Tra le raccolte di racconti di Tagore più riuscite, nel
1991 la casa editrice inglese Penguin pubblicò l’interessante “Rabindranath
Tagore: Selected Short Stories”, tradotte da William Radice, che già si era
cimentato, qualche anno prima, nel 1985, con una riuscita traduzione di poesie
di Tagore pubblicate sempre da parte della Penguin ed intitolate “Selected
Poems”.
Come nel caso del suo contemporaneo Premchand (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2017/01/lo-scrittore-premchand-ed-il-racconto.html), anche la prosa di Tagore è improntata sul realismo, sulla descrizione delle condizioni di vita, spesso precarie, degli indiani di ceto medio e basso, ma con un respiro più ampio del suo collega di lingua hindi.
Il realismo di Premchand è infatti rivolto, molto spesso, a condizioni specifiche della realtà indiana, non sempre rapportabili e situazioni umane più universali, mentre Tagore, pur partendo dallo specifico, riesce a toccare dinamiche più generali.
Come nel caso del suo contemporaneo Premchand (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2017/01/lo-scrittore-premchand-ed-il-racconto.html), anche la prosa di Tagore è improntata sul realismo, sulla descrizione delle condizioni di vita, spesso precarie, degli indiani di ceto medio e basso, ma con un respiro più ampio del suo collega di lingua hindi.
Il realismo di Premchand è infatti rivolto, molto spesso, a condizioni specifiche della realtà indiana, non sempre rapportabili e situazioni umane più universali, mentre Tagore, pur partendo dallo specifico, riesce a toccare dinamiche più generali.
“Kabuliwallah”, ad esempio, è un noto racconto di
Rabindranath Tagore, dove lo scrittore, oltre ad offrire un esotico spaccato di
vita familiare bengalese, coglie l’occasione per trattare alcuni argomenti che
vanno al di là dell’ambientazione della Calcutta di fine ‘800, come il doloroso
distacco dei genitori e dei figli dalla famiglia, e la profonda nostalgia di
chi è costretto a lavorare lontano dal proprio paese.
Apprezzabile, in questo racconto, sono anche la semplice
umanità e talvolta la pacata ironia del personaggio narrante, facilmente
identificabile con l’autore stesso.
Il termine Kabuliwallah significa letteralmente “quello di
Kabul” o “il tipo di Kabul”, riferito al venditore di frutta secca afghano,
protagonista del racconto.
Segue libera traduzione, divisa in due parti.
Mini, la mia figlia di cinque anni, non fa altro che
parlare. Ci ha messo solo un anno ad imparare e da allora credo che in tutta la
sua vita non abbia trascorso un solo minuto in silenzio. Sua madre spesso la
sgrida per questo e ogni tanto la obbliga a stare zitta, ma io non ci riesco.
Vedere Mini calma e tranquilla è innaturale e non riesco a sopportarlo per
molto tempo. Quindi i miei momenti con lei sono sempre movimentati.
Una mattina, per esempio, proprio mentre ero nel mezzo del
diciassettesimo capitolo del mio nuovo romanzo, Mini entrò nella stanza e
prendendo le mie mani tra le sue mi disse “Papà! Il guardiano Ramdayal chiama
il corvo crow, invece di kak! Non sa proprio un bel niente, vero?”.
Ma prima che io potessi illuminarla sulla differenza tra le
varie lingue di questo mondo, aveva già cambiato argomento “Cosa pensi, Papà?
Bhola dice che c’è un elefante tra le nuvole che spruzza acqua dalla
proboscide, per questo piove!”.
E mentre cercavo di trovare una risposta a questa domanda
“Papà, che relazione c’è tra te e la mamma?”.
“Bella domanda!”, pensai, e a Mini dissi di andare a
giocare con Bhola ché io ero impegnato.
Lei invece si mise a sedere ai miei piedi, canticchiando e
battendo il tempo con le mani sulle ginocchia, mentre Pratap Singh, il
protagonista del mio romanzo, nell’oscurità della notte stava scappando dalla
prigione con l’eroina tra le braccia.
La finestra del mio studio dà sulla strada e Mini ad un
certo punto smise di canticchiare e corse verso la finestra urlando
“Kabuliwallah, Kabuliwallah!”.
Con i vestiti sporchi, un turbante stropicciato, una borsona
a tracolla e quattro-cinque scatole di uva in mano, un alto Kabuliwallah stava procedendo
a passo lento lungo la strada. È difficile dire esattamente quali pensieri
possa aver risvegliato nella mia adorata figlia la sua apparizione, ma lei
iniziò ad urlare ed a chiamarlo. Quel borsone vuol dire problemi, pensai: oggi
non riuscirò a finire il mio diciassettesimo capitolo...
Ma proprio mentre il Kabuliwallah, attirato dalle grida di
Mini, alzò uno sguardo sorridente e si avvicinò alla casa, Mini si spaventò e
scappò all’interno. Era convinta che se uno avesse guardato dentro a quel
grande borsone, vi avrebbe trovato dentro dei bambini come lei.
Nel frattempo il Kabuliwallah era arrivato sotto alla mia
finestra e mi salutò gentilmente. Sebbene la situazione di Pratap Singh fosse
estremamente critica, pensai che sarebbe stato maleducato non invitare il
venditore in casa e comprargli qualcosa.
Così feci e mi fermai a parlare con lui per un poco, in
particolare sugli sforzi di Abdur Rahman di preservare l’integrità
dell’Afghanistan contro i russi ed i britannici.
Quando si alzò per andarsene, il Kabuliwallah mi chiese
“Signore, dov’è andata la vostra piccola bambina?”.
Per far sparire una volta per tutte le sua infondata paura,
chiamai Mini, che si attaccò alle mie gambe, guardando con sospetto il
venditore e la sua grande borsa. Il Kabuliwallah tirò fuori dell’uvetta e delle
albicocche secche e gliele porse, ma lei si strinse alle mie gambe ancora più
sospettosa. Questo fu il primo incontro tra Mini ed il Kabuliwallah.
Alcuni giorni dopo, stavo uscendo di casa per alcune
commissioni e vidi mia figlia seduta su una panchina di fronte alla porta che
stava chiacchierando senza freni ed il Kabuliwallah che ascoltava, seduto ai
suoi piedi, sghignazzando e facendo qualche commento nel suo stentato
bengalese. Nei cinque anni della sua vita, Mini non aveva mai trovato un
ascoltatore così paziente; a parte suo padre...
Notai anche che una piega del suo piccolo sari era piena di
uvetta e noci, così dissi al Kabuliwallah “Perché gli avete dato questo? Per
favore, non dategliene più”, quindi presi mezza rupia dalla tasca e gliela
porsi. Lui, senza esitazione, la prese e la infilò nella borsa.
Quando tornai a casa, scoprii che quella mezza rupia aveva creato
il finimondo. La madre di Mini stava tenendo in mano questo rotondo pezzo di
metallo e dicendole bruscamente “Dove hai preso questa mezza rupia?”.
“Me l’ha data il Kabuliwallah!”, rispose Mini.
“Perché gliel’hai presa?”, chiese sua madre.
“Non l’ho presa e neppure chiesta”, disse Mini in lacrime,
“Me l’ha data lui”.
Salvai Mini dalla furia di sua madre e la portai fuori.
Scoprii che non era la seconda volta che lei ed il
Kabuliwallah si incontravano, che lui ormai veniva quasi tutti i giorni,
essendo riuscito a corrompere e vincere il suo cuoricino con uvetta e
pistacchi.
Venni anche a sapere che ormai avevano degli scherzi e
delle battute di routine; ad esempio, quando Mini vedeva Rahamat, ridacchiando
gli diceva “Kabuliwallah, Kabuliwallah, che cos’hai nella tua borsa?”. Lui
ridendo diceva con voce nasale “Un elefante!” e la nozione che ci fosse davvero
un elefante dentro alla borsa faceva scoppiare dal ridere Mini. Certo non era
un gioco molto sottile, ma sembrava che entrambi lo trovassero molto divertente
e a me faceva molto piacere vedere, in una mattina di autunno, una piccola
bambina ed un uomo maturo ridere così di cuore.
Ma ne avevano anche altri scherzi. Rahamat diceva a Mini
“Piccola, non andare mai dai tuoi svasur-bari!” (la casa dei suoceri, alludendo
al fatto che quando le donne si sposano, secondo una vetusta tradizione
indiana, si trasferiscono nella casa di famiglia del marito).
La maggior parte delle ragazze bengalesi cresce sentendo
spesso riferimenti alla svasur-bari, ma mia moglie ed io siamo abbastanza
progressivi e non parliamo alle nostre bambine piccole del loro futuro matrimonio.
Quindi Mini non poteva capire esattamente cosa intendesse
Rahamat, ma stare zitta e non dare nessuna risposta era contro la sua natura,
così invertiva il gioco e diceva “Stai andando dal tuo svasur?”.
Agitando il suo grande pugno verso un fantomatico suocero,
Rahamat urlava “Lo sistemerò per le feste!”, e Mini scoppiava a ridere,
immaginando il destino di questa sconosciuta creatura chiamata svasur.
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