La cosiddetta Legge del Karma indù segue
un principio molto semplice, appartenente anche al mondo della fisica, dove
viene definito nella Terza Legge della Dinamica di Newton, che semplificando
dice: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Tale principio, inserito nel contesto
del ciclo della rinascita induista, serve a capire i motivi dell’esistenza in
quanto ciò che accade nel presente non è altro che la reazione di quanto
avvenuto nel passato.
Nel libro di Robert Svoboda,
intitolato appunto “La Legge del Karma”, che chiude la trilogia sul percorso
spirituale dell’Aghora, le intricate relazioni karmiche vengono magnificamente
spiegate attraverso vicende che si svolgono all’ippodromo, dove i numerosi e
spesso ambigui personaggi sembrano muoversi come burattini in mano al karma.
Molto interessanti sono i punti
riguardanti la complessità del karma dietro a situazioni comuni come ad esempio
lavorare e guadagnarsi da vivere.
In particolare abbiamo trovato un
interessante passaggio, illuminato come sempre da semplici e piacevoli storie,
riguardo il karma relativo all’uccisione di animali e l’impiego stesso del
macellaio.
Secondo la Legge del Karma, il
macellaio ha il diritto di uccidere gli animali perché egli stesso è stato
ucciso in molte vite passate.
Egli può uccidere tanti esseri quanti
sono stati quelli che hanno ucciso lui in passato; solo quel numero, non di
più.
Quando finirà gli animali da uccidere,
automaticamente si ritirerà, o cambierà mestiere, o gli verrà l’artrite alla
mano e non potrà più maneggiare il coltello, o qualcosa del genere: la Natura
conosce bene il suo mestiere e ha infinite risorse per compierlo.
Quando si ha l’opportunità di uccidere
deliberatamente un animale, non è altro che l’occasione per ripagare una
situazione del passato quando è stato l’animale ad uccidere: questo è l’unico
motivo per cui si ha l’opportunità presente (reazione uguale e contraria).
Se si decide di andare avanti e
pareggiare il conto, la nuova azione garantirà all’animale l’opportunità di
ripagare in futuro e uccidere di nuovo.
Perfino il macellaio, se volesse,
potrebbe rinunciare al suo diritto di uccidere.
Se ci riesce, il suo ciclo karmico
personale legato all’uccidere e l’essere ucciso terminerà, seppur in genere il
peso dei karma accumulati è così pesante che solo pochi macellai considereranno
mai l’idea.
C’era una volta un pover’uomo che
guadagnava da vivere per lui e la sua famiglia uccidendo e macellando una capra
al giorno.
Una notte si presentò alla sua porta
un ospite inatteso, dopo che la famiglia aveva già cenato.
La tradizione dell’ospitalità
chiaramente stabilisce che l’ospite deve essere nutrito ma nella casa non c’era
più nulla da mangiare.
Il pover’uomo pensò di macellare la
capra del giorno dopo ma la carne non consumata quella notte sarebbe andata a
male, visto che a quei tempi non vi erano ancora sistemi di refrigerazione, e
una simile perdita l’avrebbe rovinato.
Direttosi nel recinto iniziò a fissare
la capra, che in quel caso era un bel caprone maturo, e all’improvviso gli venne
un’idea.
Se avesse semplicemente castrato il
caprone invece di ucciderlo, avrebbe avuto abbastanza carne da sfamare l’ospite
e l’animale, seppur agonizzante, sarebbe sopravvissuto fino al mattino
successivo, quando sarebbe stato propriamente macellato.
Contento di questo piano, il macellaio
iniziò ad affilare il coltello, quando all’improvviso sentì uno strano verso
provenire dal caprone.
Smise di affilare, ascoltò
attentamente e scoprì che l’animale stava contemporaneamente piangendo e
ridendo.
Una persona più acculturata forse si
sarebbe sorpresa di riuscire a comunicare con un caprone, ma il semplice
macellaio domandò semplicemente all’animale il motivo del suo comportamento.
Calmandosi in qualche modo, il caprone
rispose “Sto piangendo perché penso alla tortura che soffrirò questa notte
quando tu mi avrai castrato, ma sto anche ridendo perché la tortura durerà solo
fino a domattina. Quindi morirò, cosa che mi libererà dalle mie sofferenze, e
quando sarò rinato avrò modo di rintracciarti e prendermi la mia rivincità!”.
Il macellaio lasciò cadere il
coltello, stette immobile per qualche secondo, quindi abbandonò il caprone, la
casa, la famiglia e andò nella foresta senza dire niente a nessuno. Alla fine
divenne un grande santo.
Egli fu fortunato, nel senso che era
destinato a finire in quel modo.
I suoi buoni karma erano maturati a
tal punto che gli fu possibile capire il discorso del caprone.
Nella maggior parte dei casi però, è
difficile realizzare quello che sta succedendo e si rimane strettamente incatenati
alla ruota del karma.
Un visone morto, che stava ancora
piangendo amaramente per essere stato spellato vivo, fu ammesso alla presenza
di Dio.
Il cuore di Dio era talmente toccato dalla
sua condizione che gli disse “Chiedimi qualunque cosa ed io te la darò”.
Singhiozzando il visone rispose “Signore,
ora non ho una pelle che mi tenga caldo. Quello che voglio è una giacca di
pelle di essere umano, così che l’uomo che mi ha tormentato, capirà cosa vuol
dire essere spellati”.
Dio, gentilmente ma con fermezza,
replicò “Se tu avessi capito la Legge del Karma, avresti realizzato perché sei
stato spellato vivo e queste parole non sarebbero mai uscite dalla tua bocca”.
Alla fine il visone avrà la sua
occasione di spellare chi aveva spellato lui ma non servirà a nulla, se non a
continuare tutto il processo.
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