Alla mattina, quando Madhav entrò nella capanna per dare un’occhiata, sua
moglie era fredda e le mosche le volavano sul viso. I suoi occhi erano rivolti
verso l’alto ed il suo corpo era coperto di polvere. Nel suo ventre, anche il bebè
era morto.
Madhav corse da Ghisu ed entrambi iniziarono a lamentarsi e a battersi il
petto. Quando i vicini udirono il loro strazio, arrivarono di corsa e, seguendo
la tradizione, iniziarono a consolare i familiari della defunta.
Ma quello non era il momento di lasciarsi andare al dispiacere, bisognava
preoccuparsi del sudario e della legna; i soldi in quella casa erano come la
carne nel nido di un rapace.
Padre e figlio andarono quindi a struggersi dal capo del villaggio.
Questi odiava anche solo la loro faccia. Spesso li aveva picchiati con le sue
stesse mani, per aver rubato o per non essersi presentati al lavoro.
Vedendoli gli chiese “Cosa succede Ghisu, perché ti lamenti? In questo
periodo non ti si vede in giro, sembra che tu non voglia più vivere in questo
villaggio”.
Ghisu si prostrò a terra e disse con gli occhi pieni di lacrime “Mio Padrone,
ho un grosso problema. La scorsa notte è mancata la moglie di Madhav. Ha
passato tutto il giorno a contorcersi dal dolore, mentre noi due siamo stati al
suo fianco tutta la notte. Qualunque medicina potevamo darle, gliela abbiamo
data, ma non c’è stato nulla da fare. Ora non c’è nessuno che si prenda cura di
noi, Padrone, siamo devastati, la nostra famiglia è distrutta! Sono il vostro
schiavo, ora chi si prenderà cura del suo funerale se non voi? Tutti i soldi
che avevamo li abbiamo spesi in medicine. Se il Padrone ci mostrasse un po’ di
compassione, potrebbe avere il suo meritato funerale. A quale porta dovrei
recarmi, se non alla vostra?”.
Il capovillaggio era una persona compassionevole, ma mostrare compassione
a Ghisu era come cercare di tingere una coperta nera. Avrebbe voluto dirgli
“Vattene via di qua! Tieniti il corpo in casa e lascia che marcisca. Di solito
non vieni neppure quando ti chiamo ed ora che hai bisogno di qualcosa vieni qui
e cerchi di lusingarmi? Tu subdolo villano!”. Ma quello non era il momento di
rabbia, rancore e vendetta. Volente o meno, tirò fuori due rupie e le fece
cadere. Non disse neppure una parola di consolazione e non guardò nemmeno in
direzione di Ghisu, come se avesse semplicemente svolto un dovere.
Quando il capovillaggio ha dato due rupie, come faranno a rifiutare gli
altri ricchi proprietari? Ghisu sapeva bene come battere il tamburo del nome
del capovillaggio. Uno diede due paise, un altro quattro, e in un’ora Ghisu
aveva raccolto cinque rupie in contanti. Qualcuno offrì del grano, altri la
legna e nel pomeriggio Ghisu e Madhav si recarono al mercato per comprare il
sudario. Nel frattempo altre persone iniziarono a tagliare il bambù per fare la
portartina su cui trasportare il cadavere e a svolgere altri preparativi per il
funerale.
Le donne del villaggio vennero a dare un’occhiata al corpo ed a piangere
alcune lacrime sulla sua impotenza.
Quando i due giunsero al mercato, Ghisu disse “Abbiamo abbastanza legna
per bruciarla, vero Madhav?”.
Madhav rispose “Sì, abbiamo parecchia legna, ora ci serve solo il
sudario”.
“Dai compriamo un sudario leggero”.
“Ma certo! Quando trasporteremo il cadavere ormai sarà notte, chi farà
caso al sudario?”.
“Che razza di tradizione: uno che in vita sua non ha avuto altro che
vecchi stracci per coprirsi, ha bisogno di un nuovo sudario quando muore”.
“Dopotutto, il sudario brucia insieme al cadavere”.
“A che cosa serve? Se avessimo avuto prima cinque rupie, avremmo potuto
darle delle medicine”.
Tutti e due intanto cercavano di capire cosa stesse pensando l’altro e
continuarono a girare per il mercato finché non venne sera. Ogni tanto
entravano in un negozio, davano un’occhiata ai vari tessuti, dalla seta al
cotone, ma sembrava che nessuno facesse al caso loro. Ad un certo punto si
trovarono, per caso o deliberatamente, di fronte ad un negozio di alcolici e
come se si fossero accordati in precedenza, automaticamente entrarono. Per un
po’ stettero in piedi, incerti sul da fare, quindi Ghisu si diresse dal
commesso e gli chiese “Per favore, dia una bottiglia anche a noi”. Oltre alla
bottiglia di liquore, Ghisu comprò dei dolci al sesamo e dopo i dolci trovò del
pesce fritto, si sedettero nella veranda ed iniziarono a bere.
Dopo qualche bicchiere iniziarono a sentirsi sollevati
Ghisu disse “Che senso ha avvolgerla in un sudario? Dopotutto anche
quello brucerà, niente se ne andrà con lei”.
Guardando verso il cielo, come per persuadere gli angeli della sua
innocenza, Madhav continuò “È una tradizione del mondo. Perché queste stesse
persone danno migliaia di rupie ai sacerdoti? Chi può dire se ci sarà o no una
ricompensa in un altro mondo?”.
“I ricchi hanno il benessere, lasciamo che lo sprechino. Noi cosa abbiamo
da sprecare?”.
“Ma cosa gli dirai alla gente? Non ci chiederanno dov’è il sudario?”.
Ghisu scoppiò a ridere “Gli diremo che i soldi sono sgusciati via dalle
mie tasche, li abbiamo cercati, ma non li abbiamo trovati. La gente non ci
crederà ma ci daranno di nuovo la stessa somma”.
Anche Madhav scoppiò a ridere, felice per questo inaspettato colpo di
fortuna e disse “Era proprio brava quella povera donna, perfino da morta è
riuscita a servirci un buon pasto”.
Più di metà bottiglia era andata, Ghisu ordinò due porzioni di puri, uno
stufato di carne, del fegato speziato ed altro pesce fritto. Madhav portò tutto
su due piatti dal vicino ristorante, per il prezzo di una rupia e mezza, ed ora
erano rimaste solo poche paise.
I due quindi si sedettero a mangiare i puri, con la stessa grandiosità
della tigre che insegue la sua preda nella giungla. Non avevano paura che gli
venisse chiesto di giustificarsi e non temevano il disonore. Erano passati
attraverso questi stati di debolezza molto tempo fa. Ghisu disse in tono quasi
filosofico “Se la mia anima è compiaciuta, non riceverà anche lei dei meriti
religiosi?”.
Madhav abbassò la testa in pia approvazione “Cetamente li riceverà. Dio,
tu conosci i cuori, portala in paradiso! Entrambi le stiamo dando la nostra più
accorata benedizione. Il banchetto che ho avuto stasera, non l’avevo mai avuto
in vita mia”.
Dopo qualche momento però, un dubbio venne a Madhav “Anche noi andremo lì
un giorno, non è vero?”.
Ghisu non rispose a questa infantile domanda e guardò male Madhav: non
voleva che pensieri sulle questioni ultraterrene lo distraessero dal piacere
che stava provando in quel momento.
“Quando là lei ci chiederà perché non le abbiamo messo il sudario, cosa
le diremo?”.
“E smettila!”.
“Ma ce lo chiederà sicuramente!”.
“Come fai a sapere che lei non avrà un sudario? Mi consideri un tale
asino? Ho vissuto in questo mondo per sessant’anni e non ho fatto altro che bighellonare
? Avrà un sudario e pure bello, molto meglio di quello che le avremmo comprato
noi”.
Madhav non era convinto e disse “Chi lo darà? Ti sei ingoiato tutti i
soldi! È a me che chiederà, sono stato io a mettere la polvere di sindur tra la
partizione dei suoi capelli”. (Nel matrimonio indù è questo il gesto che
sancisce la coppia)
Ghisu iniziò ad irritarsi “Ti dico, avrà il suo sudario, perché non mi
credi?”.
“Chi ci darà i soldi, perché non me lo dici?”.
“Ce li daranno gli stessi che ce li hanno dati prima, ma non li
metteranno nelle nostre mani. E se in qualche modo dovessimo riuscire a
prenderli, ci siederemo di nuovo qui e berremo allo stesso modo, e quelli ci
daranno il sudario una terza volta”.
Con l’avanzare dell’oscurità, le stelle brillavano sempre più, mentre
all’interno del negozio di alcolici il tumulto aumentava. Una persona cantava,
un’altra borbottava, uno abbracciava il suo compagno di bevuta, un altro
spingeva il bicchiere sulla bocca del suo amico. L’atmosfera era gioiosa e
l’intossicazione nell’aria. Quante persone diventano degli asini con un
bicchiere! Vengono qui solo per assaporare il gusto di dimenticarsi di se
stessi. Più del liquore è l’aria qui ad elevare i loro spiriti. I disastri
della vita li hanno colpiti e trascinati qui e per un momento si dimenticano se
sono vivo o morti, o mezzi vivi.
E questi due, padre e figlio, sono ancora lì che bevono e fanno bagordi.
Gli occhi di tutti i presenti sono posati su di loro: che fortunati che sono,
si sono divisi un’intera bottiglia.
Finito di mangiare, Madhav prese un piatto di foglie con gli avanzi dei
puri e li diede ad un mendicante, che stava lì in piedi e li fissava con occhi
affamati. E per la prima volta in vita sua sentì l’orgoglio, il piacere ed il
brivido di dare.
Ghisu disse “Prendi, mangia tutto e dalle la tua benedizione. La tua
benedizione di certo le arriverà, benedicila con ogni pelo del tuo corpo,
questo è il pagamento di un lavoro molto duro”.
Madhav di nuovo alzò gli occhi al cielo e disse “Andrà sicuramente in
paradiso, diventerà la regina del paradiso”.
Ghsu si alzò e come se stesse nuotando tra le onde della gioia disse “Sì,
figliolo, andrà in paradiso. Non ha mai disturbato o tormentato nessuno,
perfino morendo è riuscita a soddisfare il più grande desiderio della nostra
vita. Se non ci va lei in paradiso, ci andranno forse quei grassi ricchi
signori che rubano alla povera gente con entrambe le mani, che vanno a fare il
bagno nel Gange per lavarsi i peccati e che offrono acqua santa nei templi?”.
Ma quest’umore di pietà durò poco, il continuo cambiamento è una delle
qualità speciali dell’intossicazione ed ora era il turno di dispiacere e
disperazione. Madhav disse “Ma quella povera donna ha sofferto molto durante la
vita, perfino la sua morte è stata così dolorosa”. E coprendosi gli occhi con
le mani iniziò a piangere e singhiozzare.
Ghisu allora si avvicinò per consolarlo “Perché piangi figlio? Sii
contento che è stata liberata da questa rete di illusioni. È fuggita dalla
trappola ed è stata fortunata ad essere riuscita a rompere il legame con le
illusioni del mondo così velocemente”.
E stando abbracciati in piedi iniziarono a cantare.
Tutti gli avventori del negozio di alcolici erano assorbiti dallo
spettacolo di questi due bevitori, che, completamente ubriachi, continuavano a
cantare. Quindi cominciarono a ballare, con piroette e salti, caddero, si
rialzarono, gesticolarono ed infine, stravolti dall’ubriacatura, collassarono.
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