martedì 2 agosto 2016

La tigre del Bengala

Panthera tigris tigris.jpgLa tigre del Bengala (Panthera tigris tigris) è la sottospecie più diffusa di tigre delle sei rimaste, seconda per dimensioni solo alla panthera tigri altaica, la tigre siberiana.
Al giorno d’oggi rimangono solo circa poco più di 2.500 individui, distribuiti in quattro nazioni del subcontinente indiano: grossomodo 1.900 in India, 400 in Bangladesh, 150 in Nepal e 100 in Bhutan.
Secondo la classificazione dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature), la tigre del Bengala è considerata una specie endangered, in pericolo, che potrebbe quindi trovarsi ad alto rischio di estinzione in un futuro prossimo.

Come per la maggior parte delle specie di animali a rischio, le cause principali dell’ormai scarsa popolazione di tigri del bengala sono essenzialmente due: la diminuzione di territori adatti al suo habitat, dovuto all’antropizzazione, ed il bracconaggio.
Purtroppo bisogna anche notare che le condizioni economiche generali dei paesi che le ospitano non possono garantire che la salvezza delle tigri sia una preoccupazione primaria dei vari governi.
Nonostante queste difficoltà, bisogna però notare i numerosi sforzi per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica locale: ad esempio, la tigre del bengala è l’animale simbolo sia dell’India che del Bangladesh.

In Bangladesh, Nepal e Bhutan, sicuramente paesi più poveri dell’India, un piccolo aiuto viene dal fatto che lì le tigri abitano territori poco adatti all’antropizzazione e la situazione potrebbe rimanere in questo stato ancora a lungo.
In Bangladesh, le circa 400 tigri vivono nelle vaste foreste di mangrovie dei Sunderbans, situate sul mare, dove l’uomo si avventura solo raramente per attività agricole secondarie, come raccogliere particolari piante o il miele; per altro con elevati rischi di spiacevoli incontri con affamati felini.
In Nepal, le circa 150 tigri sono distribuite nelle pianure meridionali del Terai, vicino al confine con l’India, e seppur l’area sia alquanto popolosa, le zone centrali ed occidentali sono da molti anni aree protette e progressivamente sempre meno abitate dall’uomo, a causa dei territori inospitali, cioè foreste alluvionali, e l’assenza di risorse.
Il centinaio di tigri che vivono in Bhutan approfitta invece delle note gigantesche foreste del paese, che si mantengono rigogliose fino ad elevate altitudini, permettendo ai grandi felini, solitamente animali di pianura, di stabilizzarsi in zone di montagna fino a circa 3-4.000 m s.l.m..

Con una popolazione di poco inferiore ai 2.000 individui, l’India ospita il maggior numero di tigri, grazie all’estensione ed alla varietà geografico-climatica.
Intanto sono presenti le stesse caratteristiche appena citate per gli altri tre paesi, visto che l’India condivide parte dei Sunderbans con il Bangladesh, la parte occidentale del Terai con il Nepal e le aree boscose di montagna con il Bhutan, circondato da tre lati da territori indiani.
A questi si aggiungono le tipiche savane-foreste pianeggianti delle aree centrali del subcontinente, dal Rajasthan fino all’Orissa passando attraverso il grande Madhya Pradesh, e le rigogliose foreste dell’altopiano del Deccan, principalmente lungo la costa occidentale.
La frammentazione delle aree abitate dalle tigri, oltre all’evidente danno diretto che queste subiscono, è anche un notevole problema nella maggior dispersione delle risorse disponibili.

Purtroppo le già citate condizioni economiche non prospere dei paesi che ospitano la tigre del Bengala portano anche ad una notevole corruzione, che si riflette in particolare nel fenomeno del bracconaggio, piuttosto diffuso essenzialmente per due motivi: la richiesta di parti di tigre per la medicina cinese e la povertà dei contadini e pastori che abitano nei pressi delle aree, pur protette, dove le tigri vivono.
Caso emblematico è avvenuto alcuni anni fa al Sariska National Park dove le supposte 16 tigri che vivevano al suo interno, furono state spazzate via dai bracconieri e nel 2004 non ne rimase neppure una.

Questo ha creato un acceso dibattito, riguardo al favorire o meno una maggior apertura di queste aree ai turisti oppure bandirli del tutto.
Un articolo comparso sul The Times of India di alcuni anni fa, riportava infatti che, contrariamente a quello che si potrebbe logicamente pensare, sembra che i turisti possano diventare un ottimo alleato nella conservazione delle tigri, visto che spesso è anche grazie alle loro ricerche che si vengono a conoscere episodi di bracconaggio.
Se le aree protette vengono vietate ai turisti, ai bracconieri basterà corrompere un certo numero di responsabili per agire indisturbati ed i mass-media se ne interesseranno solo nei casi più eclatanti, come successe al già citato Sariska National Park, dove le tigri sono addirittura sparite.
Sicuramente, come evidenziato dalla Corte Suprema Indiana, che dopo un’aspra diatriba aveva infine evitato di chiudere al pubblico i parchi nazionali che ospitano tigri, il turismo all’interno delle aree protette deve seguire alla lettera le rigide leggi preposte alla sua regolamentazione.

Infine, anche migliorare le condizioni di vita dei contadini e dei pastori che abitano nei pressi delle aree protette potrebbe renderli meno attratti dal business del bracconaggio e potrebbero essere al contrario impiegati in opere conservazione di flora e fauna.

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