Un’altra ora era passata e l’intensità del freddo vento
sembrava aumentare. Halku si sedette, tirando su le ginocchia per nascondervi
il viso. Sembrava che il sangue gli si fosse gelato ed ora l’acqua scorreva
nelle vene. Sollevò la testa per guardare il cielo: quando finirà questa notte?
L’orsa maggiore non era ancora apparsa in cielo, solo quando sarà visibile
finalmente arriverà l’alba.
Poco lontano dal campo di Halku c’era un frutteto di alberi
di mango che stavano perdendo le foglie. Halku notò una pila di foglie e pensò
di bruciarle per scaldarsi un poco. Se qualcuno dovesse vedermi raccogliere
foglie di notte, mi prenderebbe per un fantasma e magari tra gi alberi c’è
qualche animale pericoloso, ma non ce la faccio più a star qui seduto a
tremare.
Strappò alcuni arbusti secchi, fece una specie di scopino e
prendendo dalla buca per il fuoco un pezzo di sterco di mucca ancora fumante,
si diresse verso il frutteto. Jabra lo vide, si avvicinò ed iniziò a
scondinzolare.
Halku gli disse “Non ce la faccio più Jabra, andiamo a
bruciare qualche foglia e a scaldarci. Quando staremo meglio, torneremo qui e
proveremo a dormire un poco, è lunga la notte”. Jabra diede il suo assenso con
un gemito e lo seguì. Il frutteto era immerso nell’oscurità, il vento soffiava
tra le foglie e la rugiada che si era formata sugli alberi stava gocciolando a
terra.
All’improvviso una folata di vento portò la fragranza dei
fiori di henné ed Halku disse “Che buon profumo Jabra! Anche tu l’avrai
sentito!”. Jabra invece aveva trovato un osso e lo stava rosicchiando.
Halku mise il tizzone di sterco sul terreno, iniziò a
raccogliere le foglie ed in poco tempo ne aveva fatto un bella pila. Le sue
mani era gelate, così come i suoi piedi scalzi e sperava proprio che bruciando
quel mucchio di foglie si sarebbe un po’ scaldato.
In poco tempo il falò si accese ed il suo inconsitente
chiarore sembrava far salire l’oscurità sulle chiome degli alberi e quella luce
pareva una barca nell’oceano dell’oscurità.
Halku era seduto di fronte al fuoco a scaldarsi e dopo un
po’ potè togliersi di dosso il lenzuolo ed allungò le gambe, come a sfidare il
freddo “Fa quello che vuoi!”. Non poteva nascondere la felicità per essere
riuscito a sconfiggere il freddo.
Si girò verso il cane “Non hai più freddo Jabra?”.
Jabra rispose con un gemito, quasi anche lui si stesse
chiedendo se avesse ancora freddo.
“Chissà perché non ho avuto prima questa idea?”. Jabra in
risposta scodinzolò.
“Dai, saltiamo su questo fuoco e vediamo chi riesce a non
bruciarsi. Ma se ti bruci non ti darò nessuna medicina, eh!”. Jabra guardò il
fuoco spaventato .
“E non dirlo a Munni, altrimenti mi sgrida!”.
Detto questo saltò sopra al fuoco, bruciandosi i piedi, ma
che importava? Jabra intanto gli correva intorno.
“Dai vieni!”, e così dicendo saltò di nuovo sul fuoco.
Le foglie però bruciarono in fretta ed il frutteto ricadde
nell’oscurità. C’era del fuoco che bruciava lentamente sotto alla cenere, che
si riaccendeva quando soffiava il vento e subito si rispegneva.
Halku si avvolse nel lenzuolo, si sedette vicino alla
cenere ed iniziò a cantare. Finalmente si era un po’ scaldato e sebbene il
freddo fosse aumentato, la sonnolenza stava avendo la meglio.
Jabra abbaiò e corse verso l’oscurità. Halku realizzò che
un branco di animali era entrato nei campi, forse i nilgai (antilope azzura
indiana). Li poteva sentire correre e gli sembrò di sentirli brucare il
raccolto e masticare.
Disse a se stesso “Non è possibile che qualche animale sia
entrato nei campi con Jabra che abbaia, li sbranerebbe. Me lo sto immaginando...
Ecco, ora non si sente niente, mi devo essere sbagliato”.
Chiamò Jabra a gran voce, ma lui continuava ad abbaiare e
non si avvicinò.
Quindi sentì di nuovo il rumore degli animali che brucavano
e questa volta non potè far finta di niente. Ma si sentiva male all’idea di
alzarsi, proprio ora che aveva trovato una posizione calda e comoda. Correre
dietro a quegli animali con quel freddo gli sembrava una pazzia, così non si
alzò, ma si limitò ad urlare “Andate via, andate via!”.
Jabra continuava ad abbaiare e gli animali a mangiare il
raccolto: un così buon raccolto ed ora queste bestie lo stanno distruggendo.
Determinato, Halku si alzò, ma non aveva fatto che due o
tre passi che una folata di vento freddo lo colpì come il morso di uno
scorpione e ritornò nel suo giaciglio, frugando tra la cenere per scaldarsi un
poco.
Jabra intanto continuava ad abbaiare fino a diventare
rauco, le antilopi stavano ripulendo il campo e Halku stava seduto calmo vicino
alle calde ceneri. L’indolenza l’aveva avvolto come una corda.
Disteso presso la cenere, si avvolse nel lenzuolo e
finalmente si addormentò.
Quando si svegliò alla mattina, il sole stava brillando in
cielo e Munni gli stava dicendo “Continuerai a dormire ancora molto? Tu te ne
stai qui beato ed il campo è stato distrutto!”.
Halku si alzò e chiese “Vieni dal campo?”.
Munni fece cenno di sì “Tutto il campo è rovinato e tu
dormi così? Che bisogno c’era di spendere la notte qua fuori?”.
Haklu cercò una scusa “Sono quasi morto e tu sei
preoccupata per il campo? Ho avuto un tal mal di stomaco”.
I due camminarono sul margine del campo, constatando la
completa distruzione.
Jabra invece dormiva sotto alla brandina, tanto stanco che
sembrava morto.
Mentre i due guardavano il campo, la tristezza avvolse
Munni, ma Halku sembrava quasi contento.
Munni gli disse con tono preoccupato “Ora dovrai lavorare
alla giornata e pagare i debiti”.
Halku rispose allegro “Almeno non dovrò dormire qui durante
le fredde notti d’inverno!”.
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