittadina, nel 1850 a Mussoorie venne fondata la prima birreria in India, mentre è ben più noto che circa un secolo dopo, nel 1959, Mussoorie ospitò brevemente il Dalai Lama in esilio dal Tibet, prima che venisse scelta Dharamsala (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/luoghi-sacri-buddisti-xi-parte.html) come sua residenza permanente.

Al giorno d’oggi Mussoorie, grazie al buon clima, ai bei panorami, alle piacevoli passeggiate ed ai verdeggianti dintorni ha raggiunto una tale notorietà tra i ricchi indiani che in estate e durante le feste viene letteralmente presa d’assalto da orde di turisti che ne rovinano chiaramente l’atmosfera.
In questi periodi, anche i pur numerosi alberghi offrono camere a prezzi esagerati, perdendo il buon rapporto qualità-prezzo che li distingue invece nei periodi di bassa stagione.
La scelta culinaria non subisce invece cambi stagionali ed è decisamente buona e varia, e non è neppure difficile mangiare della buona carne e bere qualche birra in locali gradevoli.

I turisti indiani, che sono la maggior parte dato che Mussoorie è scarsamente visitata da stranieri, spendono le giornate a gironzolare pigramente lungo The Mall, la via principale, oppure girando in macchina tra le colline in cerca di cascate e punti panoramici.
Come la sua più nota sorella di Shimla, The Mall è piacevolmente chiusa al traffico durante l’alta stagione, rendendo la passeggiata tra la due piazze principali da questa unite, piuttosto piacevole, con lunghe file di alberghi, ristoranti e negozi che si alternano con ben più interessanti scorci sulle montagne a nord e sulla pianura in basso.
A circa metà si trova una semplice cabinovia che porta sulla cima della vicina Gun Hill, la collina più alta di Mussoorie da dove un tempo gli inglesi facevano scoccare il mezzodì con un potente colpo di cannone, da cui il nome.
Chiaramente è possibile salire anche lungo un ripido sentiero, la cui fatica per percorrerlo verrà ampiamente ripagata dal paesaggio.
Oltre alla frequentata The Mall, vi è anche un’altra strada quasi parallela, che unisce le due piazze principali di Mussoorie, Gandhi Chowk e Kulri Bazar, e chiamata Camel’s Back Road, per la presenza di una formazione rocciosa che ricorda la schiena di un dromedario.
Qui la presenza di alberghi e ristoranti è decisamente minore e ci si potrebbe dedicare, oltre alla vista delle montagne, ad un po’ di birdwatching alla ricerca di alcuni dei numerosi uccelli che vivono nella zona.
Purtroppo, scorrendo lungo il versante nord della collina sulla quale sorge Mussoorie, la Camel’s Back Road viene raramente raggiunta da caldi raggi solari, che specialmente in inverno sarebbero molto apprezzati.

Tra le mete turistiche più frequentate dei dintorni vi sono: le Kempty Falls e le Bhatta Falls, delle cascate in mezzo a verdeggianti colline; il Lake Mist ed il Mussoorie Lake, due piccoli specchi d’acqua dove vengono affittate imbarcazioni e pedalò; la casa di George Everest, situata in un punto molto panoramico; il Childer’s Lodge, un’ampia proprietà situata di nuovo in un’area dal notevole paesaggio; ed il Tibetan Refugee Centre, dove si trova un tempio buddista tibetano, probabilmente il primo costruito in India, nel 1960.

Come già accennato, a Mussoorie sono presenti moltissimi alberghi, spesso ospitati in grandi palazzi coloniali dotati di ampie camere, alti soffitti e spesso una bella vista, e che durante la bassa stagione invernale propongono prezzi davvero interessanti.

lunedì 26 settembre 2016

Il delfino del Gange

Schnabeldelphin-drawing.jpgIl delfino del Gange, più propriamente chiamato platanista, è una delle due sottospecie di platanista gangetica e vive in India, Bangladesh e Nepal.
Il nome scientifico è platanista gangetica gangetica, per distinguerla dal platanista gangetica minor, chiamato anche delfino dell’Indo, che vive invece in Pakistan.
Tra le due sottospecie non esistono comunque evidenti differenze fisiche.
Posseggono un lungo e caratteristico muso appuntito, e raggiungono dimensioni di circa 2 metri nei maschi e 2 metri e mezzo tra le femmine, grazie al fatto che in quest’ultime il rostro continua a crescere per tutta la vita mentre nei maschi la crescita si interrompe una volta raggiunti i circa 150 centimetri di lunghezza.
Ultima curiosità fisica, essendo i suoi occhi sprovvisti del cristallino, il platanista è essenzialmente cieco e riesce appena a distinguere l’intensità e la direzione della luce.
Questo comunque non è assolutamente un handicap, visto che per muoversi e, soprattutto, per cacciare carpe e pesci gatto, insieme ad altre specie di pesci e gamberetti, il platanista usa l’ecolocazione (un sonar biologico sviluppato da alcuni mammiferi, tra cui notoriamente i pipistrelli).

Come tutti i delfini di fiume (ne esistono anche alcune specie in Sud America), i platanisti asiatici sono tra gli animali a maggior rischio di estinzione, tanto che infatti il lipote (lipotes vexillifer), o delfino del fiume Yangtze (il Fiume Azzurro), è stato considerato estinto in Cina nel 2006.
I pericoli più grandi derivano principalmente dall’uomo: al suo uso smodato delle risorse idriche, all’inquinamento, alle reti da pesca, ma soprattutto alla costruzione di numerose dighe che di fatto sbarrano il percorso di questi piccoli cetacei, isolando e frazionandone le fragili popolazioni.
Nonostante questo, al giorno d’oggi il platanista è considerato una specie in pericolo dall’IUCN (International Union for Conservation of Nature) esattamente a metà della scala a sette gradini, ad ancora quattro passi dall’estinzione.
Infatti, prendendo come esempio il delfino dell’Indo in Pakistan, sebbene il suo areale sia diminuito notevolmente, attualmente è presente in almeno tre zone dove la popolazione è piuttosto stabile e raggiunge il numero di circa 1.200 individui.
Purtroppo essendo una specie ancora poco studiata esistono anche pochi programmi di conservazione, portati avanti soprattutto dal WWF e limitati principalmente ad educare le persone che vivono nei pressi delle aree dove sono rimaste attive le ormai rare popolazioni di delfini.

Il platanista del Gange vive in India, Nepal e Bangladesh: nel fiume Gange in India, in alcuni suoi affluenti in Nepal, nel corso finale del Brahmaputra in India, nel grande delta composto da quest’ultimo ed il fiume Meghna in Bangladesh e nel bacino idrico dei fiumi Karnaphuli e Sangu sempre in Bangladesh.
Un’ultima popolazione di circa una cinquantina di individui vive nel fiume Chambal (già noto per ospitare anche il raro gaviale: http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/i-coccodrilli-in-india.html), che scorre tra gli stati indiani del Rajasthan, Uttar Pradesh e Madhya Pradesh, e sfocia nel grande fiume Yamuna (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/06/il-fiume-yamuna.html), l’inquinamento del quale però da molti anni rende la vita dei platanisti quasi impossibile.
A causa degli ancora scarsi studi specifici, non sono disponibili dati recenti ed attendibili sull’attuale popolazione di delfini del Gange, che comunque, dato il più ampio areale rispetto a quello dell’Indo, dovrebbe essere maggiore e dovrebbe superare i 2-3 mila individui.

Un inaspettato aiuto per la conservazione del  platanista gangetico potrebbe essere la religione, grazie ai numerosi sforzi che si stanno iniziando a fare per ripulire le acque del sacro fiume Gange.

In realtà non esistono particolari riferimenti ai delfini gangetici nell’induismo, ma sicuramente potrebbero trarre un notevole vantaggio da un minor inquinamento delle acque del Gange e dall’interrompere la costruzione di nuove dighe e canali, estremamente dannosi per il proliferare dei delfini.

sabato 24 settembre 2016

Gli Ottomila nepalesi

Com’è noto, le montagne più alte del mondo si trovano in Asia; di queste 14 formano il cosiddetto gruppo degli Ottomila, in quanto la loro altezza supera appunto gli 8.000 metri.
Ben nove di queste vette sono situate nella zona centro-orientale dell’Himalaya, una nell’area occidentale, mentre le altre quattro fanno parte del gruppo montuoso del Karakorum.
Gli stati che ospitano i 14 Ottomila sono quattro: Pakistan, India, Nepal e Cina.
Tra questi il Nepal è la casa di ben otto delle dieci vette più alte, che lo rendono quindi il paese degli Ottomila per eccellenza.
In realtà, come succede ad esempio anche in Europa con la vetta del Monte Bianco divisa tra Italia e Francia, alcune di queste cime sono condivise con altri stati, per l’esattezza quattro con la Cina ed una con l’India, mentre tre fanno parte esclusivamente del Nepal.
Partendo dalle più alte: il Monte Everest è condiviso con la Cina, il Kangchenjunga con l’India, quindi Lhotse, Makalu e Cho Oyu di nuovo con la Cina, Dhaulagiri I, Manaslu ed Annapurna I interamente in Nepal.
A rendere il Nepal la patria degli Ottomila bisogna anche aggiungere che le vette condivise con la Cina sono più facili da raggiungere dal versante nepalese, dove le montagne iniziano non molto lontano da piccoli centri urbani, mentre dal lato cinese ci si avvicina solo dopo centinaia di chilometri di desertico ed inospitale altopiano tibetano.

Il Monte Everest, chiamato Sagarmatha in Nepal e Chomolungma in Cina, con i suoi 8.848 metri è notoriamente la cima più alta del mondo e quindi meta ambitissima di alpinisti di tutto il pianeta.
La prima ascensione avvenne già nel lontano 1953, da parte del neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tensing Norgay ed al 2010 sono state più di tremila le persone che hanno raggiunto la cima, con una percentuale di successi di poco inferiore all’80%.
A causa della sua notorietà, l’Everest è però spesso anche meta ambita di alpinisti non abbastanza esperti e sono numerosissimi gli incidenti mortali che si sono verificati negli ultimi 40 anni, con circa 300 persone che hanno perso la vita durante l’impresa.
Tra le cause più comuni, oltre all’inesperienza, vi sono il mal di montagna, le tempeste, i crepacci e le valanghe, forse il pericolo più temuto visto che riescono spesso in un colpo solo a spazzare via decine di vite umane.
Tristemente famosa fu quella del 25 Aprile 2015, causata dal potente terremoto nepalese (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/il-terremoto-nepalese-del-2015.html), che colpì il frequentato campo base dell’Everest uccidendo 22 persone delle circa 200 che si trovavano in zona.
Bisogna infatti aggiungere che il campo base dell’Everest è meta ambita anche di semplici trekker, dato che è possibile avvicinarsi in aereoplano o in bus fino ad alcuni paesini a pochi giorni di cammino dai percorsi dai quali è possibile ammirare qualche panorama della sua vetta.

Il K2 (8.611 metri), secondo monte più alto al mondo, si trova nel Karakorum ed è diviso tra Pakistan e Cina, quindi è una delle due tra le prime dieci montagne a non interessare il Nepal.
Per onor di cronaca riportiamo comunque alcune curiosità: intanto ricordiamo che la prima ascensione, nel 1954, fu compiuta dagli alpinisti italiani Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.
L’indice di mortalità del K2 è il terzo tra gli Ottomila, dopo l’Annapurna I ed il Nanga Parbat, ed è l’unica tra le 14 vette più alte a non essere stata ancora scalata in inverno.
Probabilmente bisognerà aspettare un’impresa di un altro italiano, Simone Moro, alpinista di fama mondiale per essere stato il primo a scalare ben quattro Ottomila in inverno: Makalu, Nanga Parbat, Gasherbrum II e Shishapangma.

Con un’elevazione di 8.586 metri, il Kangchenjunga è la terza montagna più alta al mondo, la più orientale Ottomila ed è condivisa tra il Nepal e l’India.
La prima ascesa avvenne 1955 da parte di due scalatori inglesi, George Band e Joe Brown, i quali però si fermarono volutamente a pochissimi passi dalla cima per una promessa fatta all’allora Re del Sikkim che gli aveva accordato il permesso di scalare la montagna.
Pare che la tradizione sia seguita ancora oggi, quindi tecnicamente la vetta del Kangchenjunga rimane inviolata.
A causa della posizione in un’area del Nepal (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/trekking-in-nepal.html) ancora arretrata e poco sviluppata per il trekking, e dell’asperità delle montagne dal lato indiano, il Kangchenjunga non è molto frequentato dai trekker e rimane in gran parte un’attrazione per i numerosi turisti che si recano a Darjeeling, nello stato indiano del West Bengala, o sulle montagne del Sikkim.

Il Lhotse, il Makalu ed il Cho Oyu, quarto, quinto e sesto tra i monti più alti del pianeta, sono condivisi tra il Nepal e la Cina, come l’Everest, e si trovano non molto lontano da quest’ultimo.
Anche queste cime sono più facilmente raggiungibili dal versante nepalese, ma non godono della stessa attenzione riservata al loro più prestigioso vicino.
La prima loro ascesa venne effettuata: nel 1956 il Lhotse, nel 1955 il Makalu e nel 1954 il Cho Oyu, rispettivamente da due scalatori svizzeri, due francesi e due austriaci, questi ultimi accompagnati da uno sherpa nepalese.

La settima, l’ottava e la decima tra le montagne più alte del mondo sono tutte e tre completamente in territorio nepalese, e sono intervallate al nono posto dal Nanga Parbat, situato in Pakistan nella regione del Gilgit-Baltistan, nella zona più occidentale dell’Himalaya.
Gli 8.126 metri di altezza del Nanga Parbat ((letteralmente Montagna Nuda) sono stati scalati per la prima volta nel 1953, in solitaria, da Hermann Buhl, leggendario alpinista austriaco che nel 1957 conquisterà per primo anche il Broad Peack, 8.051 metri, insieme ad altri tre compagni del suo paese, ma morirà poche settimane dopo nel vicino Chogolisa (7.654 metri) a causa del maltempo e di una valanga.
Come già accennato, il Nanga Parbat è il secondo Ottomila per indice di mortalità; tra le vittime illustri, nel 1970, anche Gunther Messner, fratello del più noto Reinhold, che nella stessa scalata perse ben sette dita dei piedi.

Il Dhaulagiri I, il Manaslu e l’Annapurna I si trovano a poca distanza tra loro nell’area centro-settentrionale del Nepal.
Il Dhaulagiri I, con 8.167 metri di altezza, è la settima cima mondiale e venne scalato per la prima volta nel 1960 da una spedizione mista che portò sulla vetta due austriaci, due nepalesi, uno svizzero ed un tedesco.
Il Manaslu (8.163 metri) è il più orientale dei tre ed è situato nella zona settentrionale del distretto di Gorkha, a metà strada tra la capitale nepalese Kathmandu e la cittadina turistica di Pokhara (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/la-citta-di-pokhara.html).
Venne scalato per la prima volta nel 1956 dall’alpinista giapponese Toshio Imanishi e lo sherpa nepalese Gyalzen Norbu.
L’Annapurna I, decima montagna più alta al mondo con 8.091 metri, fu il primo Ottomila di cui fu raggiunta la cima, nel lontano 1950, dalla coppia di scalatori francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal.

Tra i trekker queste tre montagne sono piuttosto note per essere visibili lungo il percorso di trekking di 2-3 settimane che scorre attorno al massiccio dell’Annapurna e chiamato appunto periplo dell’Annapurna.
Il Manaslu si trova a est della parte più orientale del trekking, mentre nella zona più occidentale, dove il percorso costeggia il fiume Kali Gandaki, è situato quello che viene considerato il canyon più profondo al mondo, la cosiddetta Gola del Kali Gandaki, che separa le cime del Dhaulagiri (8.167 metri) a ovest e l’Annapurna I (8.091) a est.

Grazie alla notorietà dei trekking, spesso anche molto semplici, in tutta l’area del massiccio dell’Annapurna, queste ultime tre cime sono probabilmente tra le vette himalayane più apprezzate e fotografate. 

giovedì 22 settembre 2016

Breve cenno ai shaligram

Shaligram è il nome dato alle conchiglie fossili di colore nero rinvenibili sulle rive del fiume Kali Gandaki,

in Nepal, specialmente nelle zone più remote tra le alte montagne himalayane.
Oltre ad un certo interesse geologico, secondo la religione induista i shaligram sono considerati una rappresentazione aniconica (senza forma) del dio Vishnu.

Biologicamente i shaligram sono fossili di ammoniti risalenti al giurassico, per l’esattezza circa 100 milioni di anni fa, e si tratta di varie specie di molluschi caratterizzati da una conchiglia esterna.
La maggiore parte dei shaligram più comuni sono cocci neri tondeggianti che vengono spaccati a metà per svelare il fossile al loro interno.
I più comuni sono quelli rotondi spiraliformi, ma se ne trovano anche ovali o allungati.

Dal punto di vista religioso, l’uso dei shaligram pare sia stato diffuso intorno al IX secolo dal filosofo Adi Shankaracharya nel suo riuscito tentativo di rivitalizzazione dell’induismo.
In particolare i shaligram vengono citati in due suoi commentari di antichi testi, il Taittirya Upanisad, forse creato attorno al VI-V secolo a.C., ed il Brahma Sutras, un testo le cui origini vengono individuate, molto approssimativamente, tra il 450 a.C. ed il 200 d.C., dove l’uso di questi fossili nella devozione verso Vishnu viene considerata una pratica antichissima.
In Nepal, dove vengono rinvenuti la maggior parte dei shaligram, vi sono ancora alcuni rari templi in cui la divinità principale è venerata sotto forma di grandi fossili.
Nonostante un eccessivo sfruttamento potrebbe in futuro far diminuire la disponibilità di shaligram, al giorno d’oggi sono ancora diffusissimi nei negozi turistici e religiosi di tutto il Nepal a prezzi modici, comunque variabili in base a dimensioni, conservazione e rarità.

mercoledì 21 settembre 2016

La storia del topo

House mouse.jpgC’era una volta un topolino, che decise di avere per moglie la figlia dell’essere più potente, così si recò alla corte del re e si propose per sposare la principessa.
“Sua Maestà, visto che siete il più potente dell’universo, voglio sposare vostra figlia”, disse risoluto il topolino.
Il re però rispose “Ti sbagli, amico mio, il sole è molto più potente di me”.
Così il topolino andò dal sole e gli disse “Voi siete più potente del re, per favore, lasciate che sposi vostra figlia”.
Il sole scrollò la testa “Ma le nuvole sono più potenti di me”.
Quindi il topolino si recò dalle nuvole a chiedere la loro figlia in sposa, ma queste risposero “In realtà noi non siamo così potenti, il vento ci sposta continuamente, lui è più potente di noi”.
Sentito questo, il topolino andò dal vento e gli chiese “Per favore, lasciate che sposi vostra figlia”.
“Piccolo amico, io non sono così forte come credi, – disse il vento – per quanto possa soffiare, non riesco mai a strappare via l’erba. Quindi l’erba è più forte di me”.
Il topolino si rivolse allora all’erba che gli disse “I topi continuano a scavare sotto di me e mi mangiano le radici, loro sono più potenti di me”.

A quel punto il topolino si convinse che nessuno era più forte dei topi e sposò una topolina.

domenica 18 settembre 2016

Storia del passero e del fagiolo perduto

Una mattina un passero trovò un fagiolo, lo nascose su un ponte, quindi scese al fiume per bere, contento per aver trovato qualcosa da mangiare.
Una volta tornato sul ponte scoprì che il suo fagiolo era sparito e vedendo un muratore camminare verso di lui, gli si avvicinò e gli disse “Ho perso il mio fagiolo, per favore, aiutatemi a trovarlo!”.
Il muratore rispose “Ma chi vuoi che si metta ad aiutare un passero...” e proseguì per la sua strada.
Nel frattempo il passero vide un soldato che avanzava sul ponte, gli andò incontro e gli fece la stessa domanda, ma ricevette la medesima risposta.
Poco dopo passarono sul ponte un generale e quindi un ministro, ai quali il passero chiese aiuto ma anche loro non si degnarono neppure di fermarsi.
Il passero stava iniziando a disperarsi, quando vide arrivare il re in persona a dorso di un grande elefante, gli si avvicinò per chiedere aiuto, ma il re fece finta di non sentire.
Completamente frustrato, il passero si posò sulla ringhiera dove in quel momento stava passando una formica, che vedendo il passero disperato gli chiese cos’era successo; una volta venutone a conoscenza, la formica gli disse “Non ti preoccupare, in qualche modo troveremo il tuo fagiolo”.
Quindi pensò per qualche secondo, salì sull’elefante e gli disse “Dì al re di aiutare il passero a trovare il suo fagiolo, altrimenti ti entro in un’orecchio e ti mordo”.
L’elefante spaventato si voltò verso il re “Sua Maestà, aiutate il passero a trovare il fagiolo, se no vi scaravento a terra”.
Il re fu molto sorpreso, chiamò il ministro e gli ordinò “Aiuta il passero o ti licenzio”.
Il ministro allora chiamò il generale e gli disse “Fa ciò che ti dice il passero, altrimenti per te saranno guai”.
Il generale quindi si rivolse al soldato con un ordine esplicito e questi andò dal muratore dicendogli “Se non trovi il fagiolo, ti impicco su questo stesso ponte”.

Il muratore cercò per quasi mezza giornata, ma alla fine trovò il fagiolo ed il passero ebbe finalmente il suo pasto.

giovedì 15 settembre 2016

I coccodrilli in India

Il gaviale
In India sono presenti ben tre specie di coccodrilli, tra le 24 che appartengono all’ordine crocodylia: il crocodylus porosus, in italiano coccodrillo marino, il crocodylus palustris, coccodrillo palustre, ed il gavialis gangeticus, gaviale del Gange.
A causa della diminuzione del loro habitat, in particolare la costruzione di dighe, il gaviale è considerato in pericolo critico, il coccodrillo palustre è vulnerabile ed il solo coccodrillo marino è a rischio minimo, grazie al fatto che è presente in tutto il sud dell’Asia fino al’Australia, mentre gli altri due sono diffusi solo nel subcontinente indiano.
Bisogna comunque notare i numerosi sforzi per la conservazione dei coccodrilli, che hanno abbastanza successo anche grazie al tipo di vita di questi grandi rettili, spesso sedentario e geograficamente circoscritto, certamente più facile da monitorare e studiare rispetto, ad esempio, a quello della tigre del Bengala (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/08/la-tigre-del-bengala.html).

In particolare, a circa 40 km dalla città di Chennai, si trova la Madras Crocodile Bank Trust, istituita nel 1976 in collaborazione con il governo, l’ONU e la FAO, proprio per salvaguardare i grandi rettili indiani.
Ma non solo, visto che, al 2011, ospitava ben 14 delle 24 specie di coccodrilli, alligatori e caimani rimasti al mondo, dieci specie di tartarughe e tre di serpenti.
Grazie al successo ed al continuo sviluppo di questa iniziativa, ad oggi le specie presenti dovrebbero essere ulteriormente aumentate.

Il coccodrillo marino in India è presente lungo tutta la costa orientale della penisola e presso le isole Andamane, con particolare predilizione per le foreste a mangrovie, le foci dei fiumi (sia estuari che a delta) e le lagune.
Considerata la specie vivente di coccodrillo più grande al mondo, con misure che possono arrivare e superare i sei metri e peso superiore alla tonnellata, il coccodrillo marino in India a causa della diminuzione dell’habitat è sempre più raro, e per fortuna quindi anche i suoi contatti con l’uomo.
Nonostante ciò, la popolazione di questi giganteschi rettili che abita le mangrovie del Parco Nazionale di Bhitarkanika in Orissa, sembra essere particolarmente sana, visto che è in quest’area che storicamente vengono rinvenuti gli esemplari più grandi.

Il coccodrillo palustre abita fiumi, laghi e paludi del subcontinente indiano, dal Pakistan al Bangladesh, Nepal e Sri Lanka compresi, con una piccola popolazione anche a sud dell’Iran.
Rispetto al cugino marino, il palustre è leggermente più piccolo, con misure che nei maschi arrivano al massimo sui cinque metri, ma data la sua ampia diffusione anche questa specie può diventare talvolta un pericolo per l’uomo o gli animali domestici.
La più alta concentrazione di questi coccodrilli si trova nello stato indiano del Tamil Nadu, nella Riserva di Amaravathi, un vasto specchio d’acqua formatosi nel 1957 con la costruzione di una grande diga.
Al giorno d’oggi sono circa un centinaio gli esemplari adulti e giovanili selvatici che abitano la riserva, a cui si aggiunge un numero simile allevati nel vicino Amaravathi Sagar Crocodile Farm, fondato nel 1976, un vivaio dove i coccodrilli vengono reintrodotti nel loro ambiente, spesso partendo da uova raccolte nella prolifica riserva.

Il gaviale gangetico è l’unica specie del genere gavialis, ed è un coccodrillo specializzato nella caccia ai pesci, come si intuisce chiaramente dal muso estremamente allungato, dove trovano posto più di un centinaio di denti.
Caratteristica molto evidente dei maschi, una volta raggiunta la maturità sessuale, è la crescita di una protuberanza rotonda sulla punta del muso.
Anche il gaviale può raggiungere lunghezze ragguardevoli, forse fino ai sei metri, ma a causa della sua forma affusolata, per nuotare meglio, non raggiunge pesi superiori ai 300-400 chili.
Oltre a queste caratteristiche fisiche, anche il loro ridotto numero fa sì che i rapporti conflittuali con l’uomo siano minimi.
Fino al secolo scorso il gaviale era presente in quasi tutti i grandi corsi d’acqua del subcontinente indiano mentre oggi il loro areale originario è stato ridotto al solo 2% e la loro presenza è limitata a piccole porzioni del Brahmaputra, del Gange e del Mahanadi, un fiume del centro nord dell’India che sfocia nell’Orissa.
Una piccola ma stabile popolazione abita anche alcuni grandi affluenti del fiume Gange nelle zone meridionali del Nepal centro-occidentale.
Seppur anche il gaviale sia oggetto di studi e progetti per la conservazione, il loro numero in lento ma costante declino lo porta ad essere una specie in pericolo critico e due soli gradini dall’estinzione, nella scala a sette livelli dell’IUCN (International Union for the Conservation of Nature).
Nel 1997 la popolazione stimata era di 436 adulti, precipitata a 182 nel 2006 e forse risalita dopo qualche anno a circa 200-300.
Tra i programmi specifici di salvaguardia del gaviale vi sono due centri dove vengono monitorati ed allevati per i primi 2-3 anni di vita, prima di essere rilasciati una volta raggiunte dimensioni più “sicure”.

Un vivaio si trova nel National Chambal Sanctuary, nei pressi dell’omonimo fiume Chambal, affluente del fiume Yamuna, dove risiede una piccola popolazione allo stato selvatico, ed il modesto ma attivo Gharial Breeding Center del Parco Nazionale di Chitwan in Nepal.

mercoledì 14 settembre 2016

Akbar, Birbal, il toro e la musica

Per trascorrere il tempo e soddisfare le proprie curiosità intellettuali, l’imperatore Akbar era solito circondarsi di artisti.
Un giorno radunò a corte i più famosi musicisti dell’impero per una competizione: avrebbe vinto chi sarebbe stato in grado di risvegliare l’interesse di un toro.
Uno ad uno i vari musicisti suonarono al meglio delle proprie capacità, ma nessuno fu in grado di risvegliare l’attenzione dell’animale.
Visto l’insuccesso, Akbar si girò verso Birbal, che sedeva lì vicino, come per chiedergli spiegazione.
Questi annuì silenziosamente, salì sul palco, prese gli strumenti ed iniziò a suonare una musica che sembrava il ronzio delle api ed il muggire delle mucche.
Sorprendendo tutti i presenti, il toro di colpo si risvegliò e cominciò a mostrarsi molti vitale.

Compiaciuto, Akbar elesse Birbal vincitore.

lunedì 12 settembre 2016

Lo stato indiano del Madhya Pradesh

Gwalior Fort in the 1860s.jpg
Il forte di Gwalior nel 1860
Il Madhya Pradesh è il secondo stato più grande ed il quinto più popoloso della Repubblica Indiana, con una superficie di 308.245 chilometri quadrati (più o meno quanto l’Italia, 301.338) e circa 73 milioni di abitanti.
Trovandosi proprio al centro del paese (da cui il nome, con madhya, che significa centro e pradesh, stato), viene soprannominato “heart of India”, cuore dell’India, ed ospita numerosi siti di varia importanza, come grandi città storiche, piccoli luoghi sacri ed impenetrabili foreste.
Purtroppo, date le enormi dimensioni ed i non ancora efficienti sistemi di trasporto indiani, il Madhya Pradesh risulta essere uno stato piuttosto dispersivo da un punto di vista prettamente turistico, ma offre una ricchezza culturale davvero notevole.

Tra le città più grandi, la capitale è Bhopal, fondata probabilmente nell’XI secolo dal re indù Raja Bhoja, fu successivamente sviluppata sotto l’imperatore moghul Aurangzeb (1618-1707), quindi divenne un principato vassallo dei britannici e fu governata dal 1819 fino al 1926 da quattro begum, membri femminili della nobiltà mussulmana.
Al giorno d’oggi Bhopal è una grande e caotica città indiana, nota per la presenza di alcune pregevoli moschee e purtroppo per uno dei più gravi incidenti industriali della storia, avvenuto il 3 Dicembre del 1984.
Dagli impianti della Union Carbide presso Bhopal, fuoriuscirono tonnellate di gas tossici che spinti dal vento avvolsero la città, nella quale morirono circa 16.000 abitanti e mezzo milione riportarono danni permanenti alla salute.
Tra le moschee più apprezzabili si possono citare: la Jama Masjid, la moschea del Venerdì, costruita nel 1837 con alti minareti di arenaria rosso scuro; la Moti Masjid, moschea della perla, venne edificata nel 1860, sullo stile della Jama Masjid di Delhi (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/la-citta-di-delhi-i-parte.html); la Taj-ul-Masajid, iniziata alla fine del 1800, non fu mai completata, ma rimane ugualmente un edificio gigantesco, con due alti minareti e tre ampie cupole bianche.

Indore è una grande città di circa 3 milioni e mezzo di abitanti, sviluppatasi nel XVI secolo come centro dei commerci tra Delhi e l’altopiano del Deccan.
Ancora oggi è la capitale commerciale del Madhya Pradesh, ma pur essendo piuttosto ampia e meno claustrofobica della maggior parte delle città indiane, non possiede nessun sito di particolare interesse ed è raramente meta di visitatori.

Ujjain è una delle più antiche città indiane, di notevole importanza religiosa e storica, alla quale abbiamo dedicato un post specifico cui rimandiamo (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/03/la-citta-di-ujjain.html).

Gwalior, situata nella punta nord-occidentale del Madhya Pradesh, è una grande città di circa 2 milioni di  abitanti, nota per la presenza di un antico e gigantesco forte, che ospita grandi palazzi, templi, sculture jainiste (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/04/breve-cenno-alla-religione-jaina.html), portali e musei.
Fuori dal forte, nella parte vecchia della città, si trovano invece alcuni importanti edifici mussulmani come moschee e tombe di santi.

Tra i piccoli paesi sparsi nell’immenso Madhya Pradesh, poco a sud della grande e scarsamente interessante Indore, si trovano almeno tre luoghi degni di nota.
Mandu è un’imponente cittadella fortificata, che ospita alcuni complessi di palazzi davvero affascinanti e molto ben conservati.
Maheshwar ed Omkareshwar sono invece due luoghi sacri dedicati a Shiva: nel primo si trovano un grande forte, alcuni ghat (gradini per le abluzioni) sul fiume Narmada ed dei templi molto elaborati.
Omkareshwar invece è una piccola isola che ospita un tempio di Shiva dove viene conservato un lingam (simbolo fallico del dio) tra i dodici più venerati dell’India.
Oltre a questo, nel percorso sacro che scorre attorno all’isola, si incontrano alcuni altri templi molto antichi, pregevoli e piuttosto ben conservati.

Qualche chilometro a sud-est di Gwalior è situato Orchha, un tempo capitale di un regno locale ed ora minuscolo paesino dove si trova una piccola isola fortificata, che ospita suggestivi palazzi ed edifici.
Poco a nord della città di Bhopal si trova Sanchi, un piccolo paesino dove sono ospitati alcuni antichissimi e splendidi reperti d’arte buddista, ed al quale abbiamo dedicato un post apposito (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/08/luoghi-sacri-buddisti-ix-parte-sanchi.html), come pure a Khajuraho (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/breve-cenno-ai-templi-di-khajuraho.html), situato invece nella zona centro-settentrionale del Madhya Pradesh, che ospita alcuni dei templi più squisiti del subcontinente indiano.
Nella zona più orientale del Madhya Pradesh è situata Amarkantak, una cittadina sacra “nascosta” in un’area di verdi foreste presso la quale si trovano le sorgenti di tre fiumi, in particolare il sacro Narmada.
Grazie alla sacralità, alla presenza di alcuni suggestivi templi ed il pacifico contesto naturale Amarkantak è un altro luogo che merita sicuramente una visita, ma la notevole distanza dai più vicini centri urbani di un certo rilievo, la rendono una meta piuttosto poco frequentata.

Infine il Madhya Pradesh possiede ben 9 parchi nazionali e numerose riserve dove sono conservati numerosi esemplari di flora e fauna.

Ben 5 parchi nazionali fanno parte del Project Tiger (progetto indiano per la conservazione delle tigri), essendo il Madhya Pradesh uno degli stati indiani col maggior numero di tigri, circa 308, senza dimenticare che possiede il maggior numero di leopardi, ben 1.817.

domenica 11 settembre 2016

Breve storia del The Times of India

The times of india.svgIl The Times of India, con un numero di copie o abbonamenti internet di poco superiore ai tre milioni al giorno, è il terzo quotidiano più venduto in India ed il giornale in lingua inglese più venduto al mondo.
La sua supremazia sugli altri quotidiani indiani in lingua inglese è tale che il secondo, The Hindu, con un milione e mezzo di copie, arriva intorno alla metà di quelle del The Times of India, che è anche il più vecchio tra quelli che vengono ancora pubblicati.
La maggior diffusione non indica necessariamente una miglior qualità, infatti è dovuta in parte ad una migliore distribuzione grazie al potente gruppo editoriale Bennet, Coleman & Co. Ltd, che possiede e pubblica il TOI (utile e diffuso acronimo del giornale).

La storia del giornale è abbastanza articolata, con la prima edizione nel lontano 3 Novembre 1838 ed il nome di The Bombay Times and Journal of Commerce, quindi nel 1860, sotto la guida dello storico editore Robert Knight (1825-1892), si unì con il rivale Bombay Standard, chiamandosi quindi The Bombay Times and Standard, sostituito definitivamente nel 1861 con l’attuale The Times of India.
Quindi la proprietà cambiò alcune volte, fino al 1892 quando venne acquistata da Thomas Bennet e Frank Morris Coleman, attraverso la loro nuova compagnia Bennet, Coleman & Co. Ltd.
Nel 1946, in preparazione alla dipartita degli inglesi dall’India, la compagnia fu venduta all’allora noto magnate indiano dello zucchero Ramkrishna Dalmia.
Nel 1955 una commissione creata all’uopo, scoprì che il signor Dalmia aveva acquisito la compagnia Bennet, Coleman & Co. Ltd, con alcune manovre poco chiare e venne condannato per frode a due anni di galera.
Durante quel periodo la proprietà del The Times of India passò al genero Sahu Shanti Prasad Jain che la trattenne anche finita la prigionia di Dalmia.

Nei primi anni ’60, la stessa commissione che aveva scoperto la frode di Dalmia, riuscì a far condannare anche Sahu Shanti Prasad Jain, e la Corte decise di passare la proprietà della Bennet, Coleman & Co. Ltd, e con questa quella del TOI, al Governo Indiano.
Questo fino al 1976, quando, durante il periodo dell’emergenza proclamato da Indira Gandhi, il Governo Indiano trasferì la proprietà della compagnia ad Ashok Kumar Jain, figlio di Sahu Shanti Prasad Jain e nipote di Dalmia.

Secondo la tradizione familiare, anche Ashok Kumar Jain ebbe alcuni problemi con la legge, passando la proprietà alla morte nel 1999 alla moglie Indu Jain ed ai due figli Samir Jain e Vineet Jain, che attualmente sono il vice presidente ed il consigliere delegato della Bennet, Coleman & Co. Ltd, che nel frattempo ha anche assunto il nome di The Times Group, il gruppo multimediale più grande dell’India, con 5 quotidiani, due riviste nazionali, una trentina locali e ben 32 stazioni radio.

sabato 10 settembre 2016

La Grand Trunk Road

GT Road Mughalsarai.jpgLa Grand Trunk Road è una delle strade più antiche e lunghe dell’Asia, collegando la capitale dell’Afghanistan Kabul, con la città di Chittagong in Bangladesh, con un percorso di più di 2.500 chilometri.
Chiaramente venne edificata in fasi successive, in base a sempre cangianti esigenze storiche.

La prima tratta venne costruita dall’impero buddista Maurya intorno al III secolo a.C., per collegare la capitale della dinastia Pataliputra (l’attuale Patna nello stato indiano del Bihar), con i territori più occidentali come le città di Taxila e Purushapura (oggigiorno Peshawar), nell’attuale Pakistan.
In gran parte quella strada seguiva il corso del fiume Gange, passando per le sacre città di Varanasi ed Allahabad, quindi Kannauj, Hastinapur e Delhi, i centri urbani di Ambala ed Amritsar (nello stato del Punjab) e Lahore
Costruita a costo di enormi sacrifici, la sua manutenzione era affidata all’esercito, come raccontato anche da Megastene, diplomatico greco che trascorse circa una quindicina d’anni alla corte Maurya.

Successivamente, in epoca medioevale, l’imperatore mussulmano Sher Shah Suri (1486-1545), si diede molto da fare per rinnovarla ed estenderla, e grazie a questi interventi fino a circa il XVIII secolo era nota tra i viaggiatori europei come “Long Walk”, lunga passeggiata.
In particolare erano molto apprezzate le interminabili file di alti alberi ai due lati, che negli infiniti tratti di desolata pianura, proteggevano i viaggiatori dagli impietosi raggi solari.
Provenendo la dinastia Suri dall’Afghanistan, la strada venne estesa fino a Kabul, attraverso il noto Khyber Pass, che storicamente collega il Pakistan con l’Afghanistan ad un’altezza di circa 1.000 m s.l.m. ed è uno dei passi di montagna più antichi al mondo.

Purtroppo a causa della lunghezza e degli enormi costi di manutenzione, nei secoli successivi la Grand Trunk Road iniziò un lento declino, dovuto anche allo spostamento dei traffici commerciali ed alla competizione della sempre più efficiente rete ferroviaria.
Nel 1838, gli inglesi completarono una tratta aggiuntiva per unire  in maniera più diretta la città di Varanasi con Kolkata, invece di passare da Patna che si trova spostata leggermente più nord.
Questa estensione rappresenta ancora oggi il collegamento stradale più rapido tra queste due grandi città, seppur a causa dell’eccessivo sfruttamento l’asfalto sia in molti tratti alquanto irregolare.
In tempi più recenti infatti, in molti punti sono state aggiunte due carreggiate, una per senso di marcia, rendendola vagamente simile ad una superstrada, ma anche a causa dei numerosissimi villaggi, paesi e città che attraversa risulta essere spesso estremamente trafficata.

Di certo la Grand Trunk Road rappresenta anche un ottimo spaccato di vita indiana, con il suo flusso costante di mezzi a motore, carri tirati da animali e persone d’ogni estrazione.

giovedì 8 settembre 2016

La città di Shimla

Shimla.JPGShimla (popolazione circa 170 mila abitanti) è la capitale e la più grande città dello stato indiano dell’Himachal Pradesh, situata ad un’altitudine di circa 2.200 metri.
Fino al XVIII secolo Shimla era poco più di un semplice agglomerato di case di legno sparse nelle foreste collinari, ma grazie ad un clima decisamente più fresco di quello delle vicine pianure, venne progressivamente sempre più apprezzata come località di villeggiatura dai colonizzatori inglesi, tanto che nel 1864 la dichiararono Capitale Estiva.
Dopo l’indipendenza dell’India, nel 1947, la città divenne la capitale dello stato del Punjab e quando questo venne diviso nel 1971, Shimla divenne la capitale dell’Himachal Pradesh.
Come centro amministrativo estivo dell’Impero Britannico in India, Shimla ospitò alcuni importanti meeting politici, come l’Accordo del 1914 (tra Gran Bretagna, Cina e Tibet), la Conferenza del 1945 (tra il viceré inglese ed i maggiori politici indiani) e successivamente anche l’Intesa del 1972 (tra India e Pakistan).

Oggigiorno Shimla è una dinamica ed apprezzata località di villeggiatura, grazie al clima fresco, i piacevoli panorami di montagna e la presenza di graziosi edifici in stile Tudor e neo-Gotico, nonché di alberghi e ristoranti, più costosi della media indiana ma anche di miglior qualità.
La posizione geografica della città è infatti decisamente favorevole, abbarbicata lungo il versante sud di verdi colline, sopra alla sterminata pianura indiana, e con le montagne himalayane alle spalle.
Grazie a questo Shimla è una città in pendenza, composta essenzialmente da una strada carrozzabile in basso (Cart Road) e due pedonali in alto (Mall Road e The Ridge), collegate da una fitta rete di ripidi vicoli e scalette, e nella zona più orientale anche da un pratico sistema composto da due ascensori.

Nella parte più alta sono situati la maggioranza degli alberghi e dei ristoranti quasi tutti con una buona vista e presso la lunga Mall Road, la via principale, costruita durante il colonialismo britannico.
Oltre alle strutture turistiche e ad ospitare alcuni edifici in stile inglese, Mall Road è particolarmente apprezzata per essere vietata ai mezzi a motore ed essere meta, da parte dei villeggianti, di oziose passeggiate al sole, soprattutto durante il freddo inverno.
Sopra alla parte centrale di Mall Road scorre l’altrettanto frequentata The Ridge, un’ampia strada-piazza, anch’essa pedonale, che porta alla Christ Church, una grande e graziosa chiesa costruita nel 1857 in stile neo-Gotico, che pare essere la seconda chiesa più antica del nord dell’India e possedere l’organo a canne più grande del subcontinente indiano.
Date le dimensioni, il vivo color crema e la posizione dominante, la sagoma della Christ Church è facilmente osservabile da numerosi punti sia in città che sulle colline circostanti.

Ma l’edificio di Shimla che più di tutti ricorda il passato di capitale britannica in India è sicuramente l’imponente Viceregal Lodge o Rashtrapati Niwas, costruito tra il 1880 ed il 1888, per ospitare il viceré inglese.
In tipico stile Jacobethan (misto tra Giacobino ed Elisabettiano) possiede degli ampi e gradevoli colonnati ai primi due piani, grandi vetrate ed in generale un austero aspetto tipicamente britannico.
Dopo l’indipendenza dell’India, a causa dello scarso utilizzo da parte del presidente indiano Radhakrishnan, questi lo donò al Ministero dell’Educazione per essere usato dall’Indian Institute of Advanced Study, che si prende anche cura del mantenimento del palazzo e dei suoi ordinati giardini.

Tra le piacevoli passeggiate nei dintorni, la più popolare è sicuramente quella che, con una salita di poco meno di un’ora, porta al tempio indù di Jakhoo, situato proprio in cima alla collina che domina Shimla.
Dedicato al dio scimmia Hanuman, non offre nessun particolare interesse artistico, bensì ottime vedute sulla città, le colline e le montagne.
Nel bosco vicino, abitato da numerose scimmie, nel 2010 è stata completata una statua di Hanuman alta più di 30 metri.

Un’ultima caratteristica di Shimla è l’essere il punto di arrivo della linea ferroviaria a scartamento ridotto Kalka-Shimla, completata dagli inglesi nel 1891, per connettere la capitale estiva con la rete ferroviaria indiana.
Lungo i 96 chilometri del suo tragitto, il piccolo treno si arrampica da circa 650 metri di altitudine fino a ben 2.076 metri, attraversando una quindicina di stazioni e superando: più di 900 curve, 864 ponti e poco più di un centinaio di tunnel.
La durata è di circa 5 ore, con una media quindi intorno ai 20 chilometri orari.

Grazie anche agli splendidi panorami, nel 2008 la Kalka-Shimla Railway è entrata nella lista dei siti protetti dall’UNESCO, chiamato Mountain Railways of India, del quale fanno parte altri due trenini storici indiani: il Darjeeling Himalayan Railway ed il Nilgiri Mountain Railway.