L’ultima sezione del libro di Khushwant Singh “Not a nice
man to know” (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2017/01/il-giornalista-scrittore-khushwant.html)
è dedicata alle barzellette, precedute da un breve saggio dell’autore
sull’umorismo, scritto nel 1992 ed intitolato What’s so funny? (Cosa c’è di così divertente?).
Libera traduzione, cui segue una delle barzellette; altre
verranno pubblicate in un successivo post.
Inventare barzellette non è una questione da ridere. È un
lavoro serio che richiede conoscenza, intuito ed esperienza su cosa farà ridere
le persone e cosa invece no. Prima di tutto dobbiamo scoprire perché le persone
ridono. Per alcuni, la vista di una persona con un grande naso, il labbro
leporino, le balbuzie, un’enorme pancia, una zoppia è abbastanza per farli
ridere. Altri vogliono più azione, come uno che scivola su una buccia di
banana, per avere la stessa reazione. Non bisogna avere senso dell’umorismo per
ridere di queste cose, ma al contrario ne rivelano una totale mancanza.
Ci sono molte cose che fanno ridere diversamente le
persone. Ma cercare di analizzare le risate è come sezionare una rana: potrai
osservarne le interiora e tutto quello che si trova nel suo corpo, ma ucciderai
la rana. Dovresti invece cercare di accettare le risate come un fenomeno che
rilascia la tensione e ti fa sentire più leggero e contento. Persone di età
diverse reagiscono in maniera diversa in differenti situazioni. Un bambino ride
quando vede qualcuno cadere dalle scale, mentre un adulto sarà dispiaciuto
perché gli è successa una cosa simile e sa quanto sia doloroso. Anche tra gli
adulti comunque gli stimoli che scatenano una risata sono sono diversi da
nazione a nazione. Sebbene gli europei abbiano un gran numero di barzellette
sugli ebrei, gli scozzesi, gli irlandesi, i polacchi, sono considerate di
cattivo gusto. Al contrario in India, molte delle nostre barzellette sono
dirette a certe comunità e prendiamo in giro i marwari (gruppo etnico
rajasthano), i bania (una casta di mercanti del nord dell’India), i parsi, i sikh,
ma sono tutte largamente basate su stereotipi e non hanno alcuna base reale. Gli
europei si lasciano andare al black-humour con barzellette sui funerali e sulla
morte, in India le consideriamo di cattivo gusto. Sebbene, condividiamo lo
stesso interesse nelle barzellette sulle nostre suocere e le nostre mogli; fare
del cognato il bersaglio di barzellette, poi, è una specialità tipica indiana.
Questo mostra che tutti siamo appassionati all'umorismo. E
più si cerca di sopprimerlo, più si manifesta. Se vieti ad una persona di
ridere, riderà ancora di più. Per questo le barzellette su Hitler, Stalin, il
fascismo, il comunismo fiorirono in Russia e Germania. Quando il Generale Zia-ul
Haq impose la dittatura militare in Pakistan, venne in gran parte ridicolizzato
nel suo paese. Come in India, quando Indira Gandhi instaurò il regime dell’Emergenza
e divenne l’obiettivo dell’umorismo per aver soppresso la libertà di parola.
Ridere degli altri è molto più facile che ridere di se
stessi. Solo persone con una notevole sicurezza di sé si possono permette di
ridere delle proprie debolezze. C’è stato un tempo, prima dell’Operazione Blue
Star (l’invio dell’esercito nel tempio più sacro per i sikh per debellare un
gruppo di terroristi) che i sikh si vantavano, giustamente, di creare le più
belle barzellette sui sikh. Ma da allora hanno sviluppato un atteggiamento
negativo e si offendono per le barzellette indirizzate a loro. In ogni caso, le
barzellette sui sikh continuano a fiorire. Un’altra comunità che eccelle nel
prendersi gioco di se stessa è quella dei parsi. Ci sono molte barzellette sui parsi,
ma andrebbero recitate in lingua parsi del Gujarat. Non conosco nessun’altra
comunità indiana che sia così sicura di sé da prendersi in giro da sola.
Non molte persone sono a conoscenza del fatto che l’India
ha una lunga tradizione di umorismo fin dai tempi di Kalidas (poeta sanscrito
del V secolo). Ogni generazione ha prodotto grandi umoristi, come Birbal,
Tenali Raman e Gopal Bhat, senza contare i numerosi bhand (menestrelli) che hanno mantenuto viva questa tradizione
attraverso i secoli.
Io ho i miei obiettivi cui mirare. Oltre i potenti e quelli
che pensano sempre di avere ragione, trovo estremamente ridicole le persone che
si vantano di conoscere gente importante; non credo esista un solo indiano che
non si auto elogi e non si vanti di conoscere qualcuno. Questa malattia affligge
i nostri politici che non perdono occasione per accennare a quanto siano vicini
al Primo Ministro, al Capo dei Ministri o ad altre alte cariche. In più, i
nostri politici sono dei bigotti conta frottole che dichiarano il loro
sacrificio per il paese e la loro dedizione al servizio della società. Non è
molto difficile sgonfiare la loro autostima con mirate punzecchiature. Considero
l’autoincensarsi una forma di volgarità particolarmente comune tra i miei
connazionali, che introducono invariabilmente con frasi tipo “sebbene non debba
essere io a dirlo, ma...”.
L’umorismo dell’uomo comune è di un’ordine inferiore
rispetto a quello delle persone sofisticate. Le persone acculturate reagiranno
ad allusioni letterarie, giochi di parole e barzellette su poeti, scrittori, compositori
e pittori, che non significano nulla per la media delle persone. Il pubblico
dei cinema, ad esempio, si diverte con le più generiche tipologie: un semplice
riferimento ad una moglie come il Ministro del Interni, farà scoppiare dalle
risate un’audience indiana. Ogni situazione in cui una donna caparbia e
determinata viene umiliata, li farà sbellicare. La nostra gente deve essere
educata per capire e divertirsi con un umorismo più sottile.
Le più sofisticate riviste di umorismo sono Punch
(settimanale inglese purtroppo chiuso nel 2002) e The New Yorker (pubblicata
dal 1925), perché non sono solo comiche, ma hanno una forma molto sottile e
ricercata di spirito, ironia, sarcasmo, che solleticano la fantasia. Ogni tanto
le loro vignette sono così sottili che ci vuole un po’ di tempo per capirne il
vero significato.
Non sono molti i giochi scritti e stampati che fanno
esplodere dalle risate, il massimo che possono provocare è un sorriso
pensieroso. Per l’esplosione di risate, le battute devono essere recitate da
qualcuno che conosca l’arte di raccontare barzellette. Per fortuna questo tipo
di persone si trovano in ogni classe sociale e ad ogni festa. Anche a me viene
spesso chiesto di raccontare alcune delle mia barzellette preferite. Personalmente
non ho una lista delle migliori, ma ce ne sono una dozzina che racconto spesso
per migliorarle dopo ogni volta che le ripeto. Purtroppo la maggior parte non
sono pubblicabili perché sono sconce e basate sul sesso.
Ad ogni modo, eccovene alcune dalla mia collezione, che ho
scelto insieme alla mia nipotina...
Una ricca signora aveva quattro figli molto brillanti e non
faceva altro che vantarsi dei loro risultati scolastici, sicura che da grandi
sarebbero diventati delle importanti personalità. Io, ironicamente, le chiesi
se aveva mai sentito parlare dello slogan sulla pianificazione familiare “Hum
do, hamari do” (Noi siamo due, i nostri sono due, per porre un limite all’eccessivo
numero di nascite), e lei mi rispose altezzosamente “Sì, ma quello è per le
persone comuni, non per quelli come noi che hanno figli altamente intelligenti
e si possono permettere di dargli la migliore istruzione”.
“In questo caso, non potreste farne cinque di più e dare
all’India altri Nau Ratan?” (letteralmente Le Nove Gemme, riferito ai famosi nove
eccellenti consiglieri di cui si era circondato l’imperatore Akbar)
La signora ignorò il mio sarcasmo e mi rispose “No, no! Ho
appena letto un libro sulle statistiche della popolazione mondiale che dice che
ogni cinque bambini che nascono al mondo uno è cinese!”.