domenica 29 maggio 2016

I riti funebri dell'induismo

Il campo crematorio del Manikarnika Ghat a Varanasi in una foto del 1922
Secondo la versione induista della teoria della reincarnazione, quando il corpo muore l’anima deve cercare di dimenticare il più in fretta possibile l’esistenza appena terminata e trovare un nuovo corpo, in base al bilanciamento dei suoi karma positivi e negativi.
Questo è il motivo teologico per cui gli induisti quando muoiono si fanno cremare, attraverso il rito dell’antyesti, che viene solitamente eseguito entro 24 ore, 48 al massimo, dal decesso, proprio per aiutare l’anima a dimenticare la vita passata.

Sebbene oggigiorno siano sempre più diffusi, soprattutto nelle grandi città, forni crematori elettrici o a gas, sono ancora numerosi ed attivi i campi crematori tradizionali, chiamati in hindi dal sanscrito smashan, dove i cadaveri vengono bruciati all’aperto su pire di legna.
Essendo spesso situati vicino a fiumi e corsi d’acqua, come vedremo elemento molto importante durante i rituali, vengono anche chiamati ghat crematori (smashan ghat), in quanto si trovano nei pressi dei gradini per le abluzioni.
In ogni caso i campi crematori sono quasi sempre situati nella zona meridionale dei centri abitati, poiché il sud è la direzione della morte e si vorrebbe evitare che questa, quando si reca ad appropriarsi dei deceduti, debba attraversare una città, col rischio di seminare ulteriore distruzione al suo passaggio.
Sempre per questo motivo le pire vengono costruite in modo da posizionare i piedi verso sud e la testa a nord, anche se, escluse vaghe teorie personali, ci sfugge il motivo specifico per cui sia preferibile che la morte si appropri di un corpo iniziando dai piedi piuttosto che dalla testa.
Comunque, a prescindere da dove ci si trovi, grazie a questo particolare, le pire possono essere usate anche come pratiche e precise bussole.

I dettagli dei rituali funebri possono essere molto differenti per vari motivi, a partire da quello geografico, con tradizioni che possono variare da regione a regione, fino a quelli legati all’identità del defunto, quali sesso, età, casta ed altri ancora.
In realtà questi ultimi al giorno d’oggi dipendono essenzialmente dalle condizioni economiche della famiglia del deceduto: con maggiori disponibilità verrà acquistata più legna, i rituali saranno più complessi e maggiori gli articoli per le offerte da aggiungere alla pira.
All’estremo opposto si trovano invece i cadaveri non reclamati che vengono portati al campo crematorio da svogliati poliziotti, che li affidano agli addetti alle cremazioni, i quali preparano delle piccole pire con legna di recupero.
Proprio per questo motivo, prima di preparare ciascuna pira, è tradizione prelevare cinque pezzi di legna da tenere per queste situazioni d’emergenza.
Almeno ciò è quanto avviene nel campo crematorio di Harichandra Ghat a Varanasi, dove abbiamo appreso i suddeti dettagli e gli altri che descriveremo.

Prima però, come ultima premessa, bisogna ricordare che esistono alcune categorie di persone per le quali non è prevista la cremazione, ma vengono sepolte o immerse nei fiumi.
Tradizionalmente sono tre: i bambini, poiché, essendo ancora puri, non hanno bisogno che i loro karma negativi vengano bruciati dal fuoco della pira, in maniera simile a quello che avviene nella cultura cristiana dove le bare dei bambini sono bianche.
Di solito, una volta portati al ghat crematorio, vengono legati a delle grandi lastre di pietra, issati su una barca, quindi, giunti nel mezzo del fiume, vengono lasciati scivolare nell’acqua.
Per lo stesso motivo anche le donne incinta non vengono cremate, poiché portano in grembo una creatura pura.
La terza categoria di persone per cui non è prevista la tipica cremazione indù è quella degli asceti, in quanto si considera che questi siano già morti quando hanno fatto il voto di lasciare la vita mondana per andare alla ricerca di Dio.

Una volta accertato clinicamente il decesso, viene convocato il bramino di famiglia che inizia a soprassedere alle successive operazioni ritualistiche.
Prima di tutto il corpo viene spogliato, lavato ed avvolto in teli bianchi, essendo il bianco, per gli indù, il colore legato al lutto.
Come eccezione, le donne sposate il cui marito è ancora in vita vengono avvolte in tessuti rossi, il colore per eccellenza del vincolo matrimoniale.
Quindi il corpo viene legato ad una rudimentale barella di bambù, simile ad una corta scala a pioli, e portato al campo crematorio.
Seppur sia chiaramente consentito il trasporto con mezzi a motore, nei tratti percorsi a piedi, soprattutto l’ultimo fino all’area delle cremazioni, è tradizione che uno dei componenti del corteo reciti continuamente una breve frase che viene ripetuta dagli altri “Sri Rama nam, satya hai” (Il nome di Rama è la verità).
In questo caso però, con Rama non viene intesa la divinità settima incarnazione di Vishnu, bensì il Dio Assoluto, l’Uno, dando alla frase un senso, se non addirittura ironico, senz’altro consolatorio: non addoloriamoci delle nostre miserie mortali, il nome di Dio è l’unica cosa vera e certa.
Altro particolare: il corteo ed il gruppo di parenti e conoscenti che partecipano al funerale sono tutti rigorosamente maschi, in quanto si teme che le donne possano piangere, fatto considerato di estremo malaugurio per il defunto.

Giunti al ghat crematorio, il corpo viene immerso nel fiume, ancora attaccato alla barella di bambù, quindi lasciato a sgocciolare per qualche minuto sulla riva, mentre nel frattempo il parente più prossimo al deceduto, colui che eseguirà il rituale, si spoglia dei vestiti, compie alcune abluzioni, viene avvolto in teli bianchi e rasato.
Gli altri parenti terminano invece le contrattazioni con gli addetti alle cremazioni, i quali iniziano a preparare la pira, seguendo un metodo piuttosto semplice ed efficente: prima, con i pezzi di legno più grandi, formano due “binari” lunghi circa un paio di metri e distanti uno, quindi aggiungono il resto della legna alternandola perpendicolarmente e parallelamente.
Preparata la pira, il cadavere, slegato dalla portantina, vi viene appoggiato sopra, quindi si procede a versare le offerte.
Principalmente queste sono composte da: legno di sandalo, sotto forma di polvere, trucioli e cilindretti; ghee, burro chiarificato; e polvere di kapoor, canfora.
A parte l’aspetto religioso-ritualistico, questo passaggio, come la cremazione stessa, ha anche notevoli funzioni pratiche visto che i tre suddetti ingredienti sono utili sia per dare alla pira un aroma gradevole sia per favorire la combustione.

La fase dell’accensione della pira è piuttosto importante e non semplicissima, sia per la giustificabile inesperienza di colui che la esegue, sia per eventuali difficoltà climatico-ambientali.
Uno degli addetti si reca presso un tempio, situato poco lontano, dove è conservato un fuoco sacro sempre acceso, e dal quale, con dei pezzi di legno, preleva un tizzone che porta presso alla pira.
Qui, il parente preposto al rituale tiene in mano un fascio di paglia nel quale viene messo il tizzone, quindi inizia a compiere tre deambulazioni della pira, in rigoroso senso orario, al termine della quali introdurrà il fascio di paglia, a quel punto in fiamme, nell’apertura situata ai piedi della pira.
Quindi viene aggiunta altra paglia e con un minimo di attenzione da parte di addetti e familiari la pira inizia a prendere fuoco.

Di solito il tempo necessario è di circa due-tre ore, in base a vari fattori: la quantità di legna, il vento, l’umidità e non ultimo la cura degli addetti, che quando sono ben remuniti partecipano attivamente utilizzando i lunghi pali di bambù che formavano la portantina sulla quale era stato trasportato il cadavere.
Poco prima che il corpo venga completamente carbonizzato, il parente preposto, con l’aiuto di uno degli addetti, prende due pezzetti di legno, di solito i “pioli” della barella, preleva un pezzo di ossa rimaste, quasi sempre del bacino che sono le più spesse, quindi si avvicina alla riva del fiume e getta il tutto nell’acqua.
Come ultimo passaggio bisogna spegnere la pira, utilizzando una giara di terracotta che viene passata attraverso una piccola catena umana dal fiume alla pira, dove, il parente preposto al rito versa l’acqua su quanto è rimasto della pira facendola passare sulla sua mano destra.
Una volta che il fuoco è spento, si posiziona con le spalle alla pira ed al fiume, gli viene data un’ultima giara piena d’acqua, che si porta sopra alla spalla e quindi la lascia cadere all’indietro, solitamente facendola spaccare.

Ora il rituale è definitivamente concluso, senza voltarsi indietro, il parente preposto si allontana in fretta seguito da tutti gli altri.

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