Il termine hindi in caratteri devanagari |
L’alfabeto devenagari è un antico metodo di scrittura tipico del
subcontinente indiano, dove ancora oggi è utilizzato per numerose lingue, tra
cui le più importanti sono: hindi, sanscrito, marathi, bhojpuri, awadhi,
nepalese e newari.
Data la distanza geografica, culturale e linguistica, il sistema
devanagari è basato su principi alquanto diversi da quelli degli alfabeti
latini comuni alla maggior parte delle lingue europee; questo post chiaramente
non ha nessuno scopo didattico-linguistico, bensì quello di descriverne le caratteristiche
per evidenziare alcune piccole curiosità.
Innanzitutto il devanagari non è un alfabeto in senso stretto, ma un
abugida, o alfasillabario, dove ogni segno non rappresenta una lettera ma una
sillaba.
Questo è dovuto alla presenza della vocale inerente (nelle lingue
indiane una A breve, mentre in nepalese e newari una via di mezzo tra la A e la
O), che accompagna obbligatoriamente ogni consonante: ad esempio, la lettera B
si pronuncia ba.
Le lettere del devanagari sono 44, di cui 11 vocali e 33 consonanti.
L’elevato numero di vocali è dovuto al fatto che ognuna è doppia,
essendo distinte, sia nella pronuncia che nella scrittura, la A, la I e la U in
brevi e lunghe, mentre la E e la O in chiuse e aperte.
L’undicesima vocale, che in realtà è la settima trovandosi tra la U e la
E, è una lettera presente in alcune parole sanscrite e rappresenta il suono RI.
Anche graficamente le vocali hanno due forme, quella estesa, che viene
usata quando la lettera si trova ad inizio di parola o è preceduta da un’altra
vocale, e quella cosiddetta diacritica, una forma semplificata che può essere
scritta: dopo la consonante, come nel caso di A lunga, I lunga e la O, sia
chiusa che aperta; sotto alla consonante, come la U, rappresentata da un segno
simile ad 6, con la faccia in alto la U breve, in basso la U lunga, e la RI, costituita
da un segno simile ad una piccola C; sopra alla consonante, come nel caso della
E, composta da una virgola quella chiusa e due virgole quella aperta; mentre la
I breve viene scritta prima della consonante che segue nella pronuncia.
L’unica vocale che non possiede la forma diacritica è la A breve, in
quanto si tratta della vocale inerente, che come abbiamo visto segue
obbligatoriamente ogni consonante, quindi non ha bisogno di un segno di
riconoscimento.
Le 33 consonanti dell’abugida devanagari sono divise in 6 gruppi
principali, cui si aggiunge l’aspirazione H, ultima lettera rappresentata.
Anche in questo caso l’elevato numero è dato dal fatto che i primi cinque
gruppi sono formati da coppie di consonanti che possiedono una seconda forma munita
di aspirazione; oltre a questo, i cinque gruppi possiedono una forma
nasalizzata.
L’ordine segue la posizione della bocca nella quale le lettere vengono
pronunciate, partendo dalla gola fino ad arrivare alle labbra.
Si tratta quindi delle gutturali, C e G dure, delle palatali, C e G
morbide, le retroflesse, D e T pronunciate retroflettendo la punta della lingua
sul palato e portandola in avanti, le dentali, la D e la T con la punta della
lingua dietro agli incisivi superiori, e le labiali, la P e la B.
Le nasalizzazioni sono delle specie di N, anche queste prodotte seguendo
le differenti posizioni della pronuncia; la N comune anche all’italiano è una
nasalizzazione dentale, mentre la M è la nasalizzazione labiale.
Il successivo gruppo di lettere è composto da 4 approssimanti o semi-vocali,
anche queste in ordine di pronuncia esclusa l’assente forma gutturale: YA,
palatale, R, retroflessa, L, dentale e V, labiale.
Quindi seguono le 3 sibilanti, con la SH palatale, la SH retroflessa e
la S dentale, anche se la differenza tra le prime due è talmente sottile che la
pronuncia è pressoché identica.
Come anticipato, l’ultima lettera dell’alfasillabario devanagari è l’aspirata
H.
Graficamente i comportamenti più peculiari sono quelli delle
nasalizzazioni e della R.
Le nasalizzazioni, gutturale, palatale, retroflessa, dentale e labiale,
sono spesso sostituite dal chandrabindu, un segno che viene posto sopra alle lettere,
con la forma di una luna, chandra, sormontata da un punto, bindu.
Nel caso sopra alla lettera fosse già presente un segno diacritico, la
luna viene rimossa e rimane solo il punto.
La lettera R possiede tre forme, quella estesa e due diacritiche, che vengono
usate quando la R è congiunta ad un’altra consonante senza la vocale inerente
in mezzo: una nel caso la R sia la prima lettera della congiunzione, tipo RN,
RC, RD, oppure la seconda, BR, CR, DR, eccetera.
Nel primo caso la R viene rappresentata da un uncino, posto sopra alla
consonante che precede, ma se la congiunzione è seguita da una vocale, la R si
sposta ulteriormente a destra sopra a quest’ultima; questa forma viene chiamata
reph, ma spesso sia usa l’espressione di R volante, dall’inglese flying R,
proprio per questa abitudine di spostarsi sopra alle altre lettere.
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