venerdì 30 giugno 2017

Le statue più alte dell’India, II parte

Cape Comorin, South India.jpg
La statua di Thiruvalluvar a Kanyakumari
Dopo una breve introduzione generale (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2017/06/le-statue-piu-alte-dellindia-i-parte.html), entriamo nel dettaglio delle statue più alte dell’India, descrivendo brevemente le prime 3: Paritala Anjaneya Temple in Andhra Pradesh, Thiruvalluvar Statue in Tamil Nadu e Buddha Tathagata in Sikkim.

Attualmente la statua più dell’India forma il Paritala Anjaneya Temple, dal nome del villaggio nel quale sorge, Paritala, a circa 30 km dalla città di Vijayawada in Andhra Pradesh, e dal matronimico del dio scimmia Hanuman, figlio di Anjana, al quale è dedicato il tempio.
Alta ben 41 metri, venne completata nel 2003 e rappresenta Hanuman in piedi, con il braccio destro piegato ad angolo retto ed il palmo della mano rivolto verso l’esterno a formare l’abhaya mudra, gesto che nella cultura induista e buddista rappresenta rassicurazione e protezione, mentre il braccio sinistro è poggiato alla sua tipica clava che giunge fino a terra; tra le decorazioni che lo vestono, si può notare la grande collana e l’elaborata corona.
Il risultato finale è piuttosto gradevole, ma essendo costruita in cemento, il colore è un anonimo grigio chiaro.

Le seconda statua più alta dell’India si trova in Tamil Nadu, rappresenta il poeta di lingua tamil Thiruvalluvar (IV-I secolo a.C.) ed è alta ben 40,6 metri.
Costruita tra il 1990 ed il 1999 in cemento e granito, rappresenta Thiruvalluvar in piedi, vestito con un lungo drappo e con i fianchi leggermenti inclinati a sinistra, in una posa che ricorda quella di Shiva Nataraja, Signore della Danza.
Il braccio destro è proteso in avanti, con la mano che forma il varuna mudra, gesto che si forma con il pollice e l’indice che si toccano sul palmo e le altre tre dita protese verso l’alto.
Il braccio sinistro invece è piegato al petto e la mano regge due tavolette che anticamente servivano come quaderni per scrivervi.
Oltre al buon risultato artistico, la statua di Thiruvalluvar vanta anche una spettacolare collocazione, trovandosi su un isolotto a poche centinaia di metri dalla punta più meridionale della penisola indiana, vicino ad un’altra rocca dove sorge invece un monumento in onore del santo Vivekananda (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/10/breve-cenno-sri-ramakrishna-e-swami.html).

Il Sikkim è uno stato montano considerato una delle roccaforti del buddismo a sud dell’Himalaya.
Nei pressi della città di Ravangla, tra il 2006 ed il 2013 è stato costruito un parco, poco originalmente chiamato Buddha Park, che ospita una statua del Buddha alta ben 39 metri.
Costruita in cemento e pietra, rappresenta il Buddha seduto, con una tunica sulla spalla sinistra e le braccia al petto con le mani che formano un non ben precisato mudra.
Il Buddha è seduto sopra ad un fiore di loto, posizionato su una gigantesca ed elaborata costruzione quadrata che funge da piedistallo, sulla cima di una piccola collina artificiale, con le vette himalayane sullo sfondo.
Molto gradevole è anche la colorazione con la corona blu, il corpo dorato e la tunica amaranto.

Talvolta questa statua viene chiamata Tathagata Tsal, da tathagata epiteto che il Buddha usava per riferirsi a se stesso e dal volutamente ambiguo significato, che può essere tradotto sia come “Colui che così viene”, ma anche come “Colui che così va”.

giovedì 29 giugno 2017

Le statue più alte dell'India, I parte

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Dimensioni di alcune note statue, compreso il basamento: Buddha Vairochana di Lushan (153m), Statua della Libertà (93m), Statua della Madre Russia (85m), Cristo Redentore (38m), David di Michelangelo (5,17m)

Stando alla lista delle statue più alte al mondo presente nella versione inglese di Wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_tallest_statues), attualmente ne esistono circa 130 che superano la considerevole altezza di 30 metri.
La maggior parte si trovano in Asia, di cui in particolare ben 36 in Cina, 22 in India e 21 in Giappone.
Escluse rare eccezioni, si tratta di costruzioni piuttosto recenti, a causa del fatto che per edificare monumenti di tali ciclopiche dimensioni, oltre alle capacità artistiche sono necessarie avanzate conoscenze ingegneristiche.
Ad esempio, la statua più alta al giorno d’oggi, ben 128 metri, rappresenta il Buddha Vairochana e si trova presso la città di Lushan in Cina, dove venne completata nel 2002.

Sebbene l’India possa vantare un elevato numero di statue di ragguardevoli dimensioni, al momento nessuna raggiunge tali altezze e l’attuale record indiano si ferma ai 41 metri di una statua del dio scimmia Hanuman, terminata nel 2003 presso la città di Vijayawada.
La situazione dovrebbe comunque cambiare entro i prossimi 2-3 anni quando verrà terminata la Shivaji Smarak, una scultura del guerriero maratha Shivaji, in costruzione su un’isolotto della Baia di Mumbai, che dovrebbe raggiungere addirittura i 210 metri.

In attesa del completamento di questa gigantesca opera, e di altre di minori dimensioni in costruzione o progettazione, proponiamo una breve panoramica delle 7 statue indiane più alte al Giugno 2017.
Nominalmente e geograficamente, queste sono: la già citata statua di Hanuman di Vijayawada, chiamata Paritala Anjaneya, di 41 metri; la statua del poeta tamil Tiruvalluvar, su un isolotto di fronte a Kanyakumari, il punto più meridionale della penisola indiana, alta ben 40.6 metri; nei pressi della città di Ravangla, nello stato montano del Sikkim, è presente una statua del Buddha, chiamata Tathagata Tsal, alta 39 metri; anche nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, presso il villaggio di Amaravathi, è stata costruita una gigantesca statua del Buddha di 38 metri; sempre di matrice buddista è anche la quinta statua indiana più alta, di 37.5 metri, raffigurante Padmasambhava, o Guru Rinpoche, un maestro buddista dell’VIII secolo, costruita presso il sacro Lago di Rewalsar, nello stato montano dell’Himachal Pradesh; la statua di Shiva vicino al tempio di Murdeshwar, nello stato meridionale del Karnataka, raggiunge un’altezza di 37 metri; infine, la settima ed ultima della nostra panoramica è di nuovo buddista e dedicata a Padmasambhava, ed è situata presso la cittadina di Namchi nello stato del Sikkim.

Prima di entrare nei dettagli, una breve considerazione di tipo morale-umanistico.
Come accennato anche in un precedente post sulla statua di Shiva Kailashnath Mahadev costruita recentemente in Nepal (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2017/06/la-statua-di-kailashnath-mahadev.html), è lecito, e forse doveroso, chiedersi quali siano i reali benefici che ne possono trarre società ancora alle prese con enormi difficoltà economiche.
Probabilmente molto pochi e solo parziali, essendo prima di tutto spinte dagli interessi di chi possiede potere e risorse: le statue indiane che decriveremo sono state costruite tra il 1999 ed il 2013, quindi sotto differenti governi ed influenze politiche, ma i biechi motivi sono identici.

A questo bisogna anche aggiungere un ancor più grave fattore, acuito dai recenti progressi dell’economia indiana, cioè il costante aumento di un ormai anacronistico sentimento patriotico, cavalcato a meraviglia dal sempre crescente nazionalismo indiano, in particolare di matrice induista.
Non a caso, la già citata statua che diventerà la più alta al mondo (sigh!), sarà dedicata a Shivaji (1627-1680), guerriero fondatore del breve Impero Maratha (1674-1818), che trascorse la propria vita a combattere contro l’Impero Moghul e considerato, giustamente, un eroe induista; purtroppo però la sua figura è stata recentemente rivista, fino a farne il precursore del nazionalismo indiano, come se questo fosse un merito...

(Se questa critica può sembrare severa, proponiamo un semplice paragone: cosa penserebbero gli italiani se il governo decidesse di costruire una gigantesca statua di Garibaldi? Con tutto il rispetto per l’eroe dei due mondi, sarebbe semplicemente ridicolo!)

mercoledì 28 giugno 2017

Il thali

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Alcune tipologie di thali
Il significato originale del termine indiano thali è piatto, nel senso di stoviglia, esteso poi ad indicare il tipico pasto dell’India, ma anche del Nepal e del Bangladesh, formato da riso e/o pane, lenticchie e verdure.
Data la vastissima diffusione geografica, esistono innumerevoli versioni del thali, cui bisogna aggiungere anche le differenze dovute al tipo di locale in cui vengono serviti.
Ad esempio, anche nella stessa città, il thali di un economico dhaba (tavola calda) e quello del ristorante di un albergo di medio-alto livello sono molto diversi.
In particolare le differenze riguardano la qualità degli ingredienti, la cura nel cucinarli ed il numero di pietanze, contorni e condimenti che vengono proposti.

Un thali di media qualità è composto solitamente da almeno 7-8 elementi.
Il companatico è una montagna di riso in bianco, ma nell’India del nord comprende anche pane, solitamente il classico chapati, ma anche puri, pane fritto.
Il dal servito nei thali è un semplice brodo di lenticchie a base di cumino, curcuma, aglio e zenzero, ma nei migliori locali può essere sostituito da altre preparazioni a base di lenticchie leggermente più appetitose, come il dal fried (saltato in padella) o il dal makhani (in un ricco sugo a base di burro).
In Nepal invece, grazie all’abbondanza di legumi, il dal è quasi sempre composto da più tipi di lenticchie, diventando più saporito e consistente.
Le portate principali sono almeno due: un curry di verdure asciutto, solitamente a base di patate, fagiolini ed ortaggi a foglia, ed uno più liquido, magari a base di ricotta nei thali un minimo più ricercati, mentre nel caso di quelli non-vegetariani si tratta di un curry di pollo o montone.

Come contorno, sempre presenti sono alcune fettine di verdure crude, daikon, cetrioli, carote, cipolle e pomodoro, in ordine dalla più economica e quindi reperibile.
Spesso presente e sempre apprezzata è una papad, una piadina sottile e croccante a base di farine di lenticchie e pepe nero, servita come snack.
Venendo ai condimenti, immancabili sono alcuni pezzettini di pickle, talvolta sostituiti o con l’aggiunta di qualche cucchiaiata di achar.
I pickle sono dei sottolio piccanti a base di verdura o frutta; in India i più diffusi sono di fettine di mango acerbi che, oltre a sposarsi bene dal punto di vista della consistenza e del sapore, sono estremamente economici visto che il paese produce più manghi di quanti ne possa ragionevolmente consumare.
Infine, come dolce, viene quasi sempre servito un po’ di dahin (yoghurt), talvolta con l’aggiunta di zucchero, soprattutto nel caso non sia molto fresco ed inizi ad essere acidognolo.

Nei locali più economici, dove il thali è formato da un numero minore di componenti, solitamente viene servito in dei grossi vassoi, quadrati o rotondi, muniti di scomparti separati, di cui uno più grande per il riso ed altri più piccoli per pietanze, contorni e condimenti.
Nei ristoranti che servono thali più ricchi, vengono invece proposti su dei grandi piatti rotondi, muniti di alti bordi, sui quali vengono posati i componenti del thali più asciutti, cioè il riso al centro con la papad ed ai lati uno dei due curry, i pickle e l’achar, mentre dal, il secondo curry e lo yoghurt vengono serviti in coppini separati.
Per questioni di praticità dei camerieri, anche questi coppini sono posizionati nel grando piatto rotondo, ma una volta portato al tavolo vanno tolti per lasciare più spazio per condire il riso.

Seppur non esistano regole precise ed ognuno è libero di consumare il thali come più gli aggrada, solitamente si inizia con il pane, o il riso, ed il curry più ricco, quindi si condisce del riso con il dal e vi si mischiano le verdure asciutte, e si procede in questo modo alternando ogni tanto qualche pezzetto di verdura cruda e di papad, per prendere una pausa, e spiluccando magari un po’ di pickle ed achar.
Fino ad un recente passato, uno dei motivi del successo del thali era l’essere servito fino a sazietà, con i camerieri che giravano tra i tavoli muniti di pentole ed altri contenitori, per rifornire continuamente i clienti; oggigiorno i thali sono fissi e gli unici componenti che vengono serviti più di una volta sono riso e dal, ma per una cucchiaiata extra di verdure, bisogna fare affidamento sulle proprie capacità di persuasione e la magnanimità dei camerieri.
Per questo motivo, solitamente si inizia consumando le portate principali con pane e/o riso, ma si conclude con montagne di riso e dal fino a riempimento; data la limitata gamma di sapori, sarebbe tattico tenere un po’ di pickle ed achar.

Lo yoghurt viene spesso tenuto per ultimo per stemperare i forti gusti speziati, ma è anche utile durante il pasto nel caso le pietanze fossero troppo piccanti.

martedì 27 giugno 2017

I fiumi del Nepal, V parte Bacino del Karnali

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Tre esemplari di gaviali insieme ad un coccodrillo palustre sulla riva del Karnali
Il bacino del fiume Karnali comprende numerosi corsi d’acqua che bagnano le regioni più occidentali del Nepal.
Il Karnali, chiamato anche Ghaghara e Sarayu, nasce in Tibet, attraversa longitudinalmente il Nepal (del quale è il fiume più lungo con 507 km), quindi entra in India scorrendo verso sud-est per andare a sfociare nel Gange, nello stato del Bihar.
Gran parte del percorso del Karnali in territorio nepalese avviene attraverso zone ancora scarsamente abitate tra alte montagne e dense foreste, dove il corso del fiume è protetto all’interno di parchi e riserve naturali, che ospitano alcuni degli animali fluviali più rari del subcontinente indiano, come i delfini del Gange ed i gaviali.
Dal confine con l’India fino al Gange invece, il Karnali attraversa zone densamente abitate dove la sua maggior importanza è legata all’agricoltura ed alla fondamentale irrigazione dei campi.
Culturalmente il Ghaghara è noto per attraversare la città sacra indiana di Ayodhya (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/11/la-cittadina-di-ayodhya.html), prendendo il nome di Sarayu.

Partendo dal ghiacciaio Mapchachungo a quasi 4.000 metri di altitudine, il Karnali entra in Nepal passando nei pressi del Parco Nazionale Rara, noto per ospitare l’omonimo lago che è il più esteso del paese.
Continuando in direzione sud, il primo grande tributario destro del Karnali è il fiume Seti, lungo circa 200 km, che ha origine nelle pendici meridionali dell’Himalaya.
Poco dopo, la portata del Karnali aumenta ulteriormente grazie all’incontro con il fiume Bheri, tributario sinistro lungo circa 260 km, originario dell’area del monte Dhaulagiri.
Giunto nelle colline Shivalik, che occupano la fascia centrale del Nepal, il Karnali attraversa il Parco Nazionale Bardia noto per trovarsi in un’area particolarmente indisturbata dell’altrimenti sovrappopolato Terai, la parte settentrionale della pianura gangetica al confine tra Nepal e India.

Entrato in territorio indiano, il Karnali incontra un altro grande affluente destro, il fiume Mahakali, detto anche Sharda.
Originario delle impervie regioni di montagna tra Nepal e Cina, il fiume Mahakali forma per vari tratti il confine tra Nepal ed India, come stabilito dal Trattato di Sugauli, firmato nel 1816 dopo la Guerra Anglo-Nepalese.
Purtroppo però, a causa della presenza di numerosi ruscelli e torrenti che scendono dalle montagne, in alcuni punti è difficile stabilire con precisione l’effettivo corso del Mahakali ed al momento la zona è occupata dall’India ma reclamata dal Nepal.
L’India infatti ha occupato il territorio fino al braccio più orientale del Mahakali, mentre secondo il governo nepalese dovrebbe fermarsi nel punto più occidentale.

Oltre all’importanza politica, come altri corsi d’acqua nepalesi, il Mahakali è interessato da vari progetti per la produzione di energia elettrica, nella prima parte del percorso, e di sbarramenti e canali una volta giunto in pianura, per migliorare l’irrigazione e diminuire i danni delle innondazioni.
Nonostante questo, il Mahakali attraversa alcune delle regioni più selvagge del subcontinente, protette dal Parco Nazionale di Shuklaphanta in Nepal e dal Katarniaghat Wildlife Sanctuary in India.
Altra piccola curiosità naturalistica, le acque del Mahakali, chiamato anche Kali, sono note per ospitare popolazioni di pesci gatto (del genere bagarius, specie bagarius yarrelli), che raggiungono dimensioni tali, oltre i due metri, da essere ritenuti responsabili di alcuni annegamenti avvenuti tra il 1998 ed il 2007.
È possibile che questi pesci siano cresciuti a dismisura nutrendosi dei resti delle pire funerarie e che da questo abbiano quindi sviluppato una particolare preferenza per la carne umana.


Prima di mergere nel Gange, il Karnali viene raggiunto da un ultimo affluente, il fiume Rapti Occidentale che scende dall’Himalaya e forma il confine tra il bacino idrico del fiume Gandaki alla sua sinistra e quello del Karnali a destra.

giovedì 22 giugno 2017

I fiumi del Nepal, IV parte Bacino del Gandaki

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Il fiume Gandaki presso la cittadina montana di Beni
Il Gandaki, chiamato anche Narayani, è uno dei più grandi fiumi del Nepal, che nasce al confine con il Tibet e sfocia, dopo un percorso di 630 km, nel fiume Gange, presso la città di Patna, capitale dello stato indiano del Bihar.
Il suo bacino si trova nel centro-ovest del paese ed è composto, oltre che dal fiume Gandaki da almeno altri 6 corsi d’acqua: il Rahughat Khola, il Myagdi Khola, il Trishuli, il Marshyangdi, il Seti Gandaki ed il Rapti.

L’importanza del Gandaki in Nepal è principalmente naturalistica, attraversando regioni montane di indubbia bellezza e quella che viene considerata la gola più profonda del mondo, detta Kali Gandaki Gorge, dove il fiume scorre tra la montagna del Dhaulagiri, alta 8.167 m, a ovest e l’Annapurna I, alta 8.091 m, a est.
Questa prima parte del percorso è piuttosto nota turisticamente per i trekking attorno al massiccio dell’Annapurna, mentre nelle pianure il Gandaki forma il confine occidentale al grande Chitwan National Park, che ospita alcune delle specie di animali più rare del subcontinente come tigri, rinoceronti e gaviali.
Anche una volta entrato in India il Gandaki attraversa alcune zone forestali di un certo interesse, come l’area del Valmiki National Park in Bihar.

Culturalmente il Gandaki riveste una certa importanza per l’induismo in quanto si ritiene che proprio sulle sponde di questo fiume il saggio e poeta Valmiki scrisse il Ramayana, il poema epico che narra le gesta del dio Rama, ed il cui ashram è stato individuato in Nepal all’interno del Parco Nazionale di Chitwan.
Altra caratteristica naturalistica-cultural-religiosa del fiume Gandaki è la presenza, nel tratto più settentrionale, di numerosi shaligram, pietre tondeggianti di colore scuro che contengono fossili di conchiglie marine, la cui forma viene considerata una rappresentazione aniconica del dio Vishnu. (per ulteriori dettagli rimandiamo ad un post specifico sull’argomento http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/breve-cenno-ai-shaligram.html.

Infine, per quanto riguarda l’economia, il Gandaki ha una notevole importanza nella produzione di energia elettrica, soprattutto la prima parte che scorre con maggior ripidità, al momento solo parzialmente sfruttata, ma sono numerosi i progetti al vaglio del governo nepalese; nelle pianure invece i progetti di Nepal ed India sono rivolti a mitigare i danni delle frequenti innondazioni.

Il bacino idrico del Gandaki, infatti, comprende almeno altri 6 corsi d’acqua di una certa entità che contribuiscono ad aumentarne la portata.
Il Rahughat Khola ed il Myagdi Khola sono due torrenti che sgorgano dai ghiacciai del monte Dhaulagiri, che con 8.167 metri è il settimo più alto al mondo, e si uniscono al Gandaki poco oltre le già citate Gole del Gandaki.

Altro importante affluente è il fiume Trishuli, che ha origine in Tibet, quindi entra in Nepal dove scorre grossomodo a metà strada tra Kathmandu e la città di Pokhara, prima di immettersi nel Gandaki presso la cittadina sacra indù di Devghat.
Tra le caratteristiche, il Trishuli è particolarmente apprezzato per il rafting, grazie ad un corso favorevole per quasi tutto l’anno (escluso il periodo dei monsoni) ed alla facile accessibilità.
Sempre nella zona di Devghat, il Trishuli incontra due grandi affluenti: il Marshyangdi, che nasce nel massiccio dell’Annapurna ed il Seti Gandaki, anch’esso originario dell’area dell’Annapurna, ma con un percorso più occidentale.
Anche il Seti Gandaki è piuttosto apprezzato per gli sport acquatici, attraversando la turistica città di Pokhara.


Una volta superate le colline pre-himalayane, il Gandaki entra nella pianura del Terai, dove incontra il fiume Rapti, prima di attraversare il confine indo-nepalese e scorrere in direzione ovest-est, fino a mergere nel Gange, presso la cittadina di Sonepur, nello stato indiano del Bihar.

martedì 20 giugno 2017

I fiumi del Nepal, III parte Bacino del Bagmati

Il bacino idrico del fiume Bagmati si trova nella zona centrale del Nepal e seppur abbia un volume d’acqua abbastanza ridotto, riveste una notevole importanza socio-culturale.
Rispetto agli altri più grandi fiumi nepalesi, infatti, il Bagmati non trae la sua origine dai ghiacciai himalayani e la sua portata dipende essenzialmente dalle piogge monsoniche, ma attraversa la Valle di Kathmandu, da sempre centro nevralgico della storia del Nepal.
Lungo le sue sponde sorgono alcuni dei luoghi sacri più noti del paese e riveste notevole importanza sia per l’induismo che per il buddismo.

Formatosi dalla confluenza di tre ruscelli presso le colline Shivapuri, a circa una ventina di chilometri nord-est di Kathmandu, il fiume Bagmati incontra poco dopo il bel tempio di Gokarna Mahadev, costruito proprio sulle sue sponde, quindi entra nell’agglomerato urbano di Kathmandu, passando nei pressi del grande stupa di Bodhnath.
In città attraversa l’area sacra di Pashupatinath, della quale, insieme all’omonimo tempio principale, il Bagmati è una delle principali attrazioni, visto che è proprio sulla sua riva destra che avvengono le rituali cremazioni.

Proseguendo ancora verso sud, costituendo vagamente il confine orientale di Kathmandu, il Bagmati incontra il fiume Manohara e devia verso ovest, fungendo da divisione tra la capitale e la città di Patan.
Questa zona del fiume anticamente era molto frequentata per motivi religiosi ed ospitava numerosi santuari interessanti, che fino a pochi anni fa giacevano però in uno stato di quasi completo abbandono, diventato totale dopo i danni del terremoto del 2015.
Prima di uscire dal centro abitato e piegare verso sud, il Bagmati incontra un altro suo affluente, il Vishnumati, che forma il confine occidentale del centro storico di Kathmandu.
Proseguendo il suo corso, il Bagmati supera la periferia di Patan, quindi attraversa la Gola di Chobar, un piccolo canyon, formatosi alcune migliaia di anni fa, quando forti movimenti tellurici crearono questa spaccatura tra le colline, dalla quale defluì l’acqua che formava il gigantesco lago che occupava l’attuale Valle di Kathmandu.

Una volta uscito dalla valle, il Bagmati attraversa anonime zone di campagna, aumentando lentamente la sua portata che raggiunge il suo massimo una volta entrato in India, grazie all’immissione di almeno due grandi affluenti: il fiume Lakhandei ed il Kamala.
Originario delle colline Shivalik, il Lakhandei si unisce al Bagmati nello stato indiano del Bihar, nei pressi della cittadina di Sitamarhi, mentre il Kamala si immette nel Bagmati poco più avanti, nel distretto di Khagaria, dove, dopo non molto terminerà anche il corso del Bagmati che merge nel più grande fiume Koshi.

Purtroppo, a causa della presenza di numerosi corsi d’acqua, quest’area è soggetta a periodiche e devastanti innondazioni.

lunedì 19 giugno 2017

I fiumi del Nepal, II parte Bacino del Koshi

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Il Ponte dell'Amicizia sul fiume Sun Koshi, che segna il confine tra il Nepal e la Cina

Continuando la nostra panoramica dei fiumi del Nepal, in questo post tratteremo dei corsi d’acqua che formano il bacino idrico del Koshi.

Come abbiamo già avuto modo di notare in un precedente articolo sui fiumi indiani (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2017/03/i-fiumi-piu-lunghi-dellindia-iii-parte.html), il Koshi o Kosi, lungo circa 720 km, è un corso d’acqua piuttosto interessante, di una certa importanza geografica, economica e culturale.
La sua origine nelle zone meridionali del Tibet è alquanto confusa a causa dei numerosi piccoli torrenti presenti tra i ghiacciai e le alte montagne.
Anche entrando in territorio nepalese sono ben 7 i fiumi tributari di questo corso d’acqua, che dopo aver attraversato il canyon Chatra Gorge nel Nepal orientale, viene infatti chiamato Saptakoshi, con sapta che significa appunto sette.
Superato il confine indo-nepalese, il Koshi attraversa il nord dello stato del Bihar per andare infine a sfociare nel Gange.

Dei sette fiumi che formano il Koshi, il corso d’acqua più importante è sicuramente il Sun Koshi (Fiume d’Oro, da sun che in nepalese significa appunto oro), che nasce in Tibet e contribuisce per circa il 44% del volume del Koshi.
Anche l’Arun River ha origine in Tibet, da un ghiacciaio presso il Sishapangma (il 14esimo ottomila, con la cima a 8.027 m s.l.m.), e contribuisce a circa il 37% dell’acqua che forma il fiume Koshi.
Il fiume Tamur nasce in Nepal nella regione orientale attorno al monte Kanchenjunga (la terza vetta più alta al mondo con 8.586 metri) e costituisce circa il 19% del volume del Koshi.
Il Dudh Koshi ha origine dai ghiacciai del monte Everest ed è considerato il fiume più alto al mondo.
Il nome significa letteralmente latte, per il colore bianco causato dalle continue rapide dovute alla notevole pendenza media, attorno al 5%, prima di mergere nel Sun Koshi.
Il fiume Indravati nasce dal versante meridionale dell’Himalaya centrale, nella regione del Langtang-Helambu, oltre il confine nord-orientale della Valle di Kathmandu, ed è il maggior affluente destro del Sun Koshi.
Il Barun River ha origine dall’omonimo ghiacciaio situato alla base del monte Makalu, che con 8.485 metri è la quinta montagna più alta al mondo, e dopo aver attraversato alcune delle aree dell’Himalaya più selvagge e meno popolate, il Barun diventa un tributario dell’Arun River.
L’ultimo corso d’acqua che forma il Saptakoshi è il Bhote Koshi, un affluente occidentale del Dudh Koshi, il cui nome significa dal nepalese il fiume tibetano (bhote), creando un possibile fraintendimento con il Sun Koshi, la cui parte più alta viene anch’essa chiamata Bhote Koshi, in quanto scorre in Tibet.

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Un tratto del Bhote Koshi tra il Nepal ed il Tibet
Il percorso del Koshi è quindi caratterizzato dalla presenza di numerosi ecosistemi, partendo dall’altopiano tibetano, le montagne e le colline himalayane, le catene collinari del Mahabharat e Shivalik, ed infine le pianure del Terai.
Data l’ampiezza e ricchezza del bacino idrico, purtroppo il Koshi è noto per le numerose e devastanti alluvioni, il cui numero elevato di vittime dipende dal fatto che, grazie alla fertilità dei terreni, proprio le aree a maggior rischio innondazioni sono le più popolose.
Fin dagli anni ’60 il governo nepalese, in collaborazione con quello indiano, sta cercando di limitare i danni con la costruzione di dighe, sbarramenti e canali, su tutti il grande Koshi Barrage, ma la situazione resta complicata.

Culturalmente il Koshi è citato sia nei Veda che nel Mahabharata ed in alcuni purana, ma non ospita centri religiosi di particolare interesse.
Al contrario, negli ultimi decenni, il bacino del Koshi sta attirando un numero sempre maggiore di turisti, grazie alla presenza del Sagarmatha National Park, il parco nazionale sorto attorno al Monte Everest, ed il Koshi Tappu Wildlife Reserve, che protegge invece le foreste collinari e di pianura.

In lento ma costante sviluppo sono anche le attività sportive d’avventura che si possono praticare sul fiume Koshi, come rafting e canyoning.

domenica 18 giugno 2017

I fiumi del Nepal, I parte Introduzione e Bacino del Mahananda

Grazie alla presenza di vasti ghiacciai perenni e ad un clima montano decisamente piovoso, il Nepal è attraversato da numerosi corsi d’acqua.
Nonostante l’elevato numero, a scopo descrittivo possono essere facilmente divisi in cinque grandi bacini idrici, che prendono il nome del fiume più importante nel quale confluiscono quelli minori.
Partendo da est sono: il Mahananda, il Sapta Koshi, il Bagmati, il Narayani (o Gandaki) ed il Karnali (o Ghaghara)
Un’esposizione seguendo invece come ordine la lunghezza risulta più complessa a causa del fatto che i principali fiumi nepalesi sono trans-nazionali, scorrendo da nord a sud per entrare in India e diventare affluenti del Gange, obbligando quindi ad una difficile distinzione tra la lunghezza complessiva e quella invece relativa al territorio nepalese.

In generale, contrariamente a quanto accade in India (per ulteriori dettagli sui fiumi indiani http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/search/label/Geografia%20e%20clima), i corsi d’acqua del Nepal non hanno particolari significati storici e culturali, ed anche l’importanza religiosa non è neppure paragonabile a quella dei più noti fiumi indiani come ad esempio il Gange, lo Yamuna ed il Godavari.
La caratteristica principale dei fiumi nepalesi è la varietà naturalistica e paesaggistica, scorrendo spesso in territori incontaminati, dalle alte montagne himalayane, lungo verdeggianti colline, fino alle pianure del Terai, attraversando quindi numerose zone climatiche ed ecosistemi.
Da alcuni decenni, i corsi d’acqua del Nepal stanno iniziando ad avere anche una notevole importanza economica, soprattutto nella produzione di energia elettrica.
Purtroppo a causa delle ancora arretrate infrastrutture e limitate risorse finanziarie, al momento il suo enorme potenziale è solo parzialmente sfruttato, ma con il tempo, e magari anche i giusti investimenti, grazie a stabilimenti idroelettrici, il Nepal dovrebbe riuscire a coprire il fabbisogno nazionale ed addirittura esportare elettricità in India.

Bacino del Mahananda
Il fiume Mahananda ha origine nelle colline himalayane, nei pressi della cittadina di Darjeeling nello stato indiano del  Bengala Occidentale, a circa 2.100 metri di altitudine, ed in alcuni punti costituisce il confine tra l’India ed il Bangladesh.
Il suo corso non interessa quindi direttamente il Nepal, che è invece bagnato dai tre fiumi che formano il bacino idrico del Mahananda: il Mechi, il Kankai ed il Ratua Khola.

Il Mechi nasce in Nepal nella catena collinare del Mahabharat e forma per un lungo tratto il confine orientale  tra Nepal ed India, prima di entrare nello stato indiano del Bihar e mergere nel Mahananda.
Di notevole importanza, da secoli, per l’irrigazione di una vasta e popolosa area, da alcuni anni India e Nepal stanno studiando un ambizioso progetto di costruzione di un canale per collegare il Mechi con il fiume Koshi, con il doppio scopo di conservare e distribuire acqua per le coltivazioni, e ridurre i danni delle innondazioni.

Anche il fiume Kankai ha origine nelle colline Mahabharat del Nepal e scorre in direzione sud verso lo stato indiano del Bihar dove merge nel Mahananda.
Come il Mechi il Kankai ha una notevole importanza per l’irrigazione e sono in fase di studio progetti di costruzione di ulteriori canali per unire anche questo corso d’acqua con il già citato collegamento tra il Mechi ed il Koshi.

Il Ratua Khola ha un corso più modesto, in mezzo ai due precedenti, scendendo dalle colline Churia per entrare in Bihar ed unirsi al Kankai.

venerdì 16 giugno 2017

La statua di Kailashnath Mahadev

La statua di Kailashnath Mahadev (nota tra i nepalesi più semplicemente come Shiva Statue), è una grande scultura del dio Shiva, situata nei pressi della Arniko Highway, a circa 20 km a est di Kathmandu.
Costruita tra il 2003 ed il 2010, ed inaugurata nel 2011, in cemento, acciaio, zinco e rame, è alta ben 44 metri, che la rendono la statua di una divinità induista più alta al mondo ed attualmente (Giugno 2017) la 40esima in assoluto.

Considerando le notoriamente disastrose finanze del paese, è lecito chiedersi se il Nepal avesse bisogno di un monumento del genere: se le divinità esistono ed hanno davvero a cuore la sorte di noi comuni mortali, forse anche Shiva avrebbe preferito che quelle risorse venissero spese per opere di maggiore utilità pubblica.
Nonostante questo, il sito è gradevole, curato e si inserisce abbastanza bene nel contesto delle verdeggianti colline che lo ospitano.

Le vie d’accesso sono due: una lungo un ampio sentiero in terra battuta, che sale dal fondo valle e giunge, frontalmente, ai piedi della statua.
Il secondo accesso, usato prevalentemente dai visitatori dotati di un proprio mezzo, segue una deviazione dalla strada principale salendo attraverso un piccolo borgo, per terminare in un minuscolo posteggio da dove parte un sentiero lastricato che in poche decine di metri porta, da dietro, ai piedi della statua.

L’area è composta da uno spiazzo circolare, al centro del quale è situato il piedistallo sul quale poggia la statua, ed una breve ma ampia scalinata a due ali, molto apprezzata per fotografie panoramiche e selfie.
Tra lo spiazzo e la scalinata sono presenti due pilastri sopra i quali sono collocate altre due piccole sculture: una rappresenta la moglie di Shiva, Parvati, insieme ai due figli, Ganesh e Karthik, mentre l’altra statua è dedicata a Nandi, il toro veicolo di Shiva.
Nell’area sono presenti due piccoli negozi: uno di souvenir, snack e bevande, l’altro solo di snack e bevande.

Kailashnath Mahadev è la rappresentazione di Shiva (Mahadev, Grande Dio, è uno dei suoi più comuni appellativi) come Signore (nath) del Kailash, una montagna sacra, situata nel Tibet sud-occidentale, considerata il luogo preferito da Shiva.
In questa forma il dio viene raffigurato come un asceta, vestito con un telo attorno ai fianchi, i sandali di legno, una collana di semi di rudraksha (provenienti dalla pianta himalayana elaeocarpus granitum e sacri a Shiva), un grande cobra intorno al collo e due più piccoli attorno alle braccia, e con il braccio sinistro appoggiato ad un lungo tridente che scende fino a terra.
Se le proporzioni generali della statua ed i dettagli sono ben riusciti, purtroppo lo stesso non si può dire dell’espressione del viso del dio, con gli occhi che sembrano avere delle pesanti borse, mentre guance e labbra appaiono eccessivamente paffute.
Essendo rivestita di rame, il colore è un gradevole marrone tendente al rosso.

Dal punto di vista ingegneristico possiamo ragionevolmente affermare che siano stati seguiti criteri da garantire alla statua di Kailashnath Mahadev una lunga esistenza, portando a riprova l’aver resistito senza problemi alle numerose e potenti scosse del terremoto del 2015.

Pare che a fronte di un’altezza di 44 metri, le fondamenta siano profonde circa 30, e che siano stati fatti anche lavori proprio per stabilizzare il terreno della collina su cui sorge; probabilmente anche a questo è legata la conservazione dell’originale copertura forestale.

giovedì 15 giugno 2017

Il trekking dell'Helambu, VII tappa Tarkeghyang-Kathmandu via Thimbu e via Sermathang

Un piccolo santuario buddista
Dopo la sosta a Tarkeghyang, il trekking dell’Helambu prevede ancora una tappa, prima di raggiungere strade sterrate servite da mezzi pubblici che portano a Kathmandu, ma offre agli escursionisti due alternative: la prima, via il paesino di Thimbu, la seconda, attraverso il villaggio Sermathang.

La prima opzione è più diretta e prevede di scendere per circa 3-4 ore lungo la valle del torrente Melamchi Khola fino a Thimbu, a soli 1.580 metri di altitudine, dove fino all’ora di pranzo partono degli autobus sgangherati che portano a Kathmandu (nel pomeriggio il servizio viene interrotto per evitare che i mezzi circolino al buio).
Partendo presto da Tarkeghyang e procedendo a passo sostenuto, sarebbe quindi possibile rientrare nella civiltà già nel pomeriggio, ma dopo aver trascorso una settimana tra i monti ed essersi svegliati in un tranquillo pesino come Tarkeghyang a 2.740 metri di altitudine, rientrare nel traffico ed il caos di Kathmandu potrebbe essere traumatico, motivo per cui consigliamo vivamente un’altra notte in trekking.
A circa metà strada si incontra il paesino di Kakani, che sembra una versione in miniatura di Tarkeghyang, ma purtroppo al momento non sono presenti lodge per gli escursionisti, quindi bisogna proseguire fino a Thimbu.
Situato a fondo valle, nel punto di incontro del torrente Melamchi Khola con il piccolo Thimbu Khola, già prima delle terremoto del 2015 Thimbu non era un luogo molto attraente, essendo composto prevalentemente da case di lamiera sparse tra i campi.
Al momento sembra un grande cantiere, anche a causa della nuova strada sterrata che prosegue lungo la valle, ma alcuni edifici sono ormai sul punto di essere completati, tra cui uno che dovrebbe essere un comodo albergo.

Panorama sulle colline
Dopo Thimbu il percorso prosegue lungo lo sterrato che attraversa la verdeggiante e piacevole valle del Melamchi Khola, dove trascorrere un’ultima notte prima di rientrare a Kathmandu.
Alcune possibilità di alloggio si trovano presso il paese di Kiul, a circa un paio d’ore da Thimbu, ma anche nei villaggi successivi, come Talamarang e Melamchi Pul, seppur siano situati ad una certa distanza, quindi sarebbe utile raccogliere informazioni precise a Thimbu e lungo il percorso.

La seconda alternativa dopo la tappa di Tarkeghyang prevede una sosta a Sermathang ed è leggermente più lunga ma anche più montana e gradevole, seppur, a dire il vero, riguardo questa tratta non abbiamo notizie di prima mano, avendo scelto, entrambe le volte che bbiamo percorso il trekking dell’Helambu, la soluzione via Thimbu.
La tappa dura circa 6-8 ore, passando presso il paesino di Ghangyul, situato a circa metà strada a 2.770 metri di altitudine, dove pare esserci una sorgente d’acqua calda e un lodge, almeno stando all’ultima edizione della cartina dell’Helambu più diffusa in Nepal.
Sermathang è un villaggio composto da varie costruzioni sparse tra i campi lungo il fianco di una collina, a circa 2.590 m s.l.m. ed è uno dei centri più grandi dell’etnia yolmo, simile a quella sherpa e tipica di questa regione.

Allevamento di trote presso Kiul
Probabilmente anche Sermathang ha subito qualche danno da parte del terremoto, ma data la relativa importanza ed essendo raggiunta da una strada sterrata, si può ragionevolmente supporre che la ricostruzione proceda abbastanza spedita.
Seppur, come già detto, non abbiamo avuto modo di visitarlo di persona, sappiamo per certo che sono presenti alcuni lodge per gli escursionisti, mentre abbiamo dubbi sull’affidabilità del servizio di autobus che dovrebbe collegare Sermathang a Kathmandu.
Nel caso non fosse disponibile, bisognerebbe incamminarsi alla mattina presto alla volta di Thimbu, scendendo abbastanza ripidamente lungo un sentiero che incrocia spesso una strada sterrata, permettendo di coprire un dislivello di ben mille metri in circa 2-3 ore.
Sempre secondo la mappa del trekking dell’Helambu, da Sermathang dovrebbe esserci un sentiero più diretto, e quindi veloce, alla volta di Kiul, ma il percorso attraversa zone disabitate e non sappiamo se sia facile da seguire o meno.

Chiaramente si può anche proseguire la strada sterrata che supera Sermathang ed attraversa alcuni piccoli villaggi, fino ad unirsi con la strada principale a Melamchi Pul, il centro abitato più grande della zona, che ormai si trova a soli 870 metri di altitudine.

martedì 13 giugno 2017

Il trekking dell'Helambu, VI tappa Melamchigaon-Tarkeghyang

Scorcio del paese di Tarkeghyang
Il paesino di Tarkeghyang si trova sul versante opposto della vallata rispetto a Melamchigaon, dal quale si può facilmente scorgere trovandosi a poche centinaia di metri in linea d’area ed a circa la stessa altitudine, 2.530 m Melamchigaon e 2.740 Tarkeghyang.
Il sentiero quindi scende ripido fino al fondo valle per circa 2-3 ore, quindi attraversa il torrente Melamchi Khola ad un’altitudine di appena 1.890 metri e risale, sempre molto ripido, per circa 4-6 ore.

Come la tratta precedente da Tharepati a Melamchigaon, la lunga parte in discesa può essere leggermente scivolosa e richiedere un minimo di attenzione, ma a parte questo, visto il relativo sforzo fisico, ci si può dedicare anche ad interessanti osservazioni naturalistiche.
Il ponte che attraversa il torrente Melamchi Khola è tutto in metallo, compresa quindi anche la base sulla quale si cammina che nel precedente ponte era di legno, ed all’apparenza sembra decisamente più resistente, seppur tenda ad oscillare notevolmente anche procedendo a passo lento.
Oltre a questo, la lunghezza, circa una trentina di metri, e l’altezza sul torrente sottostante, almeno 15-20 metri, potrebbero dare un sensazione, non sempre gradita, di essere sospesi nel vuoto.

Il ponte sul torrente Melamchi Khola
La salita verso Tarkeghyang è molto lunga e faticosa, con un dislivello di circa 800 metri, e poco interessante, visto che il panorama rimane alle spalle e nella prima parte attraversa anonimi terrazzamenti coltivati a mais e patate.
Nella seconda parte si incontra qualche chorten e poco prima di arrivare alla meta il sentiero rientra in un bel bosco, la cui notevole ripidità può essere facilmente sopportata al pensiero di essere quasi arrivati.

Come Melamchigaon ed un po’ tutta la regione dell’Helambu, anche Tarkeghyang è abitato prevalentemente dall’etnia yolmo, che per semplicità viene spesso considerata un sottogruppo sherpa, al quale somiglia molto per costumi e tradizioni, ma dalla quale differisce principalmente per la posizione geografica e la lingua, simile ma non completamente intellegibile con quella sherpa.
Al contrario di Melamchigaon però, Tarkeghyang, pur trovandosi anch’esso in una radura del bosco, non è formato da case sparse tra i campi, ma sono attaccate le une alle altre, creando un piccolo dedalo di stretti vicoli.

Purtroppo questa disposizione non è servita a contrastare il terremoto del 2015 che ha distrutto gran parte del paese, come testimoniato dai numerosi cumuli di pietre ancora presenti in giro.
Al momento le uniche costruzioni restaurate sono i due chorten bianchi nella zona bassa ed il lodge situato lì nei pressi che è già operativo.
Alcuni abitanti, per facilitare i lavori di ricostruzione, si sono temporaneamente traferiti in alcune casette di lamiera situate in un’altra piccola radura poco lontano, che già da prima del terremoto ospitava un lodge, che si è in parte salvato, ed alcune abitazioni.
Anche la presenza di una strada sterrata che collega il paese con i centri abitati della valle, dovrebbe essere d’aiuto per velocizzare i lavori e si può ragionevolmente sperare che con l’inizio della prossima stagione di trekking, a Ottobre e Novembre, Tarkeghyang potrebbe avere un aspetto decisamente migliore.

Altra nota positiva, il paese è raggiunto dalla corrente elettrica, presente quasi tutto il giorno, ma bisogna dire che in generale negli ultimi anni l’approvvigionamento dell’elettricità è migliorato parecchio lungo tutto il percorso.

domenica 11 giugno 2017

Il trekking dell'Helambu, V tappa, Tharepati-Melamchigaon

Il villaggio sherpa di Melamchigaon
Dopo il passo Tharepati, punto più alto dell’intero percorso a 3.690 m di altitudine, il trekking dell’Helambu inizia a scendere di quota fino al paese di Tarkeghyang a 2.740 m s.l.m.
La tappa però è piuttosto lunga e faticosa, visto che prima bisogna scendere fino in fondo alla valle per circa 3-4 ore, quindi si attraversa il torrente Melamchi Kola a 1.890 metri di altitudine e si risale ripidamente per altre 4-6 ore, motivo per cui si potrebbe prendere in seria considerazione una sosta nel villaggio sherpa di Melamchigaon.
In realtà la posizione ad appena un paio d’ore da Tharepati non permette di accorciare di molto la tratta fino a Tarkeghyang, ma una tappa rilassante a Melamchigaon dovrebbe garantire di essere in perfetts forma il giorno successivo.

Considerando quindi di fare questa sosta, si può partire da Tharepati con molta calma, magari dopo aver fatto colazione osservando il panorama delle cime delle montagne.
Solitamente, per le tappe di trekking che superano le 5-6 ore, è consigliabile mettersi in cammino di buon ora, per almeno due motivi.
Il primo è una questione di sicurezza: prima si parte, più tempo si ha a disposizione per risolvere eventuali imprevisti.
Il secondo è di natura climatica, visto che alla mattina presto solitamente il tempo è bello e tende a guastarsi col procedere della giornata.
Il clima himalayano infatti, seppur molto variabile, segue un pattern abbastanza preciso per quasi tutto l’anno, con lievi differenze nelle temperature e nelle precipitazioni, comunque sempre abbondanti.
Alla mattina presto, come detto, solitamente il cielo è limpido e rimane tale fino ad almeno metà mattinata, quando possono iniziare a comparire le prime nuvole, che presto o tardi nel pomeriggio faranno piovere; verso il tramonto spesso si verificano delle schiarite, molto apprezzate dagli escursionisti che possono quindi gustarsi un suggestivo panorama; di notte di solito il forte vento evita la pioggia, ma non sono rari anche forti temporali, soprattutto durante la stagione delle piogge.

Il sentiero che porta da Tharepati a Melamchigaon è decisamente ripido, scendendo di quasi 1.200 metri ad una quota di circa 2.530 di altitudine.
Il fitto bosco oltretutto alla mattina presto è sempre molto umido ed il sentiero scivoloso, quindi bisogna fare una minima attenzione.
Oltre a questo ci si può dedicare all’osservazione naturalistica, dei grandi alberi, dei colorati fiori e dei rumorosi uccelli.
Oltre all’abbondanza di specie differenti, anche la ripidità del sentiero favorisce l’osservazione ornitologica, visto che spesso ci si trova ad essere sopra alle chiome degli alberi, da dove provengono la maggior parte dei versi e cinguettii.

Prima di giungere a Melamchigaon, il sentiero attraversa due piccoli corsi d’acqua: il primo è poco più di un ruscello e lo si supera grazie ad un ponticello di legno di pochi metri, ma spesso è anche possibile guadarlo saltando su alcuni sassi.
Il secondo corso d’acqua è invece un vero e proprio torrente di montagna attraversato da un ponte di tiranti di metallo e la base di legno.
A prima vista poco rassicurante, questo ponte è infatti decisamente storto, oscilla parecchio e le ringhiere ai lati sono piuttosto basse; di positivo non è molto lungo, circa 20-30 metri, e l’altezza sul fiume sottostante non eccessiva, quindi si dovrebbe riuscire a superarlo senza particolari problemi di vertigini.

Il ponte che precede il villaggio
Melamchigaon, disteso su una grande radura nel bosco in leggera pendenza, è un tipico villaggio sherpa, con le case costruite piuttosto lontane tra loro, per permettere piccole coltivazioni ad uso domestico, e collegate da sentieri fiancheggiati da muri di pietra, per segnare i confini delle proprietà e proteggere dal vento.
Purtroppo il terremoto del 2015 ha distrutto gran parte delle costruzioni, tra cui anche il grande chorten (santuario) buddista che troneggiava presso l’entrata meridionale del paese, ma i lavori sembrano procedere spediti, grazie al recente completamento di una strada sterrata che collega il paese alla Valle di Kathmandu, ed al fatto che Melamchigaon sia il centro abitato più importante della zona, come testimoniato anche dalla presenza di una scuola che raccoglie i bambini di una vasta area.

Una volta trovata una stanza (di solito senza problemi visto che il business dei lodge è da molti anni il più redditizio e sono molti gli abitanti che offrono vitto ed alloggio), ci si può dedicare a qualche piacevole passeggiata defaticante nella grande radura che ospita il villaggio.
Nella zona nord, proprio al limitare del bosco, si possono notare numerose bandiere della preghiera appese agli alberi che segnalano un piccolo luogo di culto buddista, dove si trova una piccola grotta, costituita da due grandi massi, che funge da stanza delle preghiere.

Al tramonto ci si può recare nella piccola radura che precede il paese, dove si trovano alcune immancabili coltivazioni di patate ma anche di alcuni giovani alberi da frutto, e dedicarsi al birdwatching, sfruttando una felice posizione al limitar del bosco.