Il titolo originale in bengalese di questo racconto di
Rabindranath Tagore è “Denapaona”, termine che può significare “debito e
credito” oppure “investimento e guadagno” e per esteso quindi anche accordo,
transazione e simili.
In inglese il racconto è intitolato “Profit and Loss”, che
potremmo rendere in italiano con “Guadagno e Perdita”.
L’argomento principale è il matrimonio, che secondo vetuste
tradizioni locali, in India si tratta, più che dell’unione tra due persone che
si vogliono bene, di un contratto tra famiglie.
Indubbiamente oggigiorno la situazione è decisamente
migliore di quella descritta in questo racconto, che venne pubblicato più di
cento anni fa, e l’obbligo della dote, almeno formalmente, sta sparendo, ma mostra
alcune dinamiche purtroppo ancora diffuse.
Quando nacque una femmina, dopo cinque maschi, i suoi
genitori, forse con eccessivo affetto, l’avevano chiamata Nirupama (senza
eguali). Un nome così altisonante non si era mai sentito prima in quella
famiglia; di solito venivano usati i nomi di divinità, come Ganesha, Kartik,
Parvati, eccetera.
Ora si presentava la questione del matrimonio di Nirupama.
Suo padre, Ramsundar Mitra, aveva cercato a lungo un marito che gli piacesse e
alla fine si era accontentato del figlio unico del signor Raybahadur. Le
fortune della famiglia di Raybahadur erano diminuite vistosamente nell’arco
degli anni, ma certo era una famiglia nobile. Questi chiesero come dote 10.000
rupie e molti altri regali.
Ramsundar accettò senza pensarci troppo, visto che non poteva
farsi sfuggire un marito del genere, ma non aveva alcuna possibilità di
riuscire a raccogliere tutti i soldi. Perfino dopo aver impegnato e venduto
quello che aveva, ed usato ogni metodo possibile, ancora gli mancavano 6-7.000
rupie ed il giorno del matrimonio si stava avvicinando.
Quando finalmente arrivò la data fissata, aveva trovato
qualcuno che gli prestasse i soldi seppur ad un interesse esagerato, ma alla
fine quella persona non si presentò. E nella stanza del matrimonio ci fu una
scena pietosa. Ramsundar si inginocchiò ai piedi di Raybahadur, implorandolo di
non portargli cattiva fortuna cancellando il matrimonio e che l’avrebbe pagato
del tutto al più presto.
“Se non mi dai i soldi adesso”, gli rispose Raybahadur,
“non farò neppure venire lo sposo”.
Le donne della casa iniziarono a piangere e disperarsi per
quel disastro. La causa se ne stava seduta nel suo vestito da sposa di seta,
con i suoi gioielli e la pasta di sandalo sulla fronte. Non si può certo dire
che nutrisse molto amore e rispetto per la famiglia di colui che sarebbe dovuto
diventare suo marito.
All’improvviso l’impasse fu risolta, quando lo sposo,
ribellandosi al volere di suo padre, disse fermamente “A me non interessano
queste contrattazioni e questo mercanteggiare; sono venuto qui per sposarmi e
mi sposerò”.
“Vedete, signori, come si comportano i giovani al giorno
d’oggi?”, disse il padre rivolgendosi ai presenti. “Perché non sono educati
alla moralità ed ai shastra (antichi precetti)”, affermò uno dei più anziani.
Ed il signor Raybahadur si sedette, sconfortato nel vedere
i velenosi frutti dell’educazione moderna nel suo stesso figlio. Il matrimonio
fu quindi celebrato in un’atmosfera cupa ed in qualche modo priva di gioia.
Prima che Nirupama andasse in casa dei suoceri, suo padre
la strinse al petto e non poté trattenere le lacrime.
“Mi lasceranno venire a trovarti?”, chiese lei.
“Perché non dovrebbero, mia cara?”, disse Ramsundar, “Verrò
io stesso a prenderti”.
Ramsundar spesso si recò a vedere sua figlia, ma non
riceveva alcun rispetto in casa di suo genero, perfino i domestici lo
guardavano dall’alto al basso. Qualche volta riusciva a vedere sua figlia per
cinque minuti in una stanza della casa separata; qualche volta, invece, non gli
veniva proprio permesso.
Essere caduto così in disgrazia nella casa di un parente,
per lui era intollerabile.
Decise quindi che in un modo o nell’altro avrebbe pagato
l’intera somma, seppur il peso dei debiti sulle sue spalle fosse già difficile
da controllare.
Le spese lo stavano soffocando e doveva ricorrere ad ogni
sotterfugio per non incontrare i suoi creditori.
Nel frattempo sua figlia veniva trattata con disprezzo per
qualunque motivo. Si chiudeva nella sua stanza e piangeva, punizione
giornaliera per gli insulti accumulati dalla sua famiglia.
In particolare gli attacchi di sua suocera erano molto
crudeli.
Se qualcuno diceva “Che carina che è questa ragazza, è un
piacere guardarla”, lei sbottava “Carina davvero! Come la famiglia dalla quale
proviene!”.
Perfino il suo cibo ed i suoi vestiti talvolta venivano trascurati
e se qualche gentile vicino lo faceva notare, la suocera diceva “Ha più di
quello che le spetta”, sottointendendo che se suo padre avesse pagato il prezzo
intero, avrebbe ricevuto la giusta attenzione. Tutti la trattavano come se non
avesse nessun diritto in quella casa e vi fosse entrata con l’inganno.
Naturalmente la notizia del disprezzo e della vergogna che
sua figlia stava subendo, raggiunse Ramsundar. Questi decise quindi di vendere
la casa. Non disse però ai suoi figli che li stava rendendo dei senzatetto,
pensando di affittare la casa dopo averla venduta, in modo che i figli non se
ne sarebbero accorti finché non fosse morto. Ma i figli lo scoprirono e
protestarono a lungo. I tre fratelli più grandi erano sposati ed avevano dei bambini
e le loro obiezioni furono così energiche che la vendita fu cancellata.
Ramsundar iniziò quindi a prendere in prestito piccole
somme di denaro da varie parti ad interessi altissimi, al punto che non poteva
più pagare le spese quotidiane della casa.
Nirupama capì tutto dall’espressione di suo padre. I suoi
capelli grigi, il viso pallido, il suo farsi sempre piccolo piccolo, indicavano
povertà e preoccupazioni. Quando un padre delude la sua propria figlia, non può
nascondere il senso di colpa. Ogni volta che Ramsundar riusciva ad ottenere il
permesso di vedere sua figlia per un momento, era chiaro da subito, perfino dal
suo sorriso, quanto fosse affranto.
Lei avrebbe voluto tornare a casa di suo padre per alcuni
giorni, per consolarlo; vedere il suo triste viso rendeva il suo essere lontana
davvero tremendo.
Un giorno gli disse “Padre, portatemi a casa per un po’”.
“Molto bene”, rispose lui, ma non aveva nessun potere per
farlo: il naturale diritto di un padre verso sua figlia era stato impegnato per
la dote. Perfino poter vedere di sfuggita sua figlia doveva essere mendicato
umilmente e se non gli veniva concesso, non era nella posizione di chiedere una
seconda volta. Ma se lei stessa voleva tornare a casa, come avrebbe potuto rifiutarsi?
Sarebbe meglio non raccontare l’indignità, la vergogna ed
il dolore che Ramsundar dovette sopportare per raccogliere qualche migliaio di
rupie di cui aveva bisogno per potersi almeno avvicinare al cognato. Avvolgendo
tre banconote in un fazzoletto, legato ad un angolo del suo scialle, si recò da
lui. Subito iniziò a parlare in maniera disinvolta di alcune notizie locali,
come il furto in casa del signor Harekrishna, o la diffusione di una nuova
malattia in città.
Alla fine, posando la pipa, disse quasi distrattamente “Sì,
sì, fratello, lo so che ti devo ancora dei soldi. Me lo ricordo tutti i giorni
e penso di portarteli, ma poi mi passa di mente. Sto diventando vecchio, amico
mio”, ed alla fine di questo lungo preambolo, tirò fuori le tre banconote da
mille, che erano un po’ come tre delle sue costole.
Raybahadur, quando le vide, scoppiò a ridere “Quelle non mi
servono”, facendo capire, usando un recente proverbio, che non voleva sporcarsi
le mani senza motivo e che avrebbe accettato solo il saldo totale.
Dopo questo, chiedere se poteva portare a casa Nirupama per
qualche giorno era fuori discussione, sebbene Ramsundar si domandasse che senso
avesse essere così educato e gentile. Dopo essere rimasto in silenzio per un
po’, alla fine, molto cautamente risollevò la questione.
“Non adesso”, disse Raybahadur, senza dare nessuna
spiegazione; quindi se ne andò.
Non riuscendo a sostenere lo sguardo di sua figlia, con le
mani tremanti, Ramsundar legò di nuovo le banconote al suo scialle e tornò a
casa. Ma si promise che non sarebbe più andato da Raybahadur finché non avesse
raccolto tutti i soldi, solo allora avrebbe avuto il diritto di reclamare
Nirupama.
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