martedì 18 ottobre 2016

Breve cenno a Sri Ramakrishna e Swami Vivekananda

Image of Ramakrishna, sitting.
Sri Ramakrishna
Sri Ramakrishna (1836-1886) e Swami Vivekananda (1863-1902) sono stati due importanti mistici indiani originari dello stato del Bengala.
Vengono sovente citati insieme poiché Ramakrishna fu il guru (maestro) e Vivekananda il suo discepolo ideale, oppure, usando una terminologia più occidentale e moderna, si potrebbe dire che furono il primo la mente, il secondo il braccio.

Ramakrishna (al secolo Gadadhar Chattopadhyay) nacque in un piccolo villaggio nella vasta campagna bengalese, in una famiglia di poveri bramini.
Fin dai primi anni di vita mostrò alcuni comportamenti piuttosto inusuali, che vennero sommariamente considerati frutto di una leggera deficienza mentale o di una forma di epilessia.
Per questo motivo ricevette un’educazione piuttosto limitata ed a circa 19 anni trovò occupazione come aiutante sacerdote presso il tempio di Dakshineswar, situato nell’omonimo villaggio, al tempo alle porte di Kolkata ed oggigiorno inglobato nella grande area metropolitana.
Grazie ad un’atmosfera ed un contesto molto appropriati – il complesso del tempio di Dakshineswar si trova infatti ancora oggi immerso in un grande, tranquillo e verdeggiante parco sulla sponda del fiume Hoogly – Ramakrishna poté quindi dedicarsi completamente alla ricerca spirituale.
I suoi apparentemente fanciulleschi atteggiamenti maturarono infatti in profondi stati di estasi spirituale, chiamati dal sanscrito samadhi, durante i quali la sua coscienza personale mergeva nella Coscienza Universale.
Grazie a questo egli era quindi in grado di spiegare in maniera particolarmente semplice e convincente, difficili precetti spirituali ad un gruppo sempre crescente di devoti ascoltatori.

Swami Vivekananda 1893 Scanned Image.jpg
Swami Vivekananda
Tra questi il più brillante era il giovane Narendranath Datta, rampollo di una ricca e rispettata famiglia bengalese, che diventerà noto come Swami Vivekananda.
Il primo incontro tra i due avvenne nel 1981, ma l’istruito Narendranath Datta sembrava poco propenso ad accettare alcuni degli insegnamenti di Ramakrishna, fino all’improvvisa morte di suo padre nel 1884.
Trovandosi in una grave situazione finanziaria, Narendranath Datta iniziò a frequentare con sempre maggior frequenza Ramakrishna, tanto che alla morte di quest’ultimo nel 1886 era ormai il suo discepolo principale.
Dopo aver raccolto l’eredità spirituale del suo maestro, e presi i voti della vita monastica, cambiando il nome in Vivekananda, viaggiò per l’India dal 1888 fino al 1893, per incontrare religiosi d’ogni sorta ed iniziando a guadagnare una certa notorietà, anche presso ufficiali del governo, per la sua cultura, intelligenza e conoscenza spirituale.
Nel 1893, partì per la prima volta verso l’occidente per prendere parte al Parlamento delle Religioni di Chicago, durante il quale fece un apprezzatissimo intervento che impressionò talmente il pubblico che Vivekananda rimase in America, con l’eccezione di un paio di viaggi in Inghilterra, fino alla fine del 1896.
Rientrato in India, il 1 Maggio 1897, fondò la Ramakrishna Mission, per servizi sociali, agli ordini dei capi del Ramakrishna Math, l’ordine monastico fondato insieme ad altri discepoli alla morte di Ramakrishna .
Nonostante condizioni di salute precarie, dovute principalmente all’asma e al diabete, nel 1899 Vivekananda intraprenderà un secondo viaggio in occidente, con soste in Inghilterra, Stati Uniti e Francia, per tornare a Calcutta nel Dicembre del 1900.
E dopo soli due anni, il 4 Luglio 1902, morì, confermando una sua vecchia profezia che non sarebbe vissuto più di 40 anni.

Spiritualmente Vivekananda seguiva principalmente l’Advaita Vedanta, come promulgato dal filosofo indiano Adi Shankaracharya, ma senza la rigidità del suo illustre predecessore.
Secondo le sue stesse parole “Ogni anima è potenzialmente divina. Lo scopo è manifestare questa divinità controllando la natura interiore ed esteriore. Questo può essere fatto attraverso il lavoro, la devozione, la disciplina mentale e la filosofia, per diventare liberi. Questa è la summa delle religioni. Dottrine, dogmi, rituali, libri, templi e forme non sono altro che dettagli secondari”.
Ciò che infatti ha sempre distinto l’ordine monastico del Ramakrishna Math, da quelli tradizionali indù, è una forte inclinazione a migliorare le condizioni della società attraverso la spiritualità, ma anche con riforme, il lavoro ed una spiccata attenzione alle persone indigenti e bisognose.
Il motto dell’organizzazione è infatti “Per liberare l’anima e servire la società”.
Per questi motivi, in contrasto con le più diffuse tradizioni del tempo, il movimento ispirato a Ramakrishna ha sempre accettato chiunque a prescindere da casta, razza e perfino religione.
Nelle parole di Vivekananda “abbiamo bisogno di monaci che siano in grado di andare nella più profonda meditazione, ma anche di andare al mercato a vendere gli ortaggi che loro stessi hanno coltivato”.
Questo anche per permettere ai gruppi monastici di provvedere, almeno in parte, ai propri bisogni senza dipendere esclusivamente da offerte e sponsorizzazioni.

Con notevole lungimiranza infatti, Vivekananda fin da subito proibì ogni accostamento politico, proprio per poter mantenere la propria indipendenza, fattore che ancora oggi rende il movimento Ramakrishna, seppur chiaramente ispirato all’induismo, apprezzato anche da mussulmani e cristiani, abbastanza numerosi nella città di Kolkata sede storica del movimento.

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