martedì 14 febbraio 2017

Il racconto "Profitto e Perdita", II parte

Passarono molti mesi. Nirupama continuava a mandare messaggi, ma suo padre non compariva. Alla fine si offese e smise di mandarne. Questo addolorava acutamente Ramsundar, ma resistette e non andò da lei.
Quando venne il mese di Asvin (periodo tra Settembre ed Ottobre in cui cadono molte festività indù) disse a se stesso, facendo un voto “Quest’anno devo riportare a casa Nirupama per Durga-puja” (una festa di nove giorni, molto sentita in Bengala dove è ambientato il racconto).
Al quinto o sesto giorno della puja, Ramsundar legò di nuovo alcune banconote al suo scialle e si preparò per andare, quando, all’improvviso, un nipotino di cinque anni si avvicinò a lui e gli disse “Nonno, mi compri un carretto?”.
Da settimane aveva adocchiato quel carretto ma non c’era modo di far avverare questo suo desiderio.
Quindi arrivò una nipotina di sei anni, che piangendo si lamentò che non aveva un bel vestito da indossare per la puja. Ramsundar lo sapeva bene e ci aveva rimuginato a lungo, ma non poteva farci niente.
Aveva sospirato penosamente all’idea che le donne della sua famiglia avrebbero partecipato alle celebrazioni della puja in casa di Raybahadur come delle poverette che ricevevano la carità, vestendo quei pochi miserabili ornamenti che avevano, ma questi pensieri non facevano altro che rendere le rughe sulla sua fronte ancora più profonde.

Con il lamento della sua povera famiglia nelle orecchie, Ramsundar arrivò a casa di Raybahadur. Oggi non c’era nessuna esitazione nei suoi modi, nessuna traccia dello sguardo nervoso con cui prima si avvicinava al guardiano e ai domestici; sembrava che stesse entrando in casa sua.
Gli venne detto che Raybahadur era fuori ed avrebbe dovuto aspettare per un po’, ma non potè trattenere il desiderio di incontrare sua figlia e quando finalmente la vide pianse per la gioia. Padre e figlia piansero insieme e per un po’ nessuno dei due riuscì a parlare.
Quindi Ramsundar disse “Questa volta ti porto via, mia cara. Niente mi può fermare ora”.
All’improvviso però, il più grande dei suoi figli, Haramohan, entrò nella stanza con due suoi bambini “Padre, hai davvero deciso di mandarci in mezzo ad una strada?”.
Ramsundar si infiammò “Devo condannarmi all’inferno per il tuo bene? Non puoi lasciarmi fare ciò che è giusto?”.
Aveva venduto la casa e nonostante avesse provato in tutti i modi a nasconderlo ai figli, questi l’avevano scoperto lo stesso. Il nipotino si strinse alle sue gambe, guardò in su e gli chiese “Nonno, mi hai comprato quel carretto?”, e quando non ricevette nessuna risposta dall’ormai mortificato Ramsundar, il bambino si girò verso Nirupama “Zia, me lo compri tu il carretto?”.

Nirupama non ci mise molto a capire la situazione “Padre, se tu dai anche solo che una rupia ai miei suoceri, giuro solennemente che non mi rivedrai mai più”.
“Cosa dici, figlia mia?”, rispose Ramsundar, “Se non gli darò i soldi, la vergogna rimarrà per sempre su di me e diventerà anche la tua”.
“La vergogna sarà maggiore se tu pagherai”, disse Nirupama, “Pensi che non abbia onore? Pensi che sia solo una borsa per i soldi: più ce ne sono, maggiore è il mio valore? No, padre, non mi infamare pagando questi soldi. Mio marito non li vuole comunque”.
“Ma così loro non ti lasceranno venire a trovarmi”, disse Ramsundar.
“Non ci possiamo fare niente. Per favore, non provare più a venire a prendermi”.
Ramsundar, tremando, si rimise sulle spalle lo scialle con i soldi e lasciò la casa, di nuovo come un ladro, cercando di evitare lo sguardo di tutti.

Non rimase però un segreto che Ramsundar era venuto con i soldi e sua figlia gli aveva vietato di consegnarli. Un domestico che aveva origliato passò l’informazione alla suocera di Nirupama, la cui cattiveria nei suoi confronti ora superò ogni limite e per lei quella casa divenne come un letto di chiodi.
Suo marito, dopo il matrimonio, era andato fuori per alcuni giorni per lavorare come magistrato aggiunto in un’altra parte del paese e sostenendo che Nirupama sarebbe stata danneggiata dal contatto con i suoi familiari, i suoi suoceri ora le proibivano completamente di vederli.

Un giorno Nirupama si ammalò, ma non era del tutto colpa della suocera; lei stessa aveva trascurato paurosamente la sua salute. Una fredda notte di autunno si era addormentata con la testa verso la porta aperta, non indossava mai qualche vestito in più d’inverno e mangiava in maniera irregolare. I domestici qualche volta si dimenticavano di portarle il cibo, ma lei non diceva nulla e non glielo ricordava. Stava fermamente pensando che lei stessa era una domestica della famiglia, dipendente dai favori del suo padrone e della sua padrona.
Ma sua suocera non poteva sopportare neppure questo atteggiamento. Se Nirupama non si interessava al cibo diceva “Che principessa! Non le piace il vitto di una povera famiglia!’.
Oppure “Guardatela, che bellezza! Sembra sempre più un pezzo di legno bruciato”.
Quando la sua malattia peggiorò, la suocera disse “È tutta scena”.
Finché un giorno Nirupama disse umilmente “Madre, lasciatemi vedere mio padre e i miei fratelli, solo per una volta”.
Ma la suocera le rispose “Nient’altro che un trucco per andare a casa dei genitori”.
Sembra incredibile, ma la sera in cui il respiro di Nirupama iniziò a mancare, fu la prima volta in cui venne chiamato il dottore, e fu anche la sua ultima visita.

La nuora più anziana della famiglia era morta ed i riti funebri furono celebrati in pompa magna. La famiglia di Raybahadur era conosciuta nel distretto per lo sfarzo con cui svolgevano l’immersione della statua della divinità alla fine di Durga-puja, ma divenne ancora più famosa per il modo in cui Nirupama fu cremata: una così grande pira di legno di sandalo non si era mai vista. Solo loro potevano organizzare un rituale così elaborato e si diceva addirittura che per questo loro stessi si erano dovuti indebitare.
Tutti diedero a Ramsundar dettagliate descrizioni della grandiosità della morte di sua figlia, quando si recarono da lui per le condoglianze.
Nel frattempo arrivò una lettera dal magistrato aggiunto “Ho preparato tutto qui, appena potete, fate venire mia moglie”.
La signora Raybahadur rispose “Caro figlio, ci siamo assicurati un’altra ragazza per te, per favore, prendi una licenza e vieni a casa”.

Questa volta la dote venne fissata a 20.000 rupie; pagamento anticipato.

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