Sri Ramakrishna |
Sri Ramakrishna (1836-1886) e Swami Vivekananda (1863-1902)
sono stati due importanti mistici indiani originari dello stato del Bengala.
Vengono sovente citati insieme poiché Ramakrishna fu il guru
(maestro) e Vivekananda il suo discepolo ideale, oppure, usando una
terminologia più occidentale e moderna, si potrebbe dire che furono il primo la
mente, il secondo il braccio.
Ramakrishna (al secolo Gadadhar Chattopadhyay) nacque in un
piccolo villaggio nella vasta campagna bengalese, in una famiglia di poveri
bramini.
Fin dai primi anni di vita mostrò alcuni comportamenti
piuttosto inusuali, che vennero sommariamente considerati frutto di una leggera
deficienza mentale o di una forma di epilessia.
Per questo motivo ricevette un’educazione piuttosto limitata
ed a circa 19 anni trovò occupazione come aiutante sacerdote presso il tempio
di Dakshineswar, situato nell’omonimo villaggio, al tempo alle porte di Kolkata
ed oggigiorno inglobato nella grande area metropolitana.
Grazie ad un’atmosfera ed un contesto molto appropriati –
il complesso del tempio di Dakshineswar si trova infatti ancora oggi immerso in
un grande, tranquillo e verdeggiante parco sulla sponda del fiume Hoogly – Ramakrishna
poté quindi dedicarsi completamente alla ricerca spirituale.
I suoi apparentemente fanciulleschi atteggiamenti
maturarono infatti in profondi stati di estasi spirituale, chiamati dal
sanscrito samadhi, durante i quali la sua coscienza personale mergeva
nella Coscienza Universale.
Grazie a questo egli era quindi in grado di spiegare in
maniera particolarmente semplice e convincente, difficili precetti spirituali
ad un gruppo sempre crescente di devoti ascoltatori.
Swami Vivekananda |
Tra questi il più brillante era il giovane Narendranath
Datta, rampollo di una ricca e rispettata famiglia bengalese, che diventerà
noto come Swami Vivekananda.
Il primo incontro tra i due avvenne nel 1981, ma l’istruito
Narendranath Datta sembrava poco propenso ad accettare alcuni degli
insegnamenti di Ramakrishna, fino all’improvvisa morte di suo padre nel 1884.
Trovandosi in una grave situazione finanziaria, Narendranath
Datta iniziò a frequentare con sempre maggior frequenza Ramakrishna, tanto che
alla morte di quest’ultimo nel 1886 era ormai il suo discepolo principale.
Dopo aver raccolto l’eredità spirituale del suo maestro, e
presi i voti della vita monastica, cambiando il nome in Vivekananda, viaggiò
per l’India dal 1888 fino al 1893, per incontrare religiosi d’ogni sorta ed
iniziando a guadagnare una certa notorietà, anche presso ufficiali del governo,
per la sua cultura, intelligenza e conoscenza spirituale.
Nel 1893, partì per la prima volta verso l’occidente per
prendere parte al Parlamento delle Religioni di Chicago, durante il quale fece
un apprezzatissimo intervento che impressionò talmente il pubblico che
Vivekananda rimase in America, con l’eccezione di un paio di viaggi in
Inghilterra, fino alla fine del 1896.
Rientrato in India, il 1 Maggio 1897, fondò la Ramakrishna
Mission, per servizi sociali, agli ordini dei capi del Ramakrishna Math, l’ordine
monastico fondato insieme ad altri discepoli alla morte di Ramakrishna .
Nonostante condizioni di salute precarie, dovute
principalmente all’asma e al diabete, nel 1899 Vivekananda intraprenderà un
secondo viaggio in occidente, con soste in Inghilterra, Stati Uniti e Francia,
per tornare a Calcutta nel Dicembre del 1900.
E dopo soli due anni, il 4 Luglio 1902, morì, confermando
una sua vecchia profezia che non sarebbe vissuto più di 40 anni.
Spiritualmente Vivekananda seguiva principalmente l’Advaita
Vedanta, come promulgato dal filosofo indiano Adi Shankaracharya, ma senza la
rigidità del suo illustre predecessore.
Secondo le sue stesse parole “Ogni anima è potenzialmente
divina. Lo scopo è manifestare questa divinità controllando la natura interiore
ed esteriore. Questo può essere fatto attraverso il lavoro, la devozione, la
disciplina mentale e la filosofia, per diventare liberi. Questa è la summa
delle religioni. Dottrine, dogmi, rituali, libri, templi e forme non sono altro
che dettagli secondari”.
Ciò che infatti ha sempre distinto l’ordine monastico del
Ramakrishna Math, da quelli tradizionali indù, è una forte inclinazione a
migliorare le condizioni della società attraverso la spiritualità, ma anche con
riforme, il lavoro ed una spiccata attenzione alle persone indigenti e
bisognose.
Il motto dell’organizzazione è infatti “Per liberare l’anima
e servire la società”.
Per questi motivi, in contrasto con le più diffuse
tradizioni del tempo, il movimento ispirato a Ramakrishna ha sempre accettato
chiunque a prescindere da casta, razza e perfino religione.
Nelle parole di Vivekananda “abbiamo bisogno di monaci che
siano in grado di andare nella più profonda meditazione, ma anche di andare al
mercato a vendere gli ortaggi che loro stessi hanno coltivato”.
Questo anche per permettere ai gruppi monastici di
provvedere, almeno in parte, ai propri bisogni senza dipendere esclusivamente
da offerte e sponsorizzazioni.
Con notevole lungimiranza infatti, Vivekananda fin da
subito proibì ogni accostamento politico, proprio per poter mantenere la
propria indipendenza, fattore che ancora oggi rende il movimento Ramakrishna,
seppur chiaramente ispirato all’induismo, apprezzato anche da mussulmani e
cristiani, abbastanza numerosi nella città di Kolkata sede storica del
movimento.
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