Passarono molti mesi. Nirupama continuava a mandare
messaggi, ma suo padre non compariva. Alla fine si offese e smise di mandarne.
Questo addolorava acutamente Ramsundar, ma resistette e non andò da lei.
Quando venne il mese di Asvin (periodo tra Settembre ed
Ottobre in cui cadono molte festività indù) disse a se stesso, facendo un voto
“Quest’anno devo riportare a casa Nirupama per Durga-puja” (una festa di nove
giorni, molto sentita in Bengala dove è ambientato il racconto).
Al quinto o sesto giorno della puja, Ramsundar legò di
nuovo alcune banconote al suo scialle e si preparò per andare, quando,
all’improvviso, un nipotino di cinque anni si avvicinò a lui e gli disse
“Nonno, mi compri un carretto?”.
Da settimane aveva adocchiato quel carretto ma non c’era
modo di far avverare questo suo desiderio.
Quindi arrivò una nipotina di sei anni, che piangendo si
lamentò che non aveva un bel vestito da indossare per la puja. Ramsundar lo
sapeva bene e ci aveva rimuginato a lungo, ma non poteva farci niente.
Aveva sospirato penosamente all’idea che le donne della sua
famiglia avrebbero partecipato alle celebrazioni della puja in casa di
Raybahadur come delle poverette che ricevevano la carità, vestendo quei pochi miserabili
ornamenti che avevano, ma questi pensieri non facevano altro che rendere le
rughe sulla sua fronte ancora più profonde.
Con il lamento della sua povera famiglia nelle orecchie,
Ramsundar arrivò a casa di Raybahadur. Oggi non c’era nessuna esitazione nei
suoi modi, nessuna traccia dello sguardo nervoso con cui prima si avvicinava al
guardiano e ai domestici; sembrava che stesse entrando in casa sua.
Gli venne detto che Raybahadur era fuori ed avrebbe dovuto
aspettare per un po’, ma non potè trattenere il desiderio di incontrare sua
figlia e quando finalmente la vide pianse per la gioia. Padre e figlia piansero
insieme e per un po’ nessuno dei due riuscì a parlare.
Quindi Ramsundar disse “Questa volta ti porto via, mia
cara. Niente mi può fermare ora”.
All’improvviso però, il più grande dei suoi figli,
Haramohan, entrò nella stanza con due suoi bambini “Padre, hai davvero deciso
di mandarci in mezzo ad una strada?”.
Ramsundar si infiammò “Devo condannarmi all’inferno per il
tuo bene? Non puoi lasciarmi fare ciò che è giusto?”.
Aveva venduto la casa e nonostante avesse provato in tutti
i modi a nasconderlo ai figli, questi l’avevano scoperto lo stesso. Il nipotino
si strinse alle sue gambe, guardò in su e gli chiese “Nonno, mi hai comprato
quel carretto?”, e quando non ricevette nessuna risposta dall’ormai mortificato
Ramsundar, il bambino si girò verso Nirupama “Zia, me lo compri tu il
carretto?”.
Nirupama non ci mise molto a capire la situazione “Padre,
se tu dai anche solo che una rupia ai miei suoceri, giuro solennemente che non
mi rivedrai mai più”.
“Cosa dici, figlia mia?”, rispose Ramsundar, “Se non gli
darò i soldi, la vergogna rimarrà per sempre su di me e diventerà anche la
tua”.
“La vergogna sarà maggiore se tu pagherai”, disse Nirupama,
“Pensi che non abbia onore? Pensi che sia solo una borsa per i soldi: più ce ne
sono, maggiore è il mio valore? No, padre, non mi infamare pagando questi
soldi. Mio marito non li vuole comunque”.
“Ma così loro non ti lasceranno venire a trovarmi”, disse
Ramsundar.
“Non ci possiamo fare niente. Per favore, non provare più a
venire a prendermi”.
Ramsundar, tremando, si rimise sulle spalle lo scialle con
i soldi e lasciò la casa, di nuovo come un ladro, cercando di evitare lo
sguardo di tutti.
Non rimase però un segreto che Ramsundar era venuto con i
soldi e sua figlia gli aveva vietato di consegnarli. Un domestico che aveva
origliato passò l’informazione alla suocera di Nirupama, la cui cattiveria nei
suoi confronti ora superò ogni limite e per lei quella casa divenne come un
letto di chiodi.
Suo marito, dopo il matrimonio, era andato fuori per alcuni
giorni per lavorare come magistrato aggiunto in un’altra parte del paese e
sostenendo che Nirupama sarebbe stata danneggiata dal contatto con i suoi
familiari, i suoi suoceri ora le proibivano completamente di vederli.
Un giorno Nirupama si ammalò, ma non era del tutto colpa
della suocera; lei stessa aveva trascurato paurosamente la sua salute. Una
fredda notte di autunno si era addormentata con la testa verso la porta aperta,
non indossava mai qualche vestito in più d’inverno e mangiava in maniera
irregolare. I domestici qualche volta si dimenticavano di portarle il cibo, ma
lei non diceva nulla e non glielo ricordava. Stava fermamente pensando che lei
stessa era una domestica della famiglia, dipendente dai favori del suo padrone
e della sua padrona.
Ma sua suocera non poteva sopportare neppure questo
atteggiamento. Se Nirupama non si interessava al cibo diceva “Che principessa!
Non le piace il vitto di una povera famiglia!’.
Oppure “Guardatela, che bellezza! Sembra sempre più un
pezzo di legno bruciato”.
Quando la sua malattia peggiorò, la suocera disse “È tutta
scena”.
Finché un giorno Nirupama disse umilmente “Madre,
lasciatemi vedere mio padre e i miei fratelli, solo per una volta”.
Ma la suocera le rispose “Nient’altro che un trucco per
andare a casa dei genitori”.
Sembra incredibile, ma la sera in cui il respiro di
Nirupama iniziò a mancare, fu la prima volta in cui venne chiamato il dottore,
e fu anche la sua ultima visita.
La nuora più anziana della famiglia era morta ed i riti
funebri furono celebrati in pompa magna. La famiglia di Raybahadur era
conosciuta nel distretto per lo sfarzo con cui svolgevano l’immersione della
statua della divinità alla fine di Durga-puja, ma divenne ancora più famosa per
il modo in cui Nirupama fu cremata: una così grande pira di legno di sandalo
non si era mai vista. Solo loro potevano organizzare un rituale così elaborato
e si diceva addirittura che per questo loro stessi si erano dovuti indebitare.
Tutti diedero a Ramsundar dettagliate descrizioni della
grandiosità della morte di sua figlia, quando si recarono da lui per le
condoglianze.
Nel frattempo arrivò una lettera dal magistrato aggiunto
“Ho preparato tutto qui, appena potete, fate venire mia moglie”.
La signora Raybahadur rispose “Caro figlio, ci siamo
assicurati un’altra ragazza per te, per favore, prendi una licenza e vieni a
casa”.
Questa volta la dote venne fissata a 20.000 rupie;
pagamento anticipato.
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