lunedì 2 maggio 2016

La canapa in India: il bhang

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Mangiatori di bhang in un dipinto del 1790
In botanica il termine canapa si riferisce alle piante del genere cannabis, della famiglia delle cannabacae, di cui l’unico altro genere è humulus, del quale fa parte la pianta del luppolo, humulus lupulus.
Il genere cannabis è diviso in tre specie: indica, sativa e ruderalis, seppur per taluni scienziati esistano dei dubbi su questa classificazione tassonomica; ad esempio, la ruderalis viene talvolta considerata una sottospecie della sativa.

In Asia la specie più diffusa è l’indica, che nel subcontinente indiano cresce spontanea pressoché ovunque ed è quindi una pianta molto radicata nella cultura e nelle tradizioni locali.
Chiaramente anche l’India ha risentito del bando internazionale che ha colpito la cannabis nell’ultimo secolo, ma, almeno localmente, la canapa viene ancora utilizzata per oli, carta, tessuti, cordame e per ultimo, con i resti inutilizzabili, come foraggio per gli animali.
Ovviamente è molto apprezzata anche per le sue qualità psicoattive, che nel subcontinente indiano bilanciano la quasi totale assenza, dovuta in gran parte al clima, di una diffusa tradizione ad assumere alcool, e questo è ben mostrato nel fatto che la divinità più venerata del pantheon indù, Shiva, sia appunto un grandissimo consumatore di cannabis.
In India i sistemi più comuni per assumere i principi attivi della canapa sono 2: per ingestione, mangiandola, o per combustione, fumandola.
I prodotti più diffusi sono 3: il bhang, che viene ingerito, la ganja e la charas che vengono invece fumate.

Il bhang è una pasta verde scuro, prodotta da foglie e fiori di canapa tritati e mischiati con acqua (talvolta anche latte e/o ghee, burro chiarificato).
Per il bhang non sono richieste particolari attenzioni sulla qualità delle piante, tecnicamente può essere preparato anche con quelle che crescono spontaneamente ai lati delle strade e l’unico requisito essenziale è che le piante siano femmine, o almeno ermafrodite, poiché i maschi posseggono una scarsa quantità di thc, il principio attivo.
Il bhang viene di solito confezionato in forma rotonda, creando con questa pasta verde palline di dimensioni di poco superiori a quelle di una ciliegia, che vengono consumate direttamente in piccoli bocconi, accompagnati da un po’ d’acqua, oppure mischiate in qualche preparazione culinaria, come ad esempio lo yogurt, per produrne gustosi bhang lassi (yogurt frullato), ma anche con la farina di ceci per cucinare le pakora, note ed apprezzate frittelle indiane.
Quest’ultima preparazione è particolarmente diffusa durante la festa di Shivaratri, la più importante tra quelle dedicate al dio Shiva, e durante la quale è tradizione radicatissima assumere bhang.
L’effetto psicoattivo chiaramente dipende dalla tolleranza dei singoli consumatori e dalle dosi, e seppur assumendo la canapa per ingestione può rivelarsi molto potente, l’unico rischio è semplicemente quello di un’irresistibile sonnolenza.

Il diffuso utilizzo del bhang è dovuto anche alla sua peculiare caratteristica, che lo distingue dagli altri prodotti psicoattivi della canapa in India, cioè di essere completamente legale.
Esso infatti viene venduto in piccoli negozi governativi presenti sia nelle grandi città che nei piccoli centri.
La diffusione di questi negozi dipende dal consumo che può variare notevolmente da luogo a luogo, ad esempio, Varanasi, la città più sacra a Shiva, è considerata la capitale del bhang poiché, essendo consumato da una nutrita schiera di devoti estimatori, la qualità è buona e le rivendite numerose.

I negozi governativi comunque non sono l’unica fonte e, data la facile reperibilità della materia prima, è ancora molto radicata l’usanza di prepararlo personalmente.

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