Raicharan tornò al suo villaggio. Sua moglie non gli aveva
ancora dato un figlio e lui ormai aveva smesso di sperarci, ma prima che l’anno
finisse, la sua non più giovane moglie partorì un bambino e poco dopo morì.
All’inizio Raicharan non nutriva altro che odio verso il
nuovo nato, che secondo lui in qualche modo, con l’inganno, aveva preso il
posto del suo piccolo padrone. Gli sembrava un peccato mortale rallegrarsi per
suo figlio dopo che aveva lasciato che il bambino del suo padrone annegasse. Se
non ci fosse stata con lui la sua sorella vedova, il bambino non avrebbe
respirato l’aria della Terra a lungo.
Dopo pochi mesi, sorprendentemente, il bambino iniziò a
gattonare sopra la cornice della porta ed a mostrare un’allegra abilità ad
evadere da ogni tipo di restrizione. Ridacchiava e vagiva esattamente come
aveva fatto il piccolo padrone. Qualche volta, quando lo sentiva piangere,
Raicharan aveva un tuffo al cuore; gli sembrava che il piccolo padrone
piangesse da qualche parte e chiamasse Raicharan. Phelna, così lo chiamava la
zia, iniziò a chiamare lei “Pishi” e quando Raicharan sentì quel nome familiare
pensò “Il piccolo padrone non può fare a meno del mio amore: è rinato nella mia
casa”.
C’erano molto prove che lo convincevano di questa cosa.
Pima di tutto, era passato pochissimo tempo tra la morte del piccolo padrone e
la nascita di suo figlio. Secondo, sua moglie, a quella tarda età, non avrebbe
potuto partorire solo grazie alla sua fecondità. Terzo, il bambino gattonava,
trotterellava e chiamava la zia “Pishi”, esattamente come aveva fatto il
piccolo padrone. C’era abbastanza per indicare che anche lui da grande sarebbe
diventato un magistrato. Raicharan quindi si ricordò dei sospetti della padrona
della casa e realizzò, con sorpresa, che il suo materno istinto le aveva detto
con ragione che qualcuno le aveva rubato il figlio. Ora Raicharan provava
vergogna per aver trascurato il suo bambino e gli tornò la sua antica
devozione. Da quel momento in poi lo fece crescere come il figlio di un uomo
ricco. Gli comprò camicie di raso ed un cappello con ricami dorati, e fece
fondere i gioielli della sua defunta moglie per farne dei bracciali per lui.
Gli proibì di giocare con gli altri bambini e per tutto il giorno faceva lui da
suo compagno di gioco. Quando gli capitava l’occasione, i bambini del vicinato
prendevano in giro Phelna per essere un principino ed anche gli adulti erano
stupiti dello strano comportamento di Raicharan.
Quando Phelna fu abbastanza grande da andare a scuola,
Raicharan vendette i suoi terreni, si trasferì col figlio a Calcutta, trovò un
lavoro e mandò Phelna in una scuola di prima scelta. Risparmiava in tutti i
modi per poter dare a suo figlio buon cibo, bei vestiti ed una decente
educazione, dicendosi tra sé “Se è stato l’amore per me che ti ha portato in
questa casa, caro bambino, non puoi aver altro che il meglio”.
Dodici anni passarono in questo modo. Il ragazzo procedeva
bene con gli studi ed era piacevole a guardarsi: ben piantato, con una
brillante carnagione scura, stava attento ai suoi capelli ed aveva gusti
raffinati. Non poteva pensare a suo padre, come fosse suo padre, perché lui non
lo trattava con affetto paterno, ma con la devozione di un domestico. A suo
discredito, Phelna non disse mai a nessuno che quello era suo padre. Gli
studenti dell’ostello dove Phelna viveva scherzavano sempre sul rustico
Raicharan e non si può negare che quando suo padre non era presente, anche
Phelna si univa alle prese in giro. Ma erano tutti affezionati al gentile ed
affettuoso Raicharan ed anche Phelna gli voleva bene, ma, a costo di ripeterlo,
non come a un padre; l’affetto era sempre mischiato con una certa sufficienza
ed un’aria di superiorità.
Raicharan divenne vecchio ed i suoi datori di lavoro
continuavano a trovargli dei difetti; la sua salute si stava deteriorando,
aveva problemi a concentrarsi quando lavorava ed iniziava a dimenticarsi le
cose. Ma nessun datore di lavoro che paga l’intero stipendio accetta la
vecchiaia come una scusa. In più i soldi che aveva raccolto vendendo i suoi possedimenti
stavano finendo e Phelna ora si lamentava che non aveva bei vestiti e i soliti
lussi.
Un giorno, all’improvviso, Raicharan si licenziò, diede dei
soldi a Phelna e gli disse “È successo qualcosa e devo tornare al villaggio per
qualche giorno”, quindi si recò a Barasat, dove viveva il vecchio padrone
Anukul, diventato ora magistrato.
Anukul non aveva avuto altri figli e sua moglie era ancora
in lutto per il loro bambino scomparso.
Una sera Anukul si stava riposando, dopo essere tornato dal
tribunale, mentre sua moglie era in casa dopo essere riuscita, con notevole
spesa, a comprare da un asceta una radice sacra ed una benedizione che gli
avrebbero portato un figlio, e si sentì una voce nel giardino “Saluti”.
“Chi è?”, chiese Anukul.
E comparve il vecchio domestico “Sono Raicharan”, disse,
inginocchiandosi rispettosamente davanti al suo passato padrone.
Il cuore di Anukul si sciolse alla vista di Raicharan, gli
chiese delle sua condizione attuale e lo invitò a tornare a lavorare per lui.
Raicharan sorrise umilmente “Fatemi porgere i miei rispetti
alla padrona”.
Il signor Anukul lo fece entrare in casa, ma la moglie non
sembrava molto felice di rivedere Raicharan. Lui non se ne curò, giunse le mani
al petto e disse “Padrone, padrona, sono stato io a rubare vostro figlio, non
il fiume Padma o chi altro. Io, ingrato mascalzone che non sono altro”.
“Cosa stai dicendo?”, chiese Anukul, “Dov’è adesso?”.
“Vive con me”, rispose Raicharan, “ve lo porterò
dopodomani”.
Quel giorno era domenica ed essendo il tribunale chiuso,
marito e moglie iniziarono a scrutare la strada fin dalle prime luci dell’alba.
Alle dieci arrivò Raicharan con Phelna.
La moglie di Anukul, senza neppure pensarci o porsi qualche
domanda, se lo avvicinò al petto, iniziò a toccarlo, ad annusarlo ed a ridere e
piangere nervosamente. Indubbiamente il ragazzo era piacevole a vedersi, niente
sembrava suggerire che fosse cresciuto in condizioni povere o disagiate. Aveva
un’espressione amorevole, modesta ed imbarazzata, ed anche il cuore di Anukul,
a vederlo, si riempì di gioia. Ma mantenendo un certo contegno chiese a
Raicharan “Che prove hai?”.
“Come potrei provare una cosa del genere?”, rispose lui,
“Solo Dio sa che io ho rubato vostro figlio, nessun altro lo sa”.
Anukul ponderò a lungo la situazione e decise che, visto
che sua moglie aveva abbracciato il ragazzo con tale fervore, sarebbe stato
inappropriato adesso cercare delle prove; qualunque sia stata la verità, ora
era meglio semplicemente fidarsi. In ogni caso: come avrebbe potuto Raicharan procurarsi
un ragazzo del genere? E perché ora il vecchio domestico dovrebbe cercare di
ingannarli?
Interrogando il ragazzo, scoprì che aveva sempre vissuto
con Raicharan, che lo chiamava “Papà”, ma che Raicharan si era sempre
comportato più come un domestico che come un padre. Cercando di dissipare ogni
dubbio dalla propria mente, Anukul disse a Raicharan “Ma tu ora non dovresti
oscurare di nuovo la nostra casa”.
Giungendo le mani al petto e con voce tremolante, Raicharan
replicò “Sono vecchio ormai, padrone, dove potrei andare?”.
“Fallo rimanere”, disse la padrona, “L’ho perdonato,
lasciamo che nostro figlio sia benedetto”.
“Ma non può essere perdonato per quello che ha fatto”,
disse giustamente Anukul.
“Non sono stato io”, disse Raicharan piangendo e buttandosi
ai piedi del suo padrone, “è stato il volere di Dio”.
Ancora più irritato che ora Raicharan incolpasse Dio per i
suoi misfatti, Anukul disse “Uno non dovrebbe fidarsi di chi lo ha già tradito
una volta”.
Alzandosi dai piedi di Anukul, Raicharan disse “Non sono
stato io, padrone!”.
“E chi è stato allora?”.
“È stato il mio fato”. Nessun uomo istruito avrebbe
accettato una simile spiegazione, così Raicharan aggiunse “Non ho nessun altro
al mondo!”.
Phelna era seccato che Raicharan avesse rubato lui, il figlio
di un magistrato, e lo avesse reclamato come suo, ma disse, generosamente, ad
Anukul “Padre, per favore, perdonatelo. Se non volete che rimanga in casa
nostra, almeno concedetegli una piccola rendita mensile”.
Raicharan, senza dire nulla, guardò suo figlio, fece un
inchino, quindi uscì dalla porta e sparì tra la moltitudine del mondo. A fine
mese, quando Anukul mandò una piccola somma di denaro a Raicharan all’indirizzo
del suo villaggio, i soldi tornarono indietro. In quel villaggio non c’era
nessuno con quel nome.
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