domenica 12 giugno 2016

Brevi storie sul karma

La cosiddetta Legge del Karma indù segue un principio molto semplice, appartenente anche al mondo della fisica, dove viene definito nella Terza Legge della Dinamica di Newton, che semplificando dice: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Tale principio, inserito nel contesto del ciclo della rinascita induista, serve a capire i motivi dell’esistenza in quanto ciò che accade nel presente non è altro che la reazione di quanto avvenuto nel passato.
Nel libro di Robert Svoboda, intitolato appunto “La Legge del Karma”, che chiude la trilogia sul percorso spirituale dell’Aghora, le intricate relazioni karmiche vengono magnificamente spiegate attraverso vicende che si svolgono all’ippodromo, dove i numerosi e spesso ambigui personaggi sembrano muoversi come burattini in mano al karma.
Molto interessanti sono i punti riguardanti la complessità del karma dietro a situazioni comuni come ad esempio lavorare e guadagnarsi da vivere.
In particolare abbiamo trovato un interessante passaggio, illuminato come sempre da semplici e piacevoli storie, riguardo il karma relativo all’uccisione di animali e l’impiego stesso del macellaio.

Secondo la Legge del Karma, il macellaio ha il diritto di uccidere gli animali perché egli stesso è stato ucciso in molte vite passate.
Egli può uccidere tanti esseri quanti sono stati quelli che hanno ucciso lui in passato; solo quel numero, non di più.
Quando finirà gli animali da uccidere, automaticamente si ritirerà, o cambierà mestiere, o gli verrà l’artrite alla mano e non potrà più maneggiare il coltello, o qualcosa del genere: la Natura conosce bene il suo mestiere e ha infinite risorse per compierlo.
Quando si ha l’opportunità di uccidere deliberatamente un animale, non è altro che l’occasione per ripagare una situazione del passato quando è stato l’animale ad uccidere: questo è l’unico motivo per cui si ha l’opportunità presente (reazione uguale e contraria).
Se si decide di andare avanti e pareggiare il conto, la nuova azione garantirà all’animale l’opportunità di ripagare in futuro e uccidere di nuovo.
Perfino il macellaio, se volesse, potrebbe rinunciare al suo diritto di uccidere.
Se ci riesce, il suo ciclo karmico personale legato all’uccidere e l’essere ucciso terminerà, seppur in genere il peso dei karma accumulati è così pesante che solo pochi macellai considereranno mai l’idea.

C’era una volta un pover’uomo che guadagnava da vivere per lui e la sua famiglia uccidendo e macellando una capra al giorno.
Una notte si presentò alla sua porta un ospite inatteso, dopo che la famiglia aveva già cenato.
La tradizione dell’ospitalità chiaramente stabilisce che l’ospite deve essere nutrito ma nella casa non c’era più nulla da mangiare.
Il pover’uomo pensò di macellare la capra del giorno dopo ma la carne non consumata quella notte sarebbe andata a male, visto che a quei tempi non vi erano ancora sistemi di refrigerazione, e una simile perdita l’avrebbe rovinato.
Direttosi nel recinto iniziò a fissare la capra, che in quel caso era un bel caprone maturo, e all’improvviso gli venne un’idea.
Se avesse semplicemente castrato il caprone invece di ucciderlo, avrebbe avuto abbastanza carne da sfamare l’ospite e l’animale, seppur agonizzante, sarebbe sopravvissuto fino al mattino successivo, quando sarebbe stato propriamente macellato.
Contento di questo piano, il macellaio iniziò ad affilare il coltello, quando all’improvviso sentì uno strano verso provenire dal caprone.
Smise di affilare, ascoltò attentamente e scoprì che l’animale stava contemporaneamente piangendo e ridendo.
Una persona più acculturata forse si sarebbe sorpresa di riuscire a comunicare con un caprone, ma il semplice macellaio domandò semplicemente all’animale il motivo del suo comportamento.
Calmandosi in qualche modo, il caprone rispose “Sto piangendo perché penso alla tortura che soffrirò questa notte quando tu mi avrai castrato, ma sto anche ridendo perché la tortura durerà solo fino a domattina. Quindi morirò, cosa che mi libererà dalle mie sofferenze, e quando sarò rinato avrò modo di rintracciarti e prendermi la mia rivincità!”.
Il macellaio lasciò cadere il coltello, stette immobile per qualche secondo, quindi abbandonò il caprone, la casa, la famiglia e andò nella foresta senza dire niente a nessuno. Alla fine divenne un grande santo.
Egli fu fortunato, nel senso che era destinato a finire in quel modo.
I suoi buoni karma erano maturati a tal punto che gli fu possibile capire il discorso del caprone.
Nella maggior parte dei casi però, è difficile realizzare quello che sta succedendo e si rimane strettamente incatenati alla ruota del karma.

Un visone morto, che stava ancora piangendo amaramente per essere stato spellato vivo, fu ammesso alla presenza di Dio.
Il cuore di Dio era talmente toccato dalla sua condizione che gli disse “Chiedimi qualunque cosa ed io te la darò”.
Singhiozzando il visone rispose “Signore, ora non ho una pelle che mi tenga caldo. Quello che voglio è una giacca di pelle di essere umano, così che l’uomo che mi ha tormentato, capirà cosa vuol dire essere spellati”.
Dio, gentilmente ma con fermezza, replicò “Se tu avessi capito la Legge del Karma, avresti realizzato perché sei stato spellato vivo e queste parole non sarebbero mai uscite dalla tua bocca”.

Alla fine il visone avrà la sua occasione di spellare chi aveva spellato lui ma non servirà a nulla, se non a continuare tutto il processo.

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