Il sistema castale indiano trae le sue origini
nell’antichità, ma prese campo in particolar modo dal medioevo, durante la
dinastia Moghul ed il periodo di colonizzazione britannico.
Il sistema si basa su due concetti, varna e jati, con il
primo che significa letteralmente classe e si riferisce alle quattro classi
sociali esistenti nell’antica società vedica: bramini (sacerdoti), kshatriya
(guerrieri), vaishya (mercanti, artigiani, contadini) e sudra (servi), a cui si
aggiunge il grande gruppo dei dalit (fuoricasta).
Il termine jati invece significa casta e si riferisce alle
occupazioni, considerate ereditarie ed endogame, quindi si può dire che
all’interno dei quattro varna esistono migliaia di jati.
Il collasso dell’impero Moghul portò l’aumento di uomini potenti
che si associavano a re, sacerdoti ed asceti e che iniziarono a dividere la
società in caste sempre più numerose.
I britannici implementarono ulteriormente questo sistema,
basando l’amministrazione del paese su una rigida organizzazione castale.
Fino al 1920 i britannici segregarono gli indiani secondo
classi e caste, garantendo lavori amministrativi ed importanti cariche solo
agli appartenenti alle caste più alte, ma i disordini sociali scoppiati in
quegli anni portarono al cambiamento di questa politica iniziando la cosiddetta
“positiva discriminazione”, garantendo quote riservate nei lavori statali
proprio alle caste inferiori.
Nella storia dell’India sono stati numerosi i riformatori
sociali che si sono dedicati all’eradicazione della divisione castale e
dell’intoccabilità, tra cui spiccano, ad esempio, Jyotirao Phule, Swami
Vivekananda, Gandhi e Dr. Ambedkar.
Jyotirao Phule (1827-1890) fu un noto attivista, in
particolare accanito sostenitore dell’istruzione femminile ed oppositore della
divisione in caste, rinnegando i Veda e confutando strenuamente la falsa idea
che il lavoro che gli uomini svolgono determini che alcuni siano superiori ed altri
inferiori.
Jyotirao Phule viene anche accreditato per aver coniato il
termine dalit per i fuoricasta, che letteralmente significa rotto, schiacciato,
per descrivere le condizioni di quanti si trovano al di fuori del sistema dei
quattro varna.
Molto apprezzata ed appoggiata fu la critica al sistema
castale da parte di Swami Vivekananda (1863-1902) poiché avvenuta dall’interno
dell’induismo, essendo lui stesso un monaco.
In particolare la critica di Vivekananda si basava sul
rigetto della divisione castale in quanto barriera contro il libero pensare ed
agire dell’individuo, che lui considerava condizioni necessarie per la crescita
ed il benessere dell’uomo.
Il giovane Gandhi, strenuo difensore dell’induismo, non fu
inzialmente contrario alle caste, anzi appoggiava il sistema dei varna ed era
critico solo del concetto di jati e dell’ereditarietà.
Successivamente, vedendo i danni alla società che questo
sistema portava, si schierò in maniera sempre più contraria arrivando ad
affermare chiaramente che “Sostenere la superiorità di un uomo su un altro è un
peccato contro Dio e contro l’umanità. Quindi le caste, che sono basate su
questo principio, sono un male”.
Dr. Ambedkar (1891-1956), avvocato, giurista e politico,
nacque lui stesso in una famiglia dalit ed ebbe modo di soffrire in prima
persona delle discriminazioni castali che diventeranno, durante la sua carriera,
l’oggetto delle sue più feroci critiche e battaglie.
Il fatto che sia stato affidato a lui il difficile compito
di scrivere la costituzione indiana dopo l’indipendenza, dimostra come già dal
principio il governo indiano si sia schierato, almeno formalmente, contro la
divisione castale.
Al giorno d’oggi ogni discriminazione basata sulle caste è considerata
illegale ed anche la stigma sociale verso le classi più basse e i dalit sta
scomparendo, quindi il discorso si sta spostando dalla società alla sfera
politica, rendendolo un argomento molto caldo durante le elezioni, sia
nazionali che locali.
Chiaramente le varie fazioni politiche fanno a gara per
mostrare il proprio interesse a migliorare le condizioni delle caste
svantaggiate, ma i risultati pratici non sono poi così eclatanti.
Bisogna anche notare che l’argomento è davvero complicato,
perfino contraddittorio, se si pensa che anche un genuino interesse verso le
classi povere rappresenta comunque una forma di discriminazione.
Per ulteriori dettagli rimandiamo ad un post sull’argomento
con alcuni dati tratti dal quotidiano The Times of India (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/04/le-quote-riservate-alle-classi.html).
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