venerdì 24 febbraio 2017

Il racconto "La divisione"

Il racconto di Tagore “La divisione” riguarda una sfortunata amicizia tra due vicini di casa, Banamali ed Himangshu.
Segue libera traduzione.

Una ricerca genetica avrebbe rivelato che Banamali ed Himangshumali erano in realtà remoti cugini: la relazione era lontana ma rintracciabile. Le loro famiglie erano vicine di casa da molto tempo, quindi per quanto remota fosse la relazione di sangue, si conoscevano comunque molto bene.
Banamali era più grande di Himangshu e prima che a questi spuntassero i denti e potesse parlare, Banamali lo portava in giro in giardino a godersi l’aria fresca del mattino e della sera. Giocava con lui, gli asciugava le lacrime e lo cullava per farlo addormentare. In effetti faceva tutto quello che un adulto dovrebbe fare per intrattenere un bambino, compreso assecondarlo ed esprimendo entusiasmo per ogni suo gioco. Non era molto istruito, gli piaceva il giardinaggio e stare con il suo cuginetto. Lo accudiva come se fosse una rara e preziosa pianta rampicante, che annaffiava con il suo amore. E mentre la pianta cresceva e riempiva la sua vita dentro e fuori, Banamali si considerava davvero benedetto.
Non ce ne sono molte, ma alcune persone si sacrificano completamente per un bambino o un amico; il loro amore può sembrare nulla in confronto alla vastità del mondo, ma per loro è un affare nel quale immergono completamente tutto ciò che per loro è vitale. Si accontentano di vivere con poco, oppure vendono le loro proprietà ed iniziano a mendicare per strada.

Crescendo, Himangshu divenne un grande amico di Banamali, nonostante la differenza d’età e la lontana relazione familiare. L’età non sembrava avesse alcun significato, ma c’era un motivo per questo. Himangshu aveva imparato a leggere e scrivere, ed aveva per natura una grande sete di conoscienza. Si sedeva e leggeva qualunque libro gli capitasse; sicuramente lesse molte cose inutili, ma la sua mente crebbe in ogni direzione grazie a tutte quelle letture. Banamali lo ascoltava con grande ammirazione, seguiva i suoi consigli, discuteva con lui ogni problema, piccolo o grande, senza ignorarlo su alcun argomento solo perché era un ragazzo. Niente è più piacevole a questo mondo di vedere una persona che uno ha fatto crescere con il migliore amore, la cui conoscenza, intelligenza e bontà ispirano rispetto.
Anche ad Himangshu piaceva il giardinaggio, ma in questo c’era una grande differenza tra i due amici: Banamali lo amava con il suo cuore, Himangshu con la sua intelligenza. Per Banamali far crescere le piante era un’occupazione istintiva, per lui erano come bambini, ancora più teneri ed indifesi, tanto che non chiedevano neppure di essere accuditi ma crescevano naturalmente come figli ai quali viene data un’amorevole attenzione (il termine banamali stesso in bengalese significa “giardiniere dei boschi” o “colui che indossa una ghirlanda di fiori selvatici”, ed è un epiteto del dio Krishna). Per Himangshu le piante erano oggetto di curiosità. Piantare i semi, lo spuntare dei germogli, i boccioli, tutto attirava la sua attenzione. Aveva anche un sacco di idee e consigli su come seminare, trapiantare, concimare ed innaffiare, e Banamali li seguiva con piacere. Qualunque cosa la natura o la coltivazione potessero fare con le piante, venne realizzato da questi due amici nel loro modesto orticello.
C’era un piccolo patio appena oltre l’entrata del giardino, alle quattro del pomeriggio Banamali arrivava vestito leggero, si sedeva ed iniziava a fumare la sua hookah. Non aveva giornali o libri da leggere, ma stava lì seduto a fumare, con una distratta aria meditativa, si guardava in giro con gli occhi socchiusi, lasciando che il tempo galleggiasse come le spire del fumo della pipa che vagano, si rompono e spariscono, senza lasciare nessuna traccia.
Alla fine Himangshu tornava da scuola e dopo aver mangiato qualcosa ed essersi lavato, andava in giardino. Banamali quando lo vedeva lasciava subito la pipa e si alzava, mostrando chiaramente che cosa stesse aspettando tutto quel tempo. Quindi i due inziavano a girare per il giardino chiacchierando e quando veniva buio si sedevano su una panchina, mentre la brezza da sud smuoveva le foglie sugli alberi. Quando non c’era vento, invece, le foglie rimanevano ferme come fotografie ed il cielo era pieno di scintillanti stelle.
Himangshu parlava e Banamali lo ascoltava attentamente. Si divertiva anche quando non capiva; cose che dette da chiunque altro lo avrebbero irritato, dette da Himangshu sembravano divertenti. La capacità espressiva, di ricordare ed immaginare di Himangshu guadagnò enormemente dall’avere un ascoltatore adulto così interessato. Qualche volta parlava di cose che aveva letto, talvolta di cose che aveva pensato ed altre volte di qualunque cosa gli venisse in mente, supplendo con l’immaginazione a ciò che non sapeva. Molto di quello che diceva era giusto e molto non lo era, ma Banamali ascoltava tutto solennemente. Raramente infilava qualche parola di suo, ma accettava ogni obiezione che Himangshu gli facesse; e il giorno dopo, sedendo di nuovo all’ombra a fumare, si sarebbe interrogato su ciò che aveva sentito e se ne meravigliava.

Nel frattempo scoppiò una disputa. Tra il giardino di Banamali e la casa di Himangshu c’era un canale di scolo, lungo il quale era cresciuto un albero di lime. Quando crebbero i frutti i domestici della famiglia di Banamali cercarono di raccoglierli ma i domestici della famiglia di Himangshu li bloccarono ed iniziarono a litigare così aspramente che se gli insulti che si lanciavano fossero stati fatti di un materiale concreto, avrebbero intasato il canale. Da questo nacque una discussione anche tra il padre di Banamali, Harachandra, e quello di Himangshu, Gokulchandra, ed andarono in tribunale per stabilire chi fosse il proprietario del canale e quindi dell’albero. Una lunga battaglia di parole venne combattuta da ottimi avvocati ed i soldi che furono spesi da entrambe le parti superarono perfino gli allagamenti del canale durante la stagione delle piogge.
Alla fine vinse Harachandra, il padre di Banamali; venne provato che il canale era suo e nessun altro poteva reclamare i frutti dell’albero che vi era cresciuto. Ci fu anche un ricorso, ma il canale e l’abero di lime rimasero ad Harachandra.
Mentre il procedimento giudiziario era in corso, l’amicizia tra Banamali ed Himangshu non fu affetta minimamente. Invero, Banamali era così preoccupato che questa vicenda potesse turbare il loro rapporto, da cercare di far avvicinare ancora di più Himangshu, che non mostrava di aver perso per nulla affetto verso di lui.

Il giorno che Harachandra vinse la causa, in casa sua erano tutti felici, soprattutto le donne, ma Banamali rimase sveglio tutta la notte. Il pomeriggio successivo, quando prese posto nel patio del giardino, la sua espressione era triste ed ansiosa, come se lui solo avesse subito una cocente sconfitta che non significava nulla per gli altri.
L’ora in cui Himangshu solitamente arrivava era passata ed alle sei di lui non c’era ancora traccia. Banamali sospirò pesantemente e volse lo sguardo verso la casa di Himangshu. Attraverso una finestra aperta poteva vedere i vestiti da scuola del suo amico stesi a prendere aria e c’erano altri segni che Himangshu fosse in effetti in casa. Banamali posò la sua pipa ed iniziò ad aspettare scrutando verso le finestre, ma Himangshu non lo raggiunse in giardino.
Quando attorno si iniziarono ad accendere le luci, Banamali lentamente si diresse verso la casa di Himangshu. Suo padre, Gokulchandra, si stava godendo un po’ d’aria attraverso la porta aperta e sentendo dei passi avvicinarsi chiese ‘Chi c’è?”.
Banamali si bloccò, gli sembrò di essere un ladro che era stato scoperto “Sono io, zio”, disse nervosamente.
“Cosa vuoi? Non c’è nessuno in casa”, gli disse Gokulchandra.
Banamali tornò in giardino e si sedette ammutolito. Quando venne buio osservò le persiane della casa di Himangshu chiudersi ad una ad una; tra gli infissi filtrava qualche raggio di luce proveniente dalla casa, finché anche quelli non si spensero. Nel buio della notte Banamali sentì che le porte della casa del suo amico erano completamente chiuse per lui e tutto quello che poteva fare era starsene da solo lì fuori, al buio.
Il giorno dopo andò di nuovo a sedersi in giardino, sperando che Himangshu sarebbe arrivato; il suo amico era venuto tutti i giorni per così tanto tempo che non aveva mai immaginato che un giorno non sarebbe più venuto. Non aveva mai pensato che il loro legame si sarebbe potuto spezzare. L’aveva dato per scontato e non si era accorto quanto ormai fosse parte della sua vita. Ora aveva capito che il legame si era spezzato, ma era difficile sopportare un disastro così improvviso.
Per tutta la settimana andò a sedersi in giardino alla solita ora, nel caso Himangshu fosse arrivato, ma, ahimé, gli appuntamenti che prima capitavano di comune accordo ora non ricapitarono più per caso. Alla domenica Banamali si chiese se Himangshu sarebbe andato a trovarlo di mattina per pranzare con lui, come aveva fatto fino ad allora. In realtà non ci credeva veramente, ma non poteva fare a meno di sperarci. Mezzogiorno arrrivò, ma non Himangshu. “Verrà dopo pranzo”, si disse Banamali, ma non si presentò neppur dopo pranzo. Così pensò, “Magari sta facendo una siesta, verrà quando si sveglierà”. Ma a qualunque ora si sia svegliato, Himangshu non venne.
Si fece sera, quindi notte, le porte e le finestre di casa di Himangshu si chiusero e le luci si spensero una ad una.

Quando il fato aveva portato via da Banamali tutti i giorni dal lunedì alla domenica, senza lasciarne uno sul quale sperare, volse i suoi occhi in lacrime verso le imposte chiuse della casa di Himangshu, e raccogliendo tutto il suo doloro urlò “Buon Dio!”, raccogliendo in quelle parole tutto il suo dolore.

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