lunedì 13 giugno 2016

Le vicende della vita del dio Rama

Unknown Indian - Rama, Lakshmana, and Sita Cooking and Eating in the Wilderness - Google Art Project.jpgSri Ramachandra, comunemente abbreviato in Rama, è la settima incarnazione del dio indù Vishnu.
Le vicende della sua vita sono narrate in numerosi testi sacri, su tutti il Ramayana, scritto in sanscrito dal poeta Valmiki nel VI-III secolo a.C. ed il Ramcharitmanas, scritto nel XV secolo in lingua awadhi (una “proto-hindi”) dal poeta Goswami Tulsidas.
L’importanza culturale della figura di Rama è notevole, tanto che anche a noi, scrivendo alcuni articoli, capita spesso di fare qualche cenno alle sue imprese, di solito piuttosto fugacemente per cercare di non essere eccessivamente prolissi.
È quindi forse il caso di dedicare un post specifico alla vita di Rama, citando quelli che sono gli avvenimenti più importanti.

Dasaratha era il re di Ayodhya ed aveva tre mogli: Kausalya, dalla quale ebbe Rama e Shanta; Kaikey, che diede alla luce Bharat; e Sumitra, madre di Lakshman e Shatrughna.
Giunto ormai in età avanzata, Dasaratha decise di abdicare in favore dell’amato primogenito il principe Rama, ma pochi giorni prima dell’incoronazione, la seconda moglie Kaikey, si recò dal re e gli chiese di poter esprimere un desiderio che lui le aveva accordato anni prima per averlo aiutato in una difficile situazione.
Così obbligò Dasaratha a mandare Rama in esilio nella foresta per 14 anni ed eleggere re suo figlio Bharat.
Non potendo rimangiarsi la parola data, addolorato Dasaratha chiamò Rama e lo mise a conoscenza della situazione.
Questi, dimostrando come sempre le sue elevate qualità morali, non solo non protestò, ma consolò il padre dicendogli che il responsabile era lui stesso, che aveva accettato la carica senza pensare che questo avrebbe potuto infastidire la matrigna Kaikey.

Quindi Rama, insieme alla moglie Sita e al fratellastro Lakshman, si diresse nella foresta, lasciando il regno di Ayodhya in uno stato di profonda depressione.
Addirittura Dasaratha morirà di crepacuore poco tempo dopo, mentre Bharat non si sedette mai sul trono, ma depose ai suoi piedi un paio di vecchi sandali di Rama, in segno di rispetto; lui si fece costruire una capanna vicino al palazzo reale, dalla quale governerà conducendo una vita sostanzialmente ascetica.
I primi 13 anni e mezzo dell’esilio di Rama passarono piuttosto tranquillamente: trovato un posto ideale dove sistemarsi, i tre trascorrevano le giornate a meditare, cacciare, conversare, incontrare saggi ed eremiti, ed uccidere l’occasionale demone.

Qualche mese prima della scadenza dei 14 anni però, il re dei demoni Ravana, istigato dalla sorella Shurpanakha, posò gli occhi su Sita, se ne invaghì e decise quindi di rapirla.
Per fare questo usò un semplice stratagemma: come prima cosa costrinse lo zio Maricha ad assumere le sembianze di un meraviglioso cervo dorato, quindi lo mandò a pascolare nei pressi della capanna di Rama.
Sita, appena vide quel meraviglioso animale, chiese a Rama di catturarlo, quindi questi, nonostante i dubbi del fratello Lakshman, si inoltrò nella foresta.
Dopo pochi minuti, Sita e Lakshman sentirono un grido di aiuto, che sembrava provenire da Rama, così anche Lakshman lasciò Sita e preoccupato si mise alla sua ricerca.
In realtà quel grido era stato un’illusione di Maricha (che Rama aveva appena colpito a morte con una freccia), proprio per permettere a Ravana di approfittare dell’assenza dei fratelli per recarsi nella loro capanna e rapire Sita.

Una volta scoperto l’inganno, Rama e Lakshman si mettono alla ricerca di Sita aiutati da vari personaggi, tra cui Jambavan, il re degli orsi, e soprattutto Hanuman, il re delle scimmie.
Questi, con il suo esercito di primati, inizia a setacciare ovunque finché non raggiunge la punta più meridionale dell’India e scopre che Sita si trova prigioniera del demone Ravana nell’Isola di Lanka.
Per attraversare lo specchio d’acqua che separa Lanka dal continente, Hanuman assunse una forma gigantesca e con un semplice balzo arrivò sull’isola, quindi prese la forma di un piccolo insetto volante ed iniziò a perlustrare la città in cerca di Sita.
Una volta trovata, in un giardino del palazzo reale di Ravana, assunse le forma di un bramino e rivelò a Sita di essere stato mandato da suo marito Rama che si stava preparando per venirla a salvare.

Prima di tornare da Rama a dargli la buona notizia, già che era lì, Hanuman decise di dare una prima lezione a Ravana: riprese le sue sembianze scimmiesche ed iniziò a distruggere gli alberi e le piante del giardino, finché non arrivarono due guardie che lo arrestarono, lo legarono e lo portarono al cospetto di Ravana.
Lì Hanuman, mostrando una sicumera ai limiti della superbia, umilia ed offende Ravana e tesse le lodi di Rama, al punto che il re dei demoni, spazientito, decide di dare fuoco alla sua coda.
Ma non appena la punta della coda di Hanuman iniziò a bruciare, questi assunse di nuovo una forma gigantesca, si liberò dalla corda che l’avvolgeva ed iniziò a saltare sui tetti della città incendiandola completamente.

Tornato da Rama e raccontatagli la vicenda, iniziarono quindi i preparativi per l’assalto a Lanka.
Giunti di fronte all’isola, di nuovo si presentò il problema di attraversare il mare, che venne risolto dagli eserciti di scimmie e orsi, che iniziarono a gettare grandi massi nell’acqua fino a creare un ponte.
Piccola digressione: questo semplice episodio mitologico, oggigiorno è fonte di notevoli controversie legate al cosiddetto Adam’s Bridge, una serie di dune di sabbia sommerse che uniscono l’Isola di Lanka con la terraferma.
A causa di questa particolare conformazione orografica, le navi che devono recarsi da una parte all’altra della penisola indiana, giunti in quest’area non possono continuare a costeggiare il subcontinente, ma sono costrette a compiere una lunga deviazione e passare all’esterno dello Sri Lanka.
Con la fine della guerra civile nell’isola e lo stabilizzarsi dei rapporti politici ed economici con l’India, si è quindi pensato di eliminare almeno in parte l’Adam’s Bridge per permettere il passaggio delle navi, progetto molto semplice ed intelligente ma opposto con forza dalla maggioranza degli indù, purtroppo anche supposti scienziati  e studiosi, che affermano essere i resti del Ram Setu, il ponte costruito da Rama.

Una volta giunti a Lanka scoppia una cruenta guerra che teminerà, in maniera piuttosto prevedibile, con uno scontro tra Rama e Ravana, che chiaramente verrà sconfitto e ucciso.
Molto toccante, nella versione del Ramayana sanscrito del poeta Valmiki, è la morte di Ravana: riconoscendo al demone la sua notevole conoscenza, Rama gli chiese di diventare suo discepolo, cosa che chiaramente Ravana accettò, poco prima di spirare tra le sue braccia.
Conclusa vittoriosamente la campagna militare, non c’era però molto tempo da perdere visto che stavano scadendo i 14 anni di esilio e Bharat aveva già fatto sapere che se Rama non fosse tornato si sarebbe suicidato.
Utilizzando una sorta di carro volante, ovviamente riescono ad arrivare in tempo, la città di Ayodhya esplode di gioia ed iniziano i preparativi per l’incoronazione di Rama.
Purtroppo però il supplizio di Sita non era ancora finito...
Secondo i costumi induisti, avendo Sita trascorso del tempo in casa di un altro uomo, Rama dovette sottoporla alla prova del fuoco, per essere sicuro della sua fedeltà.
Chiaramente Rama sapeva benissimo come stavano le cose, ma fu obbligato per dare il buon esempio ai suoi sudditi, che già vociferavano contro di lui se non l’avesse sottoposta ad alcun test.

Sita senza protestare minimamente entrò quindi nel fuoco, rimanendo illesa grazie alla sua castità (il nome Sita stesso potrebbe significare “fresca”), ma fu piuttosto delusa e lasciò Ayodhya per tornare dalla sua famiglia.

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