giovedì 31 marzo 2016

La frutta in India, II parte

MangoTra la frutta indiana sub-tropicale e tropicale, onnipresenti in India sono le noci di cocco, vendute sia acerbe e intere per berne il succo, sia mature per mangiarne la polpa, nonché secche o deidradate da consumare lisce o per prepararne dolci.
Le noci di cocco sono anche offerte comunemente nei templi indù dove l’acqua al suo interno viene versata sulle divinità e la polpa consumata dal devoto dopo essere stata santificata.

Il re della frutta indiana, e forse della frutta in generale, è sicuramente il mango, di cui l’India è la capitale mondiale, essendo il primo paese per produzione, varietà e qualità.
Le sue ammirabili caratteristiche organolettiche attirarono addirittura l’attenzione dell’illuminato e talentuosamente versatile imperatore moghul Akbar (1542-1605 http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2016/02/limperatore-akbar.html) il quale, insieme al figlio Jehangir, si dedicò con passione allo studio di questo frutto, creandone alcune pregiate qualità, di cui una, la Jehangiri, è ancora oggi un’importante cultivar.
Nei mercati del nord dell’India se ne trovano di solito 4 tipi: uno giallo e dalla forma allungata viene chiamato in hindi chosa ed è utilizzato prevalentemente per i succhi; la sua zona di produzione è il centro del paese.
Un secondo tipo giallo, più tondeggiante del precedente e più piccolo, chiamato dashaheri, è probabilmente il più diffuso nel nord dell’India; data la consistenza particolarmente morbida, soprattutto quando sono molto maturi, si prestano ad essere consumati pressando leggermente con le dita la resistente buccia del frutto, per spappolarne la polpa all’interno, che viene poi sorbita praticando un foro sulla zona dove il frutto era attaccato al ramo.
Una gustosa qualità di mango, chiamata langra, tipica dello stato dell’Uttar Pradesh, prevede frutti dalla buccia verde, la polpa soda d’un arancione molto vivo e il sapore particolarmente dolce.
Un’ultima qualità di mango molto diffusa al nord, ma proveniente dal centro del paese, è quella che produce frutti dalla buccia rossastra, i famosi Alphonso, sebbene quelli per il mercato interno non siano di primissima scelta.
L’unica nota negativa dei manghi è la stagione relativamente breve: nel nord dell’India quelli importati dal centro del paese, i chosa e gli Alphonso, iniziano a comparire verso Marzo-Aprile, e da fine Maggio a Luglio si assiste ad una vera esplosione di quelli tipici del nord, dashaheri e langra, ma successivamente, in meno di un paio di mesi, spariscono poco alla volta dal mercato.

Altro frutto considerato universalmente tra i più gustosi è la papaya, i cui alberi, simili a gracili palme, sono diffusissimi e producono abbondanti frutti di ottima qualità, consumati freschi a pezzetti oppure in buonissimi frullati.
Oltre a questo, la papaya possiede proprietà che facilitano la digestione ed è ritenuta un ottimo rimedio per piccole intossicazioni alimentari, in India molto frequenti.
Altro particolare molto apprezzato, la papaya matura tutto l’anno e, seppur certi periodi siano più favorevoli di altri, è costantemente reperibile sul mercato.
Quelle acerbe vengono utilizzate come verdure, fenomeno comune anche alle banane, e vengono cucinate come tali in gustosi curry, seppur il loro leggero sapore dolce, tra le spezie e gli altri ortaggi, risulta essere quasi impercettibile.

Un frutto sub-tropicale/tropicale estremamente saporito è quello prodotto dalle piante del genere physalis, chiamato in inglese groundcherry e in italiano fisaglia, oppure alchechengi, prendendo il nome da una delle specie più diffuse per il consumo umano, physalis alkekengi.
Particolare di questi frutti, tondeggianti e arancioni, delle dimensioni simili a quelle delle ciliegie, è l’aver un gusto estremamente vario: molto aspro in quelli acerbi e dolcissimo, quasi “fermentato”, in quelli troppo maturi, quindi quelli stagionati al punto giusto propongono tutta la gamma di sapori che si trovano tra questi due estremi.
Purtroppo le fisaglie, chiamate in hindi macoi, hanno una stagione molto breve, di circa un paio di mesi, nei periodi di Aprile-Maggio.
Altro frutto sub-tropicale/tropicale estremamente piacevole, ma purtroppo dalla brevissima stagione, è il litchi, diffusissimo in tutta l’Asia con numerose cultivar della pianta litchi chinensis.
Le cultivar piu diffuse in India producono frutti di dimensioni simili a quelle di una noce e ricoperti da una buccia rosso opaco piena di piccole protuberanze.
La polpa, bianco-trasparente, ha un ottimo sapore dolce che potremmo definire quasi floreale.
Consumati abitualmente freschi, dai litchi si producono, industrialmente, anche dei buoni succhi che però, come tutte le bevande confezionate indiane, spesso sono eccessivamente zuccherosi.
La guava invece è un frutto presente in vari periodi sul mercato poiché possiede due stagioni di maturazione, primaverile e autunnale.
Delle dimensioni di una mela, con la buccia liscia verde, ricorda vagamente la mela anche nella consistenza della polpa, ma è decisamente più saporita, con un gusto dolce, floreale, lievemente aspro.
Anche il profumo è particolarmente gradevole ed un paio di frutti in una stanza donano all’ambiente un’ottima fragranza; recentemente pare sia stato anche introdotto come ingrediente nella profumeria.

Altrettanto piacevole è l’aroma della cirimoia, il frutto della pianta annona cherimola, che, escluso il colore verde con macchie nere, nella forma ricorda molto delle piccole pigne da pinoli, o dei carciofi privi di spine.
Al suo interno vi è una polpa bianca, con alcuni grossi semi neri, dal gradevole sapore dolce leggermente aspro, mentre il sottile strato di grumosa pasta bianca attaccata alla buccia ha un sapore sorprendentemente simile alla vaniglia, da cui il nome inglese custard apple, mela-budino.
Pare essere coltivato anche in Europa, nel sud della Spagna, ed in Italia, nella provincia di Reggio Calabria.

Un particolare frutto tropicale, caratteristico del sud dell’Asia e che compare talvolta sul mercato durante la stagione calda è la carambola, di colore giallo e dalla caratteristica forma a stella.
Viene di solito consumato a fette sottili con la buccia, edibile, a causa della forma che lo rende quasi impossibile da pelare.
La polpa ricorda come consistenza quella dell’uva, mentre il gusto può ricordare quello aspro degli agrumi ma decisamente più fruttato.

Simile come consistenza è l’amla, nome hindi del frutto della pianta phyllanthus emblica, rotondo, delle dimensioni di una prugna.
Oltre alla polpa, anche il gusto dei frutti maturi è molto simile all’uva, leggermente più aspro, mentre con quelli acerbi vengono preparati saporiti pickle (condimenti sottolio piccanti).

L’albero di bael  (aegle marmelos), tipico indiano, produce dei frutti rotondi delle dimensioni di un polpelmo, dalla buccia legnosa che racchiude una polpa arancione fibrosa piena di semi.
Nonostante questo, dato il suo ottimo aroma, utilizzando tecniche artigianali non semplicissime, è possibile ricavarne un succo dal gusto piacevolmente simile al melone, alla papaya ed al mango (tutti frutti accomunati anche dal piacevole colore arancione vivo).

Altro frutto molto particolare è il singhara (al quale abbiamo dedicato anche un post specifico http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2016/02/la-castagna-dacqua.html), prodotto ad una pianta acquatica, di cui in realtà è il seme, che abbiamo scoperto essere diffusa localmente anche in Italia, in particolare nel laghi del mantovano, dove il frutto viene chiamato trapa o castagna d’acqua (da non confondere con un altro frutto simile, chiamato castagna d’acqua cinese, tipico del sud-est asiatico).
La forma è vagamente triangolare con la buccia verde scuro, amaranto scuro e talvolta nera, spessa ma apribile a mani nude (stando attenti a non pungersi con le due spine ai lati e talvolta un terza più piccola al centro), che nasconde un frutto bianco a forma di cuore, dalla consistenza simile alla castagna ma dal leggero e piacevole gusto floreale.
Viene consumato fresco, ma talvolta viene anche seccato e polverizzato per ottenerne una farina il cui utilizzo è permesso anche durante i lunghi giorni, dieci, di digiuno durante le festività chiamate Navratri, nove notti.

Un ultimo frutto caratteristico e molto comune è la sapotiglia, proveniente dalle piante di manilkara zapota, che pur essendo, come altri frutti citati, quali la papaya, la guava e la cirimoia, originari del centro-america, in India trova delle condizioni climatiche particolarmente adatte.
La sua forma è rotonda, solo leggermente ovoidale, con una buccia marroncino chiaro che ricorda delle piccole patate, dalle quali si distingue, a prima vista, solo per la regolarità delle dimensioni di circa 5-6 centimetri di diametro.
Il sapore è gradevole e dolce, ottimo da consumare fresco o per produrre piacevoli succhi molto dissetanti.
In hindi viene chiamato chiku, simpatico termine che viene spesso utilizzato familiarmente come nomignolo di bambini o come vero e proprio nome  per i cani domestici.

Durante la nostra ricerca per riportare dati precisi per la stesura di questo post, abbiamo scoperto su Wikipedia che il lattice della pianta manilkara zapota, apparentemente misconosciuta in Europa, è stato, per lungo tempo, l’ingrediente base della gomma da masticare, solo recentemente sostituito da prodotti sintetici.

mercoledì 30 marzo 2016

La frutta in India, I parte

Grazie alle enormi estensioni del territorio ed alla varietà del clima, l’India è tra i maggiori produttori mondiali di frutta, sia quella tipica delle zone temperate, che sub-tropicale e tropicale.
Questo articolo, pur cercando di descrivere i frutti dell’India in generale, si basa principalmente sull’osservazione dei mercati del nord del paese.
In questa prima parte verrà trattata la frutta delle zone temperate, o comunque diffusa anche sulle tavole europee, mentre nella seconda parte descriveremo la frutta indiana più esotica.
La frutta delle zone temperate, in realtà in India non risulta essere particolarmente gustosa né varia, mentre decisamente migliore è la qualità della frutta sub-tropicale e tropicale.

Partendo dalle comunissime mele, quelle reperibili nei mercati indiani sono di solito rosse e gialle, entrambe farinose e poco saporite.
Talvolta, nei fruttivendoli meglio forniti, è possibile trovare mele importate (dall’Australia o dal Sud Africa), decisamente più buone ma anche più costose.
Migliore è la situazione sulle montagne, dove il clima più favorevole permette la produzione di mele fragranti e gustose: importanti zone di produzione sono l’area di Manali, in Himachal Pradesh, ed il Kashmir, ma anche nello stato montano dell’Uttarkhand è possibile trovarne di ottima qualità.
Queste mele però, purtroppo, sono stagionali e raggiungono i mercati di pianura solo in brevi periodi invernali.
Anche le pere, diffuse ma meno delle mele, sono generalmente gialle, piccole, farinose e poco gustose, seppur nelle zone di montagna e nei periodi più freddi è possibile trovarne di almeno una qualità decisamente accettabile, piccole e molto croccanti.
Perfino le banane, dalle quali i mercati ortofrutticoli indiani sono costantemente invasi, non risultano essere particolarmente gustose (niente a che vedere, ad esempio, con quelle del sud-est asiatico), almeno nel nord dell’India, mentre al sud il clima più caldo consente la produzione di banane piuttosto saporite.

Lo stesso discorso riguarda le arance, molto diffuse, presenti sul mercato con una specie di medie dimensioni, dalla buccia piuttosto sottile ed in genere dal gusto ai limiti dell’inesistente.
Talvolta sono presenti arance di una seconda specie, leggermente più grandi, con la buccia spessa e bitorzoluta, un tantino più saporite, poiché provenienti da regioni montane.
Come per le mele, i negozi più ben forniti offrono anche arance importate, presumibilmente dalla Cina, buone ma costose.

Rimanendo nel campo degli agrumi, in India sono rarissimi i limoni, citrus lemon, mentre invece il paese è il maggior produttore mondiale di limette, citrus aurantifolia, notoriamente chiamati in inglese lime.
A parte le dimensioni ridotte, il gusto è molto simile a quello dei limoni, solo leggermente meno aspro, sebbene questo dipenda anche dal grado di maturazione, che caratterizza pure le differenze cromatiche: verdi da acerbe e gialle da mature.

Tra gli agrumi possiamo anche segnalare la presenza di due specie tipiche indiane, il mausambi e il pomelo.
Il mausambi, citrus limetta, che grazie alla fruttificazione che dura tutto l’anno è costantemente presente sul mercato, assomiglia ad un’arancia di colore verde ed il suo gusto aspro, una via di mezzo tra un limone e un pompelmo dolce, si presta molto bene per dissetanti succhi.
Il pomelo, citrus maxima, è più diffuso nel sud dell’India, mentre al nord una nota zona di produzione è l’area attorno a Rishikesh, ed è un agrume molto interessante per storia e caratteristiche.
Esso è infatti ritenuto, insieme al cedro e al mandarino, l’antenato di tutti gli agrumi oggi conosciuti ed è sicuramente quello di maggiori dimensioni arrivando ad avere addirittura 30 cm di diametro ed un peso superiore ai 5-6 chili; anche la forma è decisamente inusuale rispetto agli altri agrumi in quanto non è rotonda od ovoidale, ma “a pera”.
La buccia del pomelo, di tonalità giallo-verdino, è molto spessa e sotto di essa si trova una notevole quantità di albedo, la sostanza bianca spugnosa tipica degli agrumi, della quale è composta anche tutta la protuberanza che dona al pomelo la forma a pera.
Îl gusto dei giganteschi spicchi rosati, quando maturi al punto giusto, è molto gradevole, dolce e poco aspro, seppur, date le dimensioni, sia poco pratico da consumare, a meno che non venga pulito dai pratici venditori, e di solito viene condiviso fra più persone.

Tornando ai frutti comuni anche sulle tavole italiane, piuttosto diffusa è l’uva, disponibile in due qualità, gialla e nera, dai cicchi piuttosto piccoli ed allungati, e seppur entrambe siano poco gustose, durante la stagione calda sono un’apprezzatissima risorsa di liquidi.
Molto comune è anche secca, sotto forma di uvetta
I datteri, spesso in vendita sia freschi che secchi nelle aree mussulmane, sono di scarsa qualità ed i migliori sono notoriamente quelli importati dai paesi arabi.
Un frutto presente tutto l’anno poiché originario del nord dell’India è il melograno, che viene utilizzato soprattutto per ottimi succhi ricchi di vitamina C, potassio e antiossidanti.
Tra i frutti tipici dei climi temperati, bisogna citare i prodotti degli alberi del genere prunus, quali pesche, albicocche e prugne, i quali purtroppo, per questioni climatiche, in India non sono molto diffusi né particolarmente saporiti e solo saltuariamente fanno la loro inaspettata e breve comparsa sul mercato.
Passando alla frutta estiva, abbondantissime, e di nuovo apprezzatissime durante i lunghi mesi caldi, sono le angurie, queste sì spesso molto buone, da non aver nulla da invidiare a quelle mediterranee.
Talvolta sono presenti anche quelle verdi ovoidali, chiamate angurie cinesi, seppur di solito siano prodotte localmente.
I meloni invece sono generalmente del gruppo reticulatus, come quelli comuni in Italia, ma di dimensioni ridotte, tondeggianti e di solito meno saporiti; un’altra varietà di meloni, che ricordano piccole zucche (parenti dei meloni nella famiglia cucurbitaceae), probabilmente fa parte del gruppo inodorus, ed ha la buccia più liscia, verdeggiante e la polpa di colore giallo-verdino dal gusto leggero ma piacevolmente dolce.
I meloni del gruppo cantaluopensis, quelli con la buccia gialla, sono presenti solo in alcuni banchetti di frutta particolarmente ben forniti ed a prezzi piuttosto elevati poiché importati dalla Cina.

Molto diffuse e di buona qualità sono le ananas, che spesso vengono servite a fette da banchetti ambulanti oppure sono oggetto di ottimi succhi.

martedì 29 marzo 2016

Breve storia della religione Sikh

La religione Sikh fu fondata intorno al XV secolo da Guru Nanak nella regione indo-pakistana del Punjab.
Dopo il fondatore si susseguirono altri nove guru, per un totale di dieci, a cui va aggiunto come undicesimo ed ultimo maestro del sikhismo, il libro sacro Granth Sahib, compilato nella sua versione finale nel 1678 da Guru Gobind Singh, il decimo maestro.
Tra i principi fondamentali descritti nel Granth Sahib, molti dei quali ispirati all’induismo ma anche all’islam, vi sono: la fede e la meditazione del nome di un unico cretore, unità ed uguaglianza tra gli esseri umani, aiutare il prossimo e condurre una vita onesta e morigerata.
Al di là dei principi, storicamente la religione Sikh non si è poi rivelata così pacifica, anche a causa della posizione geografica in un'area piuttosto travagliata, ed il fatto che uno dei 5 simboli sacri sia il kirpan, un grande coltello ricurvo, è piuttosto indicativo.
Inizialmente i primi governanti moghul ebbero relazioni pacifiche con i guru Sikh, finché non iniziarono i primi problemi durante il regno dell’imperatore Jehangir che nel 1606 fece arrestare e condannare a morte Arjan Dev, il quinto guru.
Il successivo maestro, Hargobind, iniziò quindi a militarizzare formalmente i seguaci, enfatizzando le nature complementari del potere temporale e quello spirituale.
Anche il nono guru, Tegh Bahadur, fu condannato a morte, dal notoriamente intransigente imperatore Aurangzeb, fatto che spinse suo figlio e decimo guru Gobind Singh a formare nel 1699 la Khalsa, un’organizzazione costituita da eminenti personalità, con lo scopo, tra gli altri, di esercitarsi nell’uso delle armi per difendersi dalle persecuzioni.
Successivamente, nel 1707, con la morte di Aurangzeb l’Impero Moghul iniziò ad indebolirsi, permettendo quindi al Dal Khalsa, l’esercito Sikh, di sconfiggerlo ripetutamente e limitarne ulteriormente il potere.
Il successo militare del Dal Khalsa fu tale che nel 1799 venne fondato l’Impero Sikh che comprendeva gran parte dell’attuale nord del Pakistan, gli stati indiani del Punjab e Kashmir, nonché una piccola area del Tibet sud-occidentale.
L’impero ebbe comunque vita breve a causa della sconfitta contro l’esercito inglese nel 1849 e tutta quella vasta regione venne inglobata tra i territori della Compagnie britannica delle Indie orientali.
La storia Sikh si accese poi improvvisamente e drammaticamente durante la spartizione del subcontinente indiano a seguito della dipartita degli inglesi nel 1947.
Com’è noto furono numerosi gli episodi di violenza che causarono la morte di centinaia di migliaia di persone (le stime variano enormemente), con gli indù e i sikh che venivano massacrati dai mussulmani a ovest ed i mussulmani che venivano trucidati dagli indù e i sikh a est.
Oltre a questo, i sikh dovettero anche lottare politicamente con il governo centrale indiano per ottenere uno stato dove fossero la maggioranza, per questioni politiche, religiose ma anche linguistiche, cosa che avvenne nel 1966, dividendo il precedente stato del Punjab dell’Est in tre parti: le montagne all’Himachal Pradesh ed il resto diviso tra Punjab a maggioranza sikh ed Haryana a maggioranza indù.
Purtroppo le frange più estreme sikh non furono soddisfatte e venne creato un movimento per creare addirittura uno stato indipendente dall’India chiamato Khalistan.
Seppur dapprima il movimento era interessato a trovare soprattutto appoggi politici e finanziari, verso i primi anni ’80 alcune fazioni diventarono sempre più militarizzate.
In particolare Jarnail Singh Bhindranwale, già noto esponente della Khalsa e capo di un importante gruppo religioso, in poco tempo creò un piccolo esercito di circa 200 seguaci con i quali si stabilì in un ostello situato all’interno del complesso dell’Harmandir Sahib, il cosidetto Tempio d’Oro di Amritsar.
L’attrito col governo indiano crebbe sempre più fino a culminare, nel Giugno 1984, con l’Operazione Blu Star, voluta dall’allora Primo Ministro Indira Gandhi, che inviò l’esercito per liberare il tempio dalla presenza dei miliziani.
L’operazione ebbe successo militarmente, ma venne ampiamente criticata, anche dall’estero, per la brutalità e la scarsa sensibilità nell’aver inviato addirittura dei carri armati all’interno dell’area sacra.
E dopo circa quattro mesi, Indira Gandhi venne uccisa da una delle sue guardie del corpo sikh, scatenando quindi una sommossa contro i sikh che causò la morte di circa 2800 persone, soprattutto a Delhi.
Oggigiorno i sikh rappresentano una delle comunità indiane di maggior successo, grazie ad uno spiccato utilizzo dell’intelligenza, che li pone in netto vantaggio nei confronti di indù e mussulmani che in India sono vittime di deleteri costumi e rigide autorità.
Bisogna però anche notare che parte del successo è dovuto al fatto che il Punjab, loro storica regione di appartenenza, si trovi in una zona particolarmente fertile, da sempre considerata il granaio dell’India.

Fatto che tra l’altro incide notevolmente sulla cucina tipica punjabi che è una delle più ricche ed apprezzate, tanto che molti dei piatti indiani più famosi all’estero, come ad esempio il chicken tandoori, ricchi curry di lenticchie e fagioli, ed i vari tipi di pane, provengono dalla tradizione culinaria del Punjab.

lunedì 28 marzo 2016

Il clima nel subcontinente indiano

Seppur l’argomento del clima sia in genere relegato alle semplici chiacchiere col vicinato per intavolare una breve conversazione, in realtà riveste un’importanza notevole nello sviluppo culturale dell’essere umano.
L’India e il Nepal, le due nazioni che verranno prese in considerazione, sono paesi ricchi di fascino e cultura ma anche di contraddizioni, che sembrano in qualche modo riflettere il clima estremo di quelle zone.
Nonostante il subcontinente indiano si trovi nello stesso emisfero dell’Europa, per cui la successione delle stagioni è identica, in realtà una maggior vicinanza all'Equatore, alla quale vanno aggiunte caratteristiche locali, fa sì che, escluso appunto il succedersi delle stagioni, siano ben poche le similitudini riscontrabili col clima temperato mediterraneo, che interessa gran parte della penisola italiana.
Per essere sicuri di toccare l’argomento in tutti in suoi punti, l’abbiamo diviso in dodici paragrafi, seguendo semplicemente l’ordine dei mesi dell’anno.

Gennaio: cadendo nel pieno dell’inverno, Gennaio è il mese più freddo del subcontinente; la pianura Gangetica, da Amritsar (in Punjab al confine col Pakistan), fino a Calcutta, viene coperta da una fittissima coltre di nebbia che non permette al sole di scaldare e le temperature precipitano vertiginosamente fino ai 3-4 gradi centigradi in gran parte dell’India del nord, Nepal compreso.
In genere viene considerato un mese “dry”, cioè asciutto, e la possibilità di piogge, almeno nelle pianure, è piuttosto rara; sulle montagne le nuvole possono invece facilmente congregarsi e quindi scatenare acquazzoni e sopra i duemila metri nevicate.

Febbraio: segue l’andazzo di Gennaio, e seppur spesso durante questo mese si verifichino le temperature più basse (che escluse le zone di montagna non scendono comunque mai sotto lo zero), la nebbia inizia a diminuire, il sole inizia a scaldare ed entro fino mese le temperature finalmente tendono a salire.
Nella punta meridionale dell’India, dove già di per sé l’inverno è piuttosto breve e debole, le temperature sono ottime.

Marzo: probabilmente il mese dal clima migliore. La nebbia diventa un lontano ricordo, la temperatura sale ma senza raggiungere limiti preoccupanti e le precipitazioni, come d’altronde per il resto dell’inverno, sono piuttosto rare.
È quindi primavera ed anche la natura si risveglia dopo il pur breve letargo invernale.

Aprile: al sud e nelle pianure il caldo inizia a farsi sentire raggiungendo facilmente i 40 gradi, mentre sui monti, o già solo che in collina, le condizioni sono ancora pressoché perfette. Nelle pianure e nelle zone collinari meridionali, in questo periodo sembra quasi di essere in autunno (l’autunno “europeo”) visto che il sole inizia a seccare le foglie che cadono per preparare molti alberi all’estivazione, che gli permette di superare la caldissima stagione secca.
Sulle montagne invece continua la vera primavera, e dopo il rigido inverno animali, insetti e piante danno libero sfogo alle loro svariate forme.

Maggio: a partire da questo mese inizia la lunga, estenuante stagione calda, che seppur alleviata leggermente dall’auspicabile arrivo del monsone, si protrarrà almeno fino all’incirca la fine di Ottobre. La remota possibilità di pioggia durante questo mese, unita a un sole impietoso che brilla costante nel cielo per circa 14 ore al giorno, fa sì che tutto si asciughi e secchi. Essere a più di un paio di metri di distanza da una ventola potrebbe rivelarsi fatale, mentre un saltuario utilizzo dell’aria condizionata potrebbe portare direttamente al nirvana...
La natura si rattrappisce: i fiumi si prosciugano, il poco vento è caldo ed alza cumuli di fastidiosissima polvere, gli uccelli svolazzano a bocca aperta, i cani acciambellati sembrano mummificati, mentre gli esseri umani, con i nervi a fior di pelle, cercano sollievo con tecniche che sembrano uscite dalla preistoria.
Questo a causa di una mancanza cronica di elettricità che si acuisce durante i mesi più caldi.

Giugno: le temperature schizzano alle stelle, con le massime pericolosamente vicine ai 50 gradi, ma soprattutto le minime a 34-35, e il caldo che quindi non da tregua neppure durante la notte.
Entro la fine del mese però, dovrebbero iniziare le prima avvisaglie di monsone, se non proprio con lunghe piogge, con sporadici ma rinfrescanti temporali.

Luglio: supponendo l’agoniato arrivo del monsone, in questo periodo i cieli del sub-continente indiano sono invasi dalle nuvole. Spessi strati di nuvole coprono costantemente l’orizzonte e scaricano potenti acquazzoni che fanno sì salire l’umidità, che a Giugno aveva raggiunto minimi impressionanti, ma fa anche scendere la temperatura.
I diasagi pratici si susseguono vorticosamente: muoversi con treni e autobus diventa un enigma, ma anche raggiungere il negozio all’angolo può spesso presentare inconvenienti insormontabili, come profonde pozzanghere in cui l’acqua può arrivare all’altezza della vita...
Si verifica anche un’esplosione di animali e insetti, i primi a causa degli spazi che si restringono e delle loro tane che si allagano (soprattutto roditori e rettili), i secondi che trovano nell’acqua ambienti estremamente favorevoli alla nutrizione e quindi alla riproduzione.

Agosto: anche se il monsone avesse deciso di non presentarsi, o solo a tratti, in questo periodo il cielo limpido è comunque un miraggio. Nel caso le piogge continuino imperterrite, le temperature dovrebbero rimanere a livelli quasi sostenibili, cioè entro i 40 gradi, ma l’umidità a quel punto ha impregnato qualsiasi cosa.
Le pioggie monsoniche in ogni caso, seppur insistenti, offrono spesso degli squarci di sole, che illuminano, attraverso un’aria finalmente pulitissima, gli allegri colori di piante, alberi e fiori, che spuntano fra immense distese d’acqua.
I fiumi infatti a questo punto, dopo mesi di pioggia, iniziano a fuoriuscire dai propri argini, allagando completamente le pianure e trasformando il nord dell’India, in un gigantesco acquitrino.

Settembre: il sole finalmente inizia ad aver una certa angolazione e i suoi raggi, seppur caldissimi, non battono più impietosi dal centro del cielo. Le piogge potrebbero diminuire, ma durante un monsone “pieno” dovrebbero essere costanti per ancora tutto il mese.
Gli allagamenti ormai hanno raggiunto proporzioni bibliche e nelle città non si sa più dove deviare l’acqua che sembra essere ovunque.

Ottobre: ammesso, ma non del tutto concesso, che le piogge siano terminate, questo mese che in Europa coincide con l’inizio del bigio autunno, nel subcontinente indiano può essere considerato l’inizio di una seconda primavera. Il cielo, dopo mesi di densi nuvoloni, è finalmente limpido, l’aria, dopo le torrenziali piogge, è pulita (anche nelle grandi città...) e le temperature si avvicinano a limiti tollerabili, seppur l’utilizzo di una ventola che muova un po’ d’aria all’interno delle stanze sia ancora necessario.

Novembre: insieme al successivo Dicembre e a Marzo, probabilmente il mese dal clima migliore. Il vero caldo è un vago ricordo, il freddo ancora lontano e le piogge rarissime. Le temperature sono quasi perfette tanto che l’utilizzo della ventola potrebbe provocare inaspettati raffreddori.
Tradizionalmente questo è il periodo più importante per l’agricoltura, con i contadini indaffarati nella preparazione dei nuovi campi per la stagione invernale.


Dicembre: escludendo perturbazioni fredde che dal nord potrebbero scendere sulla pianura, anche durante questo mese le temperature sono ottime, seppur alla mattina presto sorprendentemente fresche, anche a causa delle prima avvisaglie di nebbia che copre a lungo il sole. Escludendo quasi certamente la possibilità di antipatiche piogge, risulta comunque essere un mese climaticamente buono, per terminare un anno, come abbiamo visto, in genere difficilissimo.

domenica 27 marzo 2016

La ridenominazione delle città indiane

Sebbene l’abitudine di sprecare i soldi dei contribuenti non sia una caratteristica esclusiva del governo indiano (purtroppo anche l’Italia è tristemente famosa per questo motivo), in India tale pratica risulta ancora più spiacevole viste le misere condizioni in cui ancora vivono milioni di indiani.
Pur essendoci quindi problemi ben più grandi da risolvere, da molti anni, precisamente dall’ormai lontano 1947, anno dell’indipendenza indiana, i vari governi che si sono succeduti alla guida del paese stanno sprecando alcune delle già non abbondanti risorse nel cosiddetto processo di ridenominazione delle città.
Il motivo principale era quello di tornare ai nomi precedenti l’occupazione inglese, in parte per un futile patriottismo, ma in alcuni casi, abbastanza rari a dir la verità, anche per renderli più facilmente pronunciabili nelle lingue locali.
Ad esempio, nel 2001, Calcutta è tornata a chiamarsi Kolkata, indubbiamente più agile da pronunciare nella lingua bengalese parlata dai suoi abitanti.
Purtroppo però non è stato seguito alcun sistema preciso o vagamente organizzato, ma la questione della ridenominazione venne lasciata alla scelta indipendente dei singoli governi locali, che propongono i vari cambiamenti al governo centrale, rendendo l’operazione lunga e macchinosa, tanto che infatti non è stata ancora completata.
Solo recentemente, nel 2014, il cambiamento del nome di circa una dozzina di città del sud è stato intelligentemente approvato in un’unica mozione, invece di tante separate.
Un altro motivo di questa apparentemente inutile ridenominazione è dovuta al non semplice problema della traslitterazione dei caratteri devanagari in quelli dell’alfabeto latino.
In questo caso il governo indiano non è responsabile visto che i linguisti stessi non hanno ancora trovato una soluzione ottimale ed alcune ridenominazioni sono state causate dall’evoluzione dei sistemi di trasposizione dei grafemi: per esempio, l’attuale Shimla è una correzione del precedente e linguisticamente inesatto Simla.
Il problema della traslitterazione è evidente anche nel nome di altre città, seppur per fortuna al momento non stia creando questioni di ridenominazione, in particolare Delhi ed Allahabad.
Stando agli originali caratteri devanagari, la dicitura corretta dovrebbe essere ripettivamente: Dilli, con l’accento sulla seconda i, quindi tronca; ed Illahabad, visto che chiaramente la prima lettera in devanagari è una i e non una a.
Causa di questa discrepanza è  chiaramente l’imprecisione dei vecchi sistemi di traslitterazione.
Altro particolare di Delhi, la capitale dell’India viene considerata New Delhi, costruita dagli inglesi a sud di Old Delhi, ma ormai facente parte di un unico agglomerato urbano (di cui New Delhi e Old Delhi sono quartieri) chiamato ufficialmente Territorio Nazionale della Capitale di Delhi.
Tornando alla ridenominazione, bisogna notare che i nomi nuovi non si sono diffusi tutti allo stesso modo: alcuni sono stati subito adottati sia dalla popolazione, che dai mezzi di informazione, altri invece non hanno attecchito quasi per nulla, mentre in alcuni casi vengono accettate sia la vecchia che la nuova dicitura.
Ad esempio, la nuova denominazione Mumbai da Bombay, effettuata nel 1995, si è ormai ampiamente diffusa; discorso simile per Chennai, rinominata da Madras nel 1996, ma le vecchie diciture sono ancora ampiamente riconosciute.
È abbastanza logico pensare che col passare del tempo anche i nomi nuovi attualmente poco usati potranno essere più diffusi, soprattutto a livello internazionale: per esempio, al di fuori dell’India, pochi sanno che la città di Bangalore, dal 2014, dopo lunghe pratiche burocratiche, è stata ribatezzata Bengaluru, e seppur siano già passati un paio d’anni, quando il nuovo nome apparirà su tutte le cartine internazionali ed i documenti ufficiali, probabilmente verrà ampiamente accettato.
Bisogna anche notare che spesso l’ancora notevole diffusione dei nomi vecchi è dovuta al fatto che molte istituzioni, come ad esempio scuole ed università, per motivi pratici non hanno cambiato nome.
Tra i vari casi di ridenominazione, oltre agli esempi già citati, lasciamo una breve lista di quelli più caratteristici.
Poco dopo l’indipendenza, due grandi città industriali furono rinominate per rendere la loro compitazione (spelling) e pronuncia leggermente più semplici, a prescindere dalla lingua utilizzata: nel 1947, Jubbulpore divenne Jabalpur e Cawnpore venne rinominata Kanpur.
Al contrario, l’apparentemente semplice nome di Baroda, grande città dello stato del Gujarat, nel 1974 venne cambiato in un decisamente meno agile Vadodara, o la città di Trivandrum, che nel 1991 venne rinominata Thiruvanthapuram, termine tanto complesso che infatti pare venga poco utilizzato anche dalla popolazione locale.

sabato 26 marzo 2016

Vishnu Budhanilkantha

Vishnu.jpgBudhanilkantha è il nome di una statua di Vishnu conservata in un polveroso paesino situato poco oltre la periferia nord di Kathmandu.
Essa rappresenta Vishnu Narayan dormiente, sdraiato sopra un letto composto dalle spire del serpente a 7 teste Ananta ed è posizionata, molto suggestivamente, sulla superficie dell’acqua di una piccola vasca sacra.
L’importanza di questa statua è notevole sia da un punto di vista artistico che religioso, seppur non si sappia molto della sua origine.
In base allo stile e ad altre considerazioni storico-religiose, pare sia stata scolpita durante l’epoca Licchavi nel VII o VIII secolo, insieme ad altre due statue molto simili.
Quella di Budhanilkantha è considerata la più antica e il modello per le altre due, seppur non esistano prove certe per confermare questa tesi; in ogni caso, tutte e tre sono ottimi esempi della maestria degli artigiani nepalesi.
Da un punto di vista religioso invece, la statua di Budhanilkantha è sicuramente la più importante a causa del fatto che essa non viene ritenuta solo una raffigurazione di Vishnu, ma addirittura il dio stesso.
Per questo motivo, ai re del Nepal è sempre stato proibito contemplare l’immagine di Budhanilkantha in quanto loro stessi sono considerati incarnazioni di Vishnu e un’incarnazione non può guardare il suo originale, sarebbe un paradosso.
In compenso i re possono ammirare le due “copie”, una delle quali si trova a Balaju, un bel giardino alla periferia nord-occidentale di Kathmandu, mentre l’altra è custodita dentro al Palazzo Reale proprio per l’uso privato della famiglia reale.
Una delle più importanti feste del calendario indù Nepalese è Haribodhini Ekadashi che cade tra la fine di Ottobre e i primi di Novembre, e viene considerata il giorno del risveglio di Vishnu dopo il lungo sonno durato i 4 mesi della stagione monsonica; questa festa infatti rappresenta la fine della stagione delle piogge e l’inizio del periodo di feste che anticipano la stagione invernale.
In questo giorno, il solitamente tranquillo paesino che ospita la statua di Budhanilkantha viene preso d’assalto da migliaia di devoti che formano lunghissime code aspettando il loro turno per salutare Vishnu e porgergli le loro offerte.

Seppur Budhanilkantha sia il luogo più importante per questa festa, tutti i templi della Valle di Kathmandu dedicati a Vishnu diventano il centro di colorati festeggiamenti; alla sera nell’affascinante Piazza Reale di Patan viene inscenata una rappresentazione teatrale dell’episodio mitologico del risveglio di Vishnu, tanto semplice e rudimentale, quanto suggestiva.

venerdì 25 marzo 2016

Storia del musicista Khudav Singh

In un piccolo principato indiano, vi era un suonatore di pakhawaj (un grande tamburo suonato da entrambi i lati) chiamato Khudav Singh.
Egli era un esperto di pakhawaj poiché, con la sua musica, pregava la dea Durga.
La sua devozione era tale che, prima di suonare, egli lanciava il suo strumento in aria, la dea stessa lo colpiva tre volte, quindi lui lo riprendeva al volo e solo allora iniziava la sua esecuzione.
La sorella del maharajà, una ragazza di sedici anni, adorava la sua musica e cercava di ascoltarlo appena se ne presentava l’occasione, finché col tempo si innamorò dello stesso Khudav Singh.
Il maharajà, molto irritato, le ordinò di lasciare perdere il musicista e quando lei rifiutò, domandò allora a Khudav Singh di ripudiare la ragazza.
Egli però rispose “Lei ama e apprezza la mia arte. Come faccio a mandarla via?”.
Il maharajà allora disse “Molto bene, visto che hai osato disobbedirmi, sei condannato a morire schiacciato sotto le zampe di un elefante!”.
Quindi invitò tutti gli abitanti del principato all’esecuzione, come monito a non comportarsi stupidamente come Khudav Singh.
L’elefante fu fatto ubriacare fino a che non divenne completamente furioso, quindi il maharajà chiese a Khudav Singh se avesse un ultimo desiderio.
Egli rispose “Il mio pakhawaj, mio compagno di tutta la vita, dovrebbe essere schiacciato insieme a me”.
E gli fu dato il suo strumento.
Mentre l’elefante avanzava inferocito, Khudav Singh iniziò a suonare il raga Ganesha Paran: quando questo raga viene suonato propriamente, il dio Ganesha (dalla testa d’elefante) deve presentarsi al suonatore, non ha scelta, non può scappare.
Questo sistema era un modo per Khudav Singh di implorare la sua divinità “Per favore Madre Durga, chiama Ganesha, aiutami!”.
Durga, che in realtà è una rappresentazione di Parvati e quindi la madre di Ganesha, chiese allora al figlio di aiutare il suo devoto.
Ganesha acconsentì ed entrò nel corpo dell’elefante, il quale si sedette placidamente di fronte a Khudav Singh che suonava il pakhawaj e iniziò ad accarezzargli la testa con la proboscide.
Per più di mezz’ora i soldati cercarono di istigare l’animale con lance e spunzoni ma egli rifiutò di attaccare.

Il maharajà capì quindi il proprio errore e disse “Lasciamo che mia sorella sposi Khudav Singh e liberiamo l’elefante: ovunque egli andrà quelle terre apparterranno a Khudav Singh”.

giovedì 24 marzo 2016

La festa Diwali

Diwali, the lights of Festival in India.JPGCome Holi è la festa indù più importante del ciclo primaverile, Diwali lo è di quelle del ciclo autunnale.
I significati ad essa legati sono numerosissimi sia perché viene celebrata da diverse comunità religiose per motivi differenti, sia perché in realtà anche i giorni che precedono e seguono il Diwali sono importanti festività.
Secondo la tradizione più seguita al giorno d’oggi, i giorni di festa sono ben 5, riuniti sotto il generico nome di Diwali che però propriamente è il terzo.
Il primo giorno si chiama Dhanteras, che significa Tredicesimo giorno della Prosperità, riferito al fatto che cade nel tredicesimo giorno (teras) della seconda metà del mese lunare ed è considerato favorevole alla prosperità (dhan).
Questa data viene considerata come l’inizio dell’anno nuovo da parte di imprese e commercianti.
Il giorno successivo viene chiamato Naraka Chaturdashi (ma anche Choti Diwali, piccolo Diwali) ed è considerato il giorno in cui il dio Krishna sconfisse il demone Nakasura.
I devoti indù si svegliano presto, fanno un bagno, si cospargono di oli essenziali, indossano vestiti nuovi e celebrano una cerimonia in onore di Vishnu, di cui Krishna è l’ottava incarnazione.
La nota tradizione del Diwali di scoppiare fuochi d’rtificio petardi prende spunto da questo giorno di festa e rappresenta la sconfitta del demone.
Il terzo giorno, Diwali propriamente detto, è chiamato anche Lakshmi Pooja e si venera la dea della prospetià Lakshmi, moglie di Vishnu.
È ritenuto un giorno importantissimo per pulizie domestiche, nonché per piccoli lavori di ristrutturazione, poiché pare la dea visiti con piacere la case pulite e rinnovate, anche se in realtà ha la funzione pratica di risistemare le abitazioni dopo il passaggio, spesso devastante, del monsone.
Viene anche considerato il giorno in cui il dio Rama, settima incarnazione di Vishnu, tornò nella capitale Ayodhya, dopo 14 anni di esilio, per reclamare il trono del regno.
Questo è uno dei numerosi motivi per cui vengono accesi i lumini, cioè indicare a Rama la strada del ritorno.
Il giorno successivo, il quarto, viene chiamato Govardhan Pooja o Bali Pratipada, entrambi riferiti a due noti episodi mitologici.
Govardhan è il nome di una collina che Krishna tenne sospesa su un dito, per proteggere i suoi devoti durante una vendicativa tempesta scatenata dal dio Indra, precedentemente battuto in un conflitto con Krishna.
Bali Pratipada, traducibile con “i passi contro Bali”, rappresenta invece il giorno in cui Vishnu, sotto le vesti del nano Vamana (sua quinta incarnazione) riconquistò l’universo che era caduto sotto il controllo del demone Bali.
Presentandosi a Bali in quella forma, Vamana-Vishnu chiese umilmente al demone tanta terra quanto era quella che lui poteva percorrere con tre passi.
Pur avvertito da un consigliere di stare attento, Bali acconsentì, e una volta rivelata la sua vera natura divina, Vamana con un passo conquistò la terra, col secondo i cieli e col terzo l’intero universo.
Secondo un’altra versione, non sapendo dove mettere il piede per il terzo passo, Bali, riconoscendo la grandezza di Vishnu, gli chiese di poggiarlo sulla sua testa.
Grazie a questo Bali è uno dei pochi demoni a ricevere le attenzioni dei devoti indù, vista la rarità dell’onore di essere stato toccato dal piede di Dio.
Govardhan Pooja o Bali Pratipada, nello stato del Gujarat è il primo dell’anno del calendario induista Vikram-Samvat, che di solito viene fatto iniziare a metà Aprile.
Il quinto giorno infine si celebra Bhaidooj, o Yama Dwitiya, collegato al poco noto e oscuro espisodio in cui il dio della morte Yama visitò la sorella Yami.
Lei lo accolse con tutti gli onori, mangiarono assieme, quindi Yama, soddisfatto, le fece un regalo.
La tradizione vuole che in questo giorno i fratelli facciano visita alle sorelle, portando doni, che le sorelle ricambiano offrendo dolci e legando un braccialetto colorato di filo o stoffa al polso dei fratelli, in maniera simile alla festa di Raksha Bandhan (per dettagli http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2016/03/festivita-indiane-ii-parte.html).
Com’è noto le famiglie indiane sono ancora oggi molto numerose e questa festa è quindi molto sentita; i giorni successivi è curioso osservare ai polsi di tutti gli uomini, anche i più “rispettabili”, questi braccialetti di sgargianti colori.

Questi sono i significati può comunemente attribuiti dagli indù alla festa del Diwali, ma esistono numerose varianti regionali, tra cui citiamo l’originale tradizione nepalese, dove il Diwali è chiamato Tihar.
I cinque giorni di Tihar sono estremamente sentiti tanto che il paese, indaffaratissimo a compiere rituali, si blocca completamente, in un delirio di offerte devozionali, musica tradizionale e grandi abbuffate.
I cinque giorni di Tihar, curiosamente, prevedono cerimonie non solo in onore degli dei ma anche degli animali.
Il primo giorno viene venerato il corvo, considerato messaggero divino (seppur propriamente di Yama, dio della morte), mentre il secondo sono i cani ad essere venerati con ghirlande di fiori, segni colorati in mezzo alla fronte e offerte di cibo.
Il terzo giorno, anche in Nepal considerato Lakshmi Pooja e ultimo giorno dell’anno, l’animale venerato è la mucca.
Il quarto giorno, il primo dell’anno, viene dedicato all’elefante, simbolo di prosperità, mentre il quinto tocca invece ai tori.
Anche in Nepal il quinto giorno è dedicato alla visita e allo scambio dei doni tra fratelli e sorelle.

Oltre a queste tradizioni tipicamente indù, Diwali è un giorno di festa anche per le religioni Jaina, Sikh e Buddismo.
Per i Jaina il giorno di Diwali rappresenta la data della morte di Mahavira, ultimo dei 24 profeti jainisti e, come già accennato, il giorno successivo è il primo giorno dell’anno in Gujarat, dove il jainismo ha influito notevolmente sulla cultura, seppur oggi sia praticato solo dal 13% della popolazione.
I Sikh celebrano il Diwali come data del ritorno dalla prigionia di Guru Hargobind e la tradizione delle luci si collega all’atmosfera festosa che segnò questo felice evento.
Insieme a Baisaki, una festa primaverile appartenente al ciclo di Holy, Diwali è importante per i Sikh poiché durante queste due date annuali si tenevano i meeting della comunità dal quale scaturì la Khalsa, l’associazione  a capo della religione.
Nel buddismo Diwali non è considerato una festività molto importante, esclusa la popolazione buddista nepalese di etnia Newari, l’originale etnia della Valle di Katmandu, che in questo giorno venera l’antico imperatore Ashoka, considerato il responsabile della diffusione del buddismo in Nepal.

A parte i più o meno reconditi significati, le caratteristiche più evidenti del Diwali moderno sono essenzialmente tre: l’accensione di lumini, l’esplosione di petardi e fuochi d’artificio, e lo scambio di dolci.
L’atmosfera creata al tramonto quando tutti gli edifici, sia pubblici che privati, vengono illuminati da decine di lucine è decisamente suggestiva.
Secondo la tradizione, ancora abbondantemente seguita, i lumini sono composti da coppini di terracotta, di varie forme e stili, che vengono riempiti di burro chiarificato od olio di sesamo, nel quale è immmerso uno stoppino di cotone.
Molto diffuse sono anche le comuni candele, seppure nell’induismo vengono considerate illuminazioni sacre “di Serie B”, poiché, essendo composte di chimica paraffina, sono sprovviste della qualità nutritiva del burro chiarificato e dell’olio di sesamo.
L’accensione di questi lumini, comune anche durante le cerimonie quotidiane, ha infatti anche la funzione di “sfamare” le divinità.
Oggigiorno stanno prendendo sempre più piede delle economicissime, e spesso davvero originali, illuminazioni elettriche, molto simili a quelle natalizie.
Il risultato talvolta è decisamente pacchiano, soprattutto quando queste numerosissime lucine coprono interi edifici, ma offrono comunque un’armosfera molto festosa.
La tradizione di esplodere petardi e fuochi di artificio è piuttosto recente e sta avendo sempre più successo.
Se non fosse per l’uso decisamente smodato e completamente privo di elementari misure di sicurezza, l’atmosfera è piuttosto divertente, con i bambini che scoppiano miccette e accendono stelline, i ragazzini che scoppiano “raudi” e lanciano razzetti, e gli adulti che praticamente fanno esplodere qualunque cosa, fino a colpi di pistola...
Il bollettino del giorno dopo infatti elenca una serie di incidenti mortali e più o meno invalidanti, senza contare l’atmosfera irrespirabile con l’aria impregnata di polvere da sparo, le strade completamente ricoperte degli avanzi delle cartucce e gli animali, soprattutto i cani, che traumatizzati si guardano attorno basiti con la coda tra le gambe.
A causa di questi motivi, negli ultimi anni vengono emesse continuamente nuove leggi per cercare di limitare i danni e, seppur i casi di completa idiozia siano ancora comuni, qualche basilare miglioria la si può già intravvedere.

Ma la tradizione di Diwali che più di tutte accomuna gli abitanti del subcontinente indiano, a prescindere da religione, etnia, casta, età, sesso e quant’altro è quella dello scambio di dolci, che in quei giorni vengono reciprocamente e continuamente offerti in ogni situazione.

Festività indiane, III parte

Il 2 Ottobre di tutti gli anni, nazionalisti, patrioti e politici di tutta l’India, si riuniscono per festeggiare pomposamente il compleanno del Padre della Nazione, Mohandas Gandhi.
Tra le particolarità di questa festa, il 2 Ottobre in tutta l’India è un giorno “dry”, in cui è vietato il consumo di alcolici, sul quale evidentemente il Mahatma non era molto favorevole.
Non si può neppure escludere che dietro al divieto della vendita di alcolici vi siano anche ragioni di ordine pubblico visto che i numerosi sostenitori di Gandhi, in onore alla sua supposta non-violenza, sono noti per manifestazioni gigantesche in grado di tenere in scacco città intere.
Poco male, i bevitori devono solo ricordarsi di comprare una bottiglia più grande del solito i giorni precedenti...

Dopo una pletora di allegre festività in onore di nascite, verso Settembre-Ottobre cade il periodo di rituali dedicati ai morti ed agli spiriti degli avi.
In particolare il 4 di Ottobre 2013 è caduta Mahalaya, l’ultima giornata, di luna nuova (quindi senza luna), di un lungo ed inauspicioso periodo di ben 16 giorni, dedicati appunto al culto dei morti.
Data l’importanza della famiglia nella cultura e società indù questa festa è molto sentita anche dalle persone meno religiose, se non altro come occasione per omaggiare gli antenati che li hanno preceduti.
I complessi rituali che vengono svolti durante questi giorni, chiamati shraddha, seguono rigidissime regole, ma non mancano manifestazioni affettive molto semplici e naturali quali il tarpan, offerta di acqua sacra agli spiriti degli avi, come anche il pinda daan, l’offerta (daan) di particolari dolci (pinda).
Altra tradizione tipica è quella di rasarsi i capelli, sempre per rispetto verso gli spiriti, lasciando solo un ciuffo al centro del capo (rituale che viene compiuto di solito anche durante i funerali), rendendo questa giornata tradizionalmente dedicata al taglio dei capelli, non solo in funzione rituale.
Tutto questo riguarda però solo gli uomini, in particolare i primogeniti, sui quali ricadono gli oneri di compiere i rituali dedicati agli antenati.

Verso fine Settembre, prima metà di Ottobre, nel 2013 dal 5 al 15, l’India ed il Nepal sono di nuovo in tumulto per festeggiare la dea Durga, per il Sharad Navaratri, Le nove notti del mese di Sharad.
Come nel caso del giorno di nascita di Rama, Ram Navami, che cade l’ultimo giorno di Chaitra Navaratri (nove notti del mese di Chaitra), le notti dedicate ai festeggiamenti di Durga terminano con una ricorrenza dedicata a Rama, in quanto questo giorno ricorre l’uccisione del demone Ravana, chiamata Dussehra o Dashahara, altri due nomi con i quali è conosciuta questa auspiciosa giornata.
Inoltre, sempre questo giorno, la dea Durga sconfisse il potente demone Mahishashur, allungando quindi i festeggiamente dedicati alla dea a dieci giorni.
Nella vita pratica l’importanza di questa festa è ben dimostrata da tre giorni festivi ufficiali, Dussehra ed i due precedenti.
Tra le particolarità di Dussehra, in molti templi ed ashram dedicati al dio Rama, vengono eseguite letture pubbliche del Ramayana, senza dimenticare che proprio in questi giorni, nell’area attorno a Varanasi, viene inscenata la grandiosa Ram Lila, rappresentazione teatrale del Ramayana.
In Nepal, dove il culto per le dee femminili è ancora più importante, questa ricorrenza è chiamata Dasain e dura ben quindici giorni, dedicati in particolar modo a grandi sacrifici animali in onore della sanguinaria Durga e le sue varie terrifiche rappresentazioni.
Anche nello stato indiano del Bengala Occidentale, caratterizzato da una forte tradizione religiosa shakta, alla quale di rifà il culto di Durga, i festeggiamenti di Dussehra sono molto sentiti e spesso sanguinari, seppur non ai livelli del Nepal, dove pressoché tutto viene lavato nell’auspicioso sangue delle bestie sacrificate.
Nella maggior parte del nord dell’India è invece in voga la tradizione di costruire pandal, altarini improvvisati sui quali vengono collocate statue della divinità, che, dopo essere venerate per nove notti, vengono cerimoniosamente immerse nel Gange, come accade in primavera con Saraswati Pooja.

In pericolosa concomitanza con i lunghi festeggiamenti di Sharad Navaratri e Ram Navami, in questo periodo (nel 2013 proprio il 16, il giorno dopo) cade spesso la più importante festività mussulmana del subcontinente, Eid al-Adha o Bakrid, Festa del sacrificio o Festa dell’agnello.
Per commemomare il sacrificio del primo figlio da parte di Abramo, sostituito all’ultimo momento per intervento divino da un capretto, i mussulmani in questo giorno sacrificano appunto un capretto.
Oltre a questa tradizione sono previste chiaramente funzioni religiose, processioni, donazioni e vari tipi di festeggiamenti.

Verso fine Ottobre del 2013 iniziò il periodo di Diwali, la festa delle luci, che terminò con ben 3 giorni festivi dal 3 al 5 Novembre.
Come per Holy, per ulteriori dettagli rimandiamo ad un articolo specifico (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2016/03/la-festa-diwali.html).

Il 14 Novembre è caduta l’ultima festa mussulmana del 2013, Moharram.
In realtà il nome proprio della festa sarebbe Giorno dell’Ashura, o solo Ashura, mentre Moharram propriamente è il nome del primo mese dell’anno in cui cade, per l’esattezza nel decimo giorno.
In questa data viene commemorato il sacrificio di Alì, nipote di Maometto, nella battaglia di Karbala ed è una festa piuttosto seria.
In molte aree mussulmane vengono composte processioni di uomini che trasportano finte bare e si flagellano con catene e spade ma anche a mani nude, al ritmo di ipnotici canti.

Il 17 Novembre 2013 è caduta l’unica festa Sikh del calendario indiano, per celebrare la nascita di Guru Nanak fondatore e primo dei dieci maestri del sikhismo.
Chiaramente i templi sikh diventano il fulcro di colorati e allegri festeggiamenti che però, per fortuna, non sono così scriteriati come quelli delle maggiori feste indù: i sikh infatti sono noti per garbo e gentilezza.
Altra caratteristica molto importante del sikhismo è l’ospitalità e l’aiutare il prossimo che durante le feste si tramuta spesso in generose distribuzioni di dolci e lassi (yoghurt frullato), che avvengono presso i loro santuari più importanti, o anche semplicemente in mezzo alla strada.

Infine il 25 Dicembre viene festeggiato il Natale, che, come il Venerdì Santo, è sentito solo nelle piccole enclavi cristiane, Goa e Kolkata (Calcutta) su tutte.
Al di fuori di queste, anche le sparute comunità cristiane in giro per l’India festeggiano con entusiasmo la nascita di Gesù, mentre la maggior parte degli indiani di altre fedi si godono semplicemente il giorno di festa.

San Silvestro ed il primo dell’anno non sono vacanza e non vengono festeggiati in alcun modo, se non in alcuni luoghi dove la presenza di turisti occidentali è particolarmente spiccata; a Varanasi, ad esempio, si sente giusto  scoppiettare qualche fuoco d’artificio.