Gesù in India? è il titolo di un saggio del sociologo
Manuel Olivares, pubblicato nel 2015, dove vengono analizzate le più importanti
fonti che ipotizzano una o addirittura due visite di Gesù Cristo nel
subcontinente indiano.
Purtroppo non esistono prove certe, come evidenziato anche
dall’opportuno punto interrogativo nel titolo del libro, ma grazie
all’approfondita ricerca dell’autore è comunque possibile estrarre da questo
testo numerose informazioni per farsi un’idea più precisa sulla questione.
Chiaramente, per chi volesse approfondire l’argomento,
consigliamo di procurarsi il libro (per ulteriori dettagli rimandiamo al link della
pagina Facebook https://www.facebook.com/JesusChristinIndia/?ref=ts&fref=ts),
mentre in questo post ci limiteremo a descrivere le linee generali, secondo la
nostra personale comprensione.
Come poc’anzi accennato, le ipotesi riguardano ben due
visite di Gesù in India, la prima durante i cosiddetti anni perduti, che non
vengono descritti nei vangeli canonici, la seconda dopo essere sopravvissuto
alla crocifissione.
La prima ipotesi, abbastanza plausibile a livello pratico,
considera che Gesù si sia unito a delle carovane di mercanti e si sia diretto
in oriente, lungo un percorso alquanto battuto che sarà poi storicamente
definito la Via della Seta.
La distanza d’altronde non era incolmable e circa diciotto
anni, tra i 13 ed i 30, sarebbero stati più che sufficienti per un uomo giovane
ed in buona salute, per andare dalla Palestina all’India e ritorno.
Seguendo un possibile percorso geografico, Gesù entrò in
India da nord, scese nel subcontinente, dove venne in contatto prima con monaci
jainisti, quindi con l’induismo ed infine, tornando indietro passando dal
Nepal, con il buddismo.
Secondo gli studi del professore indiano Hassnain Maria
Fida, sostenitore di questa teoria, addirittura, prima di tornare in Palestina,
Gesù visitò brevemente anche la Gran Bretagna, per entrare in contatto con
l’allora diffuso druidismo.
L’ipotesi che Cristo abbia quindi trascorso gli anni più
importanti della sua crescita pellegrinando nel subcontinente indiano, ed
altrove, per conoscere le più diverse tradizioni religiose e spirituali, è
sicuramente suggestiva, e volendo appropriata, ma manca di fonti attendibili a
suffragarla.
A quanto pare infatti le uniche prove sarebbero da cercare
in alcuni introvabili manoscritti in lingua pali, custoditi in remoti monasteri
buddisti, o la citazione in un testo induista della già oscura setta dei Nath.
Tenendo presente che il dibattito venne aperto verso la
fine dell’ottocento ed abbia affascinato numerosi ricercatori, è possibile che
non siano ancora stati trovati i numerosi testi della supposta ricca
documentazione in lingua pali?
Senza dimenticare che per ovvi problemi linguistici, i nomi
che Gesù avrebbe assunto in queste tradizioni, sono collegabili foneticamente
ma non necessariamente anche dal punto di vista etimologico (problema che si
potrebbe porre pure con le fonti islamiche di cui vedremo più avanti).
Anche il più moderno filone di matrice induista sembra
essenzialmente riprendere le stesse misteriose fonti, con lo scopo di trovare, un
po’ forzatamente, un’origine indiana agli insegnamenti cristiani.
Il mistico Swami Abhedananda, il politico e storico Jawahralal
Nehru, ed il Premio Nobel per l’economia e scrittore Amartya Sen, che hanno
espresso la propria favorevole opinione in proposito, nonostante l’indubbia
autorità, si rifanno a fonti che non sono confermate, e di certo non lo saranno
solo continuando a citarle come probabili.
Come ultima nota, purtroppo di nuovo contro a questa pur
attraente teoria, com’è possibile che a Gesù stesso non sia mai capitato di
fare alcun cenno o riferimento a ciò che aveva appreso durante i suoi lunghi
anni in oriente?
Se avesse davvero imparato i Veda, i canoni Pali, le
scritture Jaina, possibile che non gli sia mai scappato, neppure per errore, un
nome di qualcuno o qualcosa che avesse chiare origini indiane?
La seconda ipotesi, che vede Gesù sopravvivere alla
crocefissione e dirigersi in India a trascorrere il resto della sua vita, pare ancora
più ardita ma non meno affascinante ed apparentemente suffragata da qualche
prova vagamente attendibile.
Una, ad esempio, è un testo pubblicato a Lipsia nel 1849
intitolato “La crocifissione secondo un testimone oculare”, un documento
antichissimo in cui un esseno contemporaneo di Gesù afferma che il Cristo venne
deposto dalla croce ancora in vita, affidato alle cure di Giuseppe d’Arimatea e
Nicodemo, due esseni, che lo curarono ed aiutarono a riprendersi.
Quindi, salutati i discepoli, insieme a Maria, tornò in
India a trascorrere gli ultimi anni della sua vita, per alcuni una cinquantina
in tutto, per altri addirittura fino all’eta di 120 anni.
Fin dalla sua apparizione, questo testo fece molta
impressione negli ambienti ecclesiastici, ma non ebbe una grande risonanza visto
che non vi era nessun interesse teologico a sostenere questa tesi, che sminuiva
la dimensione sensazionalistico-miracolistica della storia “ufficiale” di Gesù,
visto che in questo modo non risorse ma semplicemente sopravvisse alla
crocefissione.
Un’altra fonte piuttosto autorevole ed attendibile sulle
quali è basata questa teoria è il Corano.
Quello che troviamo particolarmente intrigante nelle
ipotesi che si possono raggiungere attraverso i testi islamici è che questi, al
contrario di quelli indiani, non sembrano avere particolari interessi, se non
prettamente teologici, a sostenere che Gesù sopravvisse la crocifissione e finì
la sua vita in India.
Stando alla Sura 4, versetti 157-158, non è vero che Gesù,
il Messia, venne ucciso, ma venne fatto in modo che così sembrasse, quando in
realtà venne assunto in cielo da Allah con tutto il corpo, creando quindi i
presupposti per la sua seconda venuta, almeno stando all’escatologia islamica.
Oltre a queste fonti scritte, affascinante è anche la
tradizione secondo la quale, nella città indiana di Shrinagar, nello stato del
Jammu e Kashmir, tra i vicoli della città vecchia esiste un’antica tomba
dedicata ad un santo mussulmano chiamato Yuzasaf, nome persiano di Gesù.
In passato era stato ipotizzato un tentativo di studiare
scientificamente la tomba per poter trovare qualche prova concreta, almeno dell’antichità,
ma purtroppo, a causa della situazione politica estremamente volatile della
città, non sono mai stati portati a termine.
Bisogna anche notare che da parte delle autorità mussulmane
non c’è nessun particolare interesse ad approfondire la questione, visto che teologicamente,
secondo il Corano, Gesù venne assunto in cielo da Allah, né tantomeno a fare di
quel piccolo santuario di Shrinagar, chiamato Roza Bal, un centro di
pellegrinaggio cristiano.
Un’ultima interessante questione sulla possibilità che Gesù
sia sopravvissuto alla crocifissione proviene da alcune teorie che riguardano
la sindone, la cui attendibilità è però influenzata dall’ancora dubbia
autenticità del sudario conservato a Torino.
In ogni caso, a prescindere dalla più o meno plausibile
attendibilità delle fonti, come accennato in apertura di articolo, lo studio
della questione di Gesù in India, oltre all’indiscussa ed accattivante esoticità,
permette di fare la conoscenza con tradizioni poco conosciute ma molto antiche,
bagaglio culturale di aree del mondo dove la storia dell’uomo ha vissuto alcune
delle vicende più importanti.
Il testo Gesù in India? risulta quindi anche un ottimo
mezzo per risalire alle fonti di queste tradizioni, citate lungo tutto il testo
e raccolte nell’utilissima bibliografia, che contiene riferimenti a pressoché
tutto il materiale reperibile sull’argomento.
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