venerdì 27 maggio 2016

Parabola di Purnananda e Sarvananda

I nove corpi celesti induisti con il Sole al centro
Sarvananda era il figlio dell’astrologo di corte del Re del Tripura, nella zona nord-orientale dell’India.
L’astrologo riuscì ad avere un figlio soltanto dopo lunghi anni di austerità dedicate a Shiva e il figlio che nacque, Sarvananda, in qualche modo era un’incarnazione di Shiva, seppur il padre lo realizzò solo in tarda età.
Un giorno, quando Sarvananda era ancora ragazzo, il padre lo portò a corte per mostrarlo al Re, sperando di ottenere qualche ricompensa per la sua precocità.
In quel periodo a corte vi era un’assemblea di astrologi che discutevano sui giorni lunari, affermando che quel giorno era luna nuova.
Quando però gli astrologi chiesero il parere di Sarvananda, egli disse che era un giorno di luna piena.
Questo suscitò gli sghignazzi del gruppo di astrologi e gli procurò uno schiaffo da parte del padre imbarazzato, preoccupato di come salvare la faccia da questa brutta figura (e dimenticando che il figlio era un dono di Shiva).
Il ragazzo si arrabbiò e corse a casa, dove lo accolse l’anziano servitore Purnananda che gli asciugò le lacrime e lo consolò un poco.
Quindi mandò Sarvananda nella giungla con un coltello a raccogliere foglie di palma sulle quali Purnananda avrebbe poi copiato parte di alcuni testi di astrologia da insegnare al ragazzo.
Sarvananda si arrampicò su una palma e scaricò la sua rabbia tagliando foglie di palma.
Nel frattempo la Natura aveva mandato un siddha, un essere etereo di altissimo ordine, a prendersi cura di Sarvananda (Madre Natura ama Shiva, quindi è abbastanza normale che voglia aiutare Sarvananda).
Questo siddha assunse il corpo fisico di un asceta, creò un cobra illusorio e lo fece salire sull’abero sul quale stava Sarvananda.
Quando il ragazzo vide il serpente, focalizzò tutta la sua collera si di lui “Così tu vorresti mordermi? Va bene, ma prima ti faccio a pezzetti, cosa ne dici?’, e così dicendo tagliò il serpente in due sbattendolo contro una foglia di palma affilata e lo gettò ai piedi dell’albero.
Il siddha era seduto proprio là sotto e quando sentì cadere sui suoi capelli il sangue e i pezzi del cobra morto urlò “Ehi, cosa succede? Vieni subito giù!”.
Sarvananda scese timoroso pensando di essere sgridato o picchiato, ma il siddha si strofinò semplicemente i capelli e disse “So tutto, ragazzo mio, e sono qui per aiutarti”.
Usando il sangue del serpente, scrisse in dettaglio il tipo di Shava Sadhana (rituale nel quale si utilizza un cadavere) che avrebbe compiaciuto Madre Kali se fosse stato propriamente eseguito.
Quindi Sarvananda tornò da Purnananda e gli raccontò l’accaduto.
L’anziano allora lesse i dettagli e gli disse “Questo rituale deve essere fatto in una notte di luna nuova, che è stanotte. Andiamo allo smashan (campo crematorio), mi uccidi, siedi sul mio cadavere e compi il rituale. Quando Kali verrà da te e ti chiederà cosa desideri, tu chiedile di farmi resuscitare e fare quello che dico”.
Giunti allo smashan, Sarvananda tagliò la gola a Purnananda, sedette sul suo cadavere ed iniziò a ripetere il mantra che gli era stato insegnato.
Dopo alcune ripetizioni Kali apparve, chiese al ragazzo cosa desiderasse e lui Le rispose come Purnananda lo aveva istruito.
Kali quindi resuscitò Purnananda e chiese “Che cosa volete voi due?”.
Purnananda rispose “”Tutti i cosiddetti grandi astrologi hanno preso in giro il mio ragazzo perché ha detto che questa notte era luna piena: mantieni l’onore del mio ragazzo”.

Kali sorrise e dall’unghia del suo dito mignolo emerse una palla di luce così luminosa che per migliaia di chilometri sembrava una luna piena; e quando gli astrologhi di corte la videro, rimasero stupefatti.

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