sabato 28 maggio 2016

Il confine indo-pakistano

In verde l'area occupata dal Pakistan, in arancione quella
indiana, a bande diagonali quella cinese
Una delle cause dei pessimi rapporti diplomatici tra India e Pakistan è la non ancor ben definita questione dei confini terrestri.
In particolare, com’è noto, la regione montana del Kashmir offre vari punti di contenzioso tra le due orgogliose nazioni, con l’area meridionale occupata dall’India e rivendicata dal Pakistan e l’area settentrionale occupata invece dal Pakistan e rivendicata dall’India (senza contare una piccola parte cinese rivendicata dagli indiani).
L’International Border (IB) venne tracciato dagli inglesi nell’Agosto del 1947 e chiamato Radcliffe Line, in onore di Sir Cyril Radcliffe, il capo della commissione preposta ai confini, quindi venne rettificato nel 1949 dall’ONU dopo la Guerra Indo-Pakistana del 1947.

Per gran parte dei suoi 2.900 chilometri, grossomodo dal Mar Arabico all’area del Punjab, il confine Indo-Pakistano, sebbene fonte di qualche occasionale disputa, non presenta particolari problemi ed è accettato non solo dai due stati interessati ma anche dalla comunità internazionale.
Più a nord, partendo dalla città di Jammu, iniziano invece le rivendicazioni, solo parzialmente mitigate dal Patto di Shimla del 1972, con la demarcazione della Line of Control (LOC) che divide di fatto l’Azad Kashmir pakistano dallo stato indiano Jammu and Kashmir.

Il confine marittimo sul Mar Arabico è piuttosto ben definito, seppur talvolta capiti che i pescatori di entrambi i paesi, più o meno inavvertitamente, finiscano per oltrepassare i limiti e vengano catturati dagli opposti eserciti.
Di solito comunque le questioni vengono risolte abbastanza amichevolmente con piccole amnistie o veri e proprio scambi di prigionieri.

Sulla terraferma la demarcazione del confine è più problematica, non tanto per cause politiche, bensì orografiche, date dalla particolare conformazione ed inospitalità delle zone attraversate.
Politicamente, sebbene l’area sia stata materia di contenzioso durante la Guerra Indo-Pakistana del 1965, la questione è stata risolta quasi definitivamente nel 1968, grazie ad un tribunale inglese stabilito all’uopo dall’allora Primo Ministro Harold Wilson, che concesse il 10% al Pakistan ed il restante 90% all’India.
Ed escludendo l’Incidente dell’Atlantique dell’Agosto 1999, in cui una aereo dell’esercito pakistano venne abbattuto da un caccia indiano per aver sconfinato nel cielo dell’India, grossomodo non ha più creato grandi problemi.

Geograficamente invece, il Rann of Kutch si presenta come una vasta regione paludosa stagionale che durante i mesi dei monsoni si trasforma in un gigantesco acquitrino salmastro.
Trovandosi anche presso il delta dell’Indo (che comunque scorre in territorio pakistano), l’area subisce spesso notevoli inondazioni dai suoi effluenti, a cui vanno aggiunti i non rari terremoti (in particolare nel 1819, 1956 e 2001) che mutano i corsi dei fiumi spostandoli anche di alcuni chilometri.

Allontanandosi dal mare, il terreno attraversato dall’IB (International Border) si trasforma in un vero e proprio deserto di sabbia, il Thar, che prosegue verso nord fino all’area geografica del Punjab (più o meno equamente divisa tra Pakistan e India), molto fertile grazie alla presenza di numerosi corsi d’acqua originati dalle non lontane montagne: il nome stesso Punjab signufica letteralmente Le cinque acque, cioè I cinque fiumi.
Qui il confine Indo-Pakistano è ben marcato, grazie anche alla presenza del Wagah Border (noto per le bellicose cerimonie di chiusura che attirano un surreale tifo da stadio), attualmente il posto di confine più frequentato e storicamente porta d’accesso occidentale alla penisola indiana.

La spinosa questione del Kashmir sorse all’indomani della dipartita degli inglesi dal subcontinente indiano e fu causata dalla particolare situazione socio-religiosa dell’area.
Seppur la maggior parte della popolazione fosse, e sia tuttora, mussulmana, che avrebbe dato diritto di occupazione al Pakistan, il Maharajà era un indù che decise di cedere il proprio regno all’India, ponendo quindi le basi per un’infinità di dispute tra i due stati, esacerbati anche dai numerosi e bellicosi movimenti indipendentisti, spesso appoggiati dal Pakistan che non perde occasione per seminare zizzania in territorio indiano.
Il culmine venne raggiunto tra Maggio e Luglio del 1999 con la Guerra di Kargil, causata da una forte infiltrazione in territorio indiano di militanti kashmiri, sostenuti dall’esercito pakistano.
La tempestiva ed energica reazione indiana, appoggiata anche dalla comunità internazionale (con il presidente americano Bill Clinton che chiese espressamente alla controparte pakistana di interrompere l’attacco) permise una veloce risoluzione del conflitto rioccupando i propri territori ed espellendo gli invasori.
Il coinvolgimento del governo e dell’esercito pakistano, anche questo provato tempestivamente dall’intelligence indiana, pare sia stato causato dall’intenzione di poter utilizzare eventuali guadagni territoriali come “merce di scambio” per potersi riappropriare degli avamposti situati sul Ghiacciaio di Siachen, che l’India aveva conquistato nel non lontano 1984.
Il differente trattamento della comunità internazionale in questi due episodi è dato dal fatto che nel caso del Ghiacciaio di Siachen, l’India aveva conquistato territori che non erano chiaramente marcati, mentre l’invasione pakistana di Kargil aveva superato confini ben definiti.

La questione del Ghiacciaio di Siachen è comunque emblematica della complessità della situazione e famosa per alcuni record ben poco edificanti.
Innanzitutto si tratta del campo di battaglia alla maggior altitudine, circa 6.000 m s.l.m., ed è noto per essere uno dei luoghi più pericolosi al mondo, non tanto per gli sporadici conflitti, quanto per la durezza del clima che tra freddo, altitudine, tempeste e valanghe causa ben più decessi delle operazioni belliche (esperti di balistica mettono anche in dubbio la reale efficacia, a quelle altitudini, delle armi di fuoco).
L’area del contenzioso si aggira intorno ai 2.500 km2 e si tratta di un grande ghiacciaio situato nelle remote montagne del Karakorum Orientale, presso il punto in cui si incontrano i confini tra Pakistan, India e Cina.
Inizialmente, e giustamente, data l’inaccessibilità dell’area il confine non era molto ben definito ma non sembrava presentare particolari controversie ed era accettata la divisione dell’ONU del 1949, nonché la sua rettificazione in seguito al conflitto Indo-Pakistano del 1971 ed il successivo Patto di Shimla del 1972.

Fondamentalmente la situazione era la seguente: l’esercito pakistano arroccato sul versante occidentale e l’esercito indiano su quello orientale, in mezzo si trovava il ghiacciaio, in una non ben definita “terra di nessuno”.
Con l’inasprirsi delle relazioni tra i due paesi, dal 1977 alcuni militari indiani iniziarono ad esplorare meglio la zona, spinti anche dal fatto che il Pakistan, sul suo versante, stava iniziando ad aprire le porte alle esplorazioni internazionali, come per legittimare la propria occupazione.
Nel 1981, una volta acquisita una certa conoscenza dell’area, l’esercito indiano iniziò a preparare un attacco, dapprima previsto dalla controparte pakistana che si era accorta delle attività sospette del nemico, pare addirittura per aver trovato i resti di un pacchetto di sigarette indiane (se gli indiani non l’hanno capito così che non si butta la spazzatura per terra, non lo capiranno mai).
Purtroppo però anche l’esercito pakistano fece un grossolano errore, cioè si rifornì di materiale bellico speciale per il freddo estremo dalla stessa ditta londinese di cui si serviva l’esercito indiano, il quale, venutone a conoscenza, ordinò quindi il doppio del materiale per preparare il maggior numero possibile di soldati.
E nell’Aprile del 1984, con l’Operazione Meghdoot (Il messaggero delle nuvole), l’India avanzò il proprio confine fino ad occupare due importanti passi di montagna il Sia La ed il Bilafond La (e successivamente anche il terzo ed ultimo, il Gyong La), che permettevano una posizione dominante sul ghiacciaio.

Durante i successivi tre anni, l’esercito pakistano concentrò i suoi sforzi nel cercare di impossessarsi dei picchi che si trovavano al di sopra dei passi controllati dagli indiani, in particolare il Qaid Post situato proprio sopra al Bilafond La.
Nei mesi di Giugno-Luglio del 1987 però, l’India lanciò l’ardita Operazione Rajiv, con la quale riuscì a conquistare il Qaid Post, ribattezzato in seguito Bana Post in onore del comandante Subedar Bana Singh, uno dei responsabili della riuscita operazione.
Il successivo tentativo a Settembre dello stesso anno di riprenderne possesso da parte dell’esercito pakistano fu invece sventato grazie al fatto che l’India, insospettita da strani movimenti oltre confine, ebbe modo di anticipare l’operazione Qaidat, guidata dal Generale Musharraf (futuro Presidente del Pakistan), con l’operazione Vajrashakti.

Successivamente il Pakistan ha riprovato più volte a riconquistare il terreno perso (circa 2.500 km2), nel 1990,1995, 1996 e perfino nel 1999, senza però riuscire nel suo intento.
Al momento la situazione è piuttosto definita dalla Actual Ground Position Line, una linea di circa 110 km che rappresenta il nuovo confine sul ghiacciaio.
Oltre a questo, vi sono altre cause contingenti grazie alle quali da molti anni non si verificano particolari incidenti: intanto un temporaneo armistizio attivo dal 2003, quindi un auspicato maggior disinteresse delle due parti, nonché la situazione di stallo bellico.

L’India infatti, preso possesso e controllo dell’intero ghiacciaio, non ha nessun interesse particolare a lasciare i suoi dominanti avamposti per scendere verso il lato opposto della valle ed il Pakistan non è in grado di risalire e riprendersi le sue postazioni.

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