Com’è noto, le montagne più alte del mondo si trovano in
Asia; di queste 14 formano il cosiddetto gruppo degli Ottomila, in quanto la
loro altezza supera appunto gli 8.000 metri.
Ben nove di queste vette sono situate nella zona
centro-orientale dell’Himalaya, una nell’area occidentale, mentre le altre
quattro fanno parte del gruppo montuoso del Karakorum.
Gli stati che ospitano i 14 Ottomila sono quattro:
Pakistan, India, Nepal e Cina.
Tra questi il Nepal è la casa di ben otto delle dieci vette
più alte, che lo rendono quindi il paese degli Ottomila per eccellenza.
In realtà, come succede ad esempio anche in Europa con la
vetta del Monte Bianco divisa tra Italia e Francia, alcune di queste cime sono
condivise con altri stati, per l’esattezza quattro con la Cina ed una con
l’India, mentre tre fanno parte esclusivamente del Nepal.
Partendo dalle più alte: il Monte Everest è condiviso con
la Cina, il Kangchenjunga con l’India, quindi Lhotse, Makalu e Cho Oyu di nuovo
con la Cina, Dhaulagiri I, Manaslu ed Annapurna I interamente in Nepal.
A rendere il Nepal la patria degli Ottomila bisogna anche
aggiungere che le vette condivise con la Cina sono più facili da raggiungere
dal versante nepalese, dove le montagne iniziano non molto lontano da piccoli
centri urbani, mentre dal lato cinese ci si avvicina solo dopo centinaia di
chilometri di desertico ed inospitale altopiano tibetano.
Il Monte Everest, chiamato Sagarmatha in Nepal e
Chomolungma in Cina, con i suoi 8.848 metri è notoriamente la cima più alta del
mondo e quindi meta ambitissima di alpinisti di tutto il pianeta.
La prima ascensione avvenne già nel lontano 1953, da parte
del neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tensing Norgay ed al 2010
sono state più di tremila le persone che hanno raggiunto la cima, con una percentuale
di successi di poco inferiore all’80%.
A causa della sua notorietà, l’Everest è però spesso anche
meta ambita di alpinisti non abbastanza esperti e sono numerosissimi gli
incidenti mortali che si sono verificati negli ultimi 40 anni, con circa 300
persone che hanno perso la vita durante l’impresa.
Tra le cause più comuni, oltre all’inesperienza, vi sono il
mal di montagna, le tempeste, i crepacci e le valanghe, forse il pericolo più
temuto visto che riescono spesso in un colpo solo a spazzare via decine di vite
umane.
Tristemente famosa fu quella del 25 Aprile 2015, causata
dal potente terremoto nepalese (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/il-terremoto-nepalese-del-2015.html),
che colpì il frequentato campo base dell’Everest uccidendo 22 persone delle
circa 200 che si trovavano in zona.
Bisogna infatti aggiungere che il campo base dell’Everest è
meta ambita anche di semplici trekker, dato che è possibile avvicinarsi in
aereoplano o in bus fino ad alcuni paesini a pochi giorni di cammino dai
percorsi dai quali è possibile ammirare qualche panorama della sua vetta.
Il K2 (8.611 metri), secondo monte più alto al mondo, si
trova nel Karakorum ed è diviso tra Pakistan e Cina, quindi è una delle due tra
le prime dieci montagne a non interessare il Nepal.
Per onor di cronaca riportiamo comunque alcune curiosità:
intanto ricordiamo che la prima ascensione, nel 1954, fu compiuta dagli
alpinisti italiani Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.
L’indice di mortalità del K2 è il terzo tra gli Ottomila,
dopo l’Annapurna I ed il Nanga Parbat, ed è l’unica tra le 14 vette più alte a
non essere stata ancora scalata in inverno.
Probabilmente bisognerà aspettare un’impresa di un altro
italiano, Simone Moro, alpinista di fama mondiale per essere stato il primo a
scalare ben quattro Ottomila in inverno: Makalu, Nanga Parbat, Gasherbrum II e
Shishapangma.
Con un’elevazione di 8.586 metri, il Kangchenjunga è la
terza montagna più alta al mondo, la più orientale Ottomila ed è condivisa tra
il Nepal e l’India.
La prima ascesa avvenne 1955 da parte di due scalatori
inglesi, George Band e Joe Brown, i quali però si fermarono volutamente a pochissimi
passi dalla cima per una promessa fatta all’allora Re del Sikkim che gli aveva
accordato il permesso di scalare la montagna.
Pare che la tradizione sia seguita ancora oggi, quindi
tecnicamente la vetta del Kangchenjunga rimane inviolata.
A causa della posizione in un’area del Nepal (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/trekking-in-nepal.html)
ancora arretrata e poco sviluppata per il trekking, e dell’asperità delle
montagne dal lato indiano, il Kangchenjunga non è molto frequentato dai trekker
e rimane in gran parte un’attrazione per i numerosi turisti che si recano a
Darjeeling, nello stato indiano del West Bengala, o sulle montagne del Sikkim.
Il Lhotse, il Makalu ed il Cho Oyu, quarto, quinto e sesto
tra i monti più alti del pianeta, sono condivisi tra il Nepal e la Cina, come
l’Everest, e si trovano non molto lontano da quest’ultimo.
Anche queste cime sono più facilmente raggiungibili dal
versante nepalese, ma non godono della stessa attenzione riservata al loro più
prestigioso vicino.
La prima loro ascesa venne effettuata: nel 1956 il Lhotse,
nel 1955 il Makalu e nel 1954 il Cho Oyu, rispettivamente da due scalatori svizzeri,
due francesi e due austriaci, questi ultimi accompagnati da uno sherpa
nepalese.
La settima, l’ottava e la decima tra le montagne più alte
del mondo sono tutte e tre completamente in territorio nepalese, e sono
intervallate al nono posto dal Nanga Parbat, situato in Pakistan nella regione del
Gilgit-Baltistan, nella zona più occidentale dell’Himalaya.
Gli 8.126 metri di altezza del Nanga Parbat ((letteralmente
Montagna Nuda) sono stati scalati per la prima volta nel 1953, in solitaria, da
Hermann Buhl, leggendario alpinista austriaco che nel 1957 conquisterà per
primo anche il Broad Peack, 8.051 metri, insieme ad altri tre compagni del suo
paese, ma morirà poche settimane dopo nel vicino Chogolisa (7.654 metri) a
causa del maltempo e di una valanga.
Come già accennato, il Nanga Parbat è il secondo Ottomila
per indice di mortalità; tra le vittime illustri, nel 1970, anche Gunther
Messner, fratello del più noto Reinhold, che nella stessa scalata perse ben
sette dita dei piedi.
Il Dhaulagiri I, il Manaslu e l’Annapurna I si trovano a
poca distanza tra loro nell’area centro-settentrionale del Nepal.
Il Dhaulagiri I, con 8.167 metri di altezza, è la settima
cima mondiale e venne scalato per la prima volta nel 1960 da una spedizione
mista che portò sulla vetta due austriaci, due nepalesi, uno svizzero ed un
tedesco.
Il Manaslu (8.163 metri) è il più orientale dei tre ed è
situato nella zona settentrionale del distretto di Gorkha, a metà strada tra la
capitale nepalese Kathmandu e la cittadina turistica di Pokhara (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/07/la-citta-di-pokhara.html).
Venne scalato per la prima volta nel 1956 dall’alpinista giapponese
Toshio Imanishi e lo sherpa nepalese Gyalzen Norbu.
L’Annapurna I, decima montagna più alta al mondo con 8.091
metri, fu il primo Ottomila di cui fu raggiunta la cima, nel lontano 1950,
dalla coppia di scalatori francesi Maurice Herzog e Louis Lachenal.
Tra i trekker queste tre montagne sono piuttosto note per
essere visibili lungo il percorso di trekking di 2-3 settimane che scorre
attorno al massiccio dell’Annapurna e chiamato appunto periplo dell’Annapurna.
Il Manaslu si trova a est della parte più orientale del
trekking, mentre nella zona più occidentale, dove il percorso costeggia il
fiume Kali Gandaki, è situato quello che viene considerato il canyon più
profondo al mondo, la cosiddetta Gola del Kali Gandaki, che separa le cime del
Dhaulagiri (8.167 metri) a ovest e l’Annapurna I (8.091) a est.
Grazie alla notorietà dei trekking, spesso anche molto
semplici, in tutta l’area del massiccio dell’Annapurna, queste ultime tre cime
sono probabilmente tra le vette himalayane più apprezzate e fotografate.
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