lunedì 26 settembre 2016

Il delfino del Gange

Schnabeldelphin-drawing.jpgIl delfino del Gange, più propriamente chiamato platanista, è una delle due sottospecie di platanista gangetica e vive in India, Bangladesh e Nepal.
Il nome scientifico è platanista gangetica gangetica, per distinguerla dal platanista gangetica minor, chiamato anche delfino dell’Indo, che vive invece in Pakistan.
Tra le due sottospecie non esistono comunque evidenti differenze fisiche.
Posseggono un lungo e caratteristico muso appuntito, e raggiungono dimensioni di circa 2 metri nei maschi e 2 metri e mezzo tra le femmine, grazie al fatto che in quest’ultime il rostro continua a crescere per tutta la vita mentre nei maschi la crescita si interrompe una volta raggiunti i circa 150 centimetri di lunghezza.
Ultima curiosità fisica, essendo i suoi occhi sprovvisti del cristallino, il platanista è essenzialmente cieco e riesce appena a distinguere l’intensità e la direzione della luce.
Questo comunque non è assolutamente un handicap, visto che per muoversi e, soprattutto, per cacciare carpe e pesci gatto, insieme ad altre specie di pesci e gamberetti, il platanista usa l’ecolocazione (un sonar biologico sviluppato da alcuni mammiferi, tra cui notoriamente i pipistrelli).

Come tutti i delfini di fiume (ne esistono anche alcune specie in Sud America), i platanisti asiatici sono tra gli animali a maggior rischio di estinzione, tanto che infatti il lipote (lipotes vexillifer), o delfino del fiume Yangtze (il Fiume Azzurro), è stato considerato estinto in Cina nel 2006.
I pericoli più grandi derivano principalmente dall’uomo: al suo uso smodato delle risorse idriche, all’inquinamento, alle reti da pesca, ma soprattutto alla costruzione di numerose dighe che di fatto sbarrano il percorso di questi piccoli cetacei, isolando e frazionandone le fragili popolazioni.
Nonostante questo, al giorno d’oggi il platanista è considerato una specie in pericolo dall’IUCN (International Union for Conservation of Nature) esattamente a metà della scala a sette gradini, ad ancora quattro passi dall’estinzione.
Infatti, prendendo come esempio il delfino dell’Indo in Pakistan, sebbene il suo areale sia diminuito notevolmente, attualmente è presente in almeno tre zone dove la popolazione è piuttosto stabile e raggiunge il numero di circa 1.200 individui.
Purtroppo essendo una specie ancora poco studiata esistono anche pochi programmi di conservazione, portati avanti soprattutto dal WWF e limitati principalmente ad educare le persone che vivono nei pressi delle aree dove sono rimaste attive le ormai rare popolazioni di delfini.

Il platanista del Gange vive in India, Nepal e Bangladesh: nel fiume Gange in India, in alcuni suoi affluenti in Nepal, nel corso finale del Brahmaputra in India, nel grande delta composto da quest’ultimo ed il fiume Meghna in Bangladesh e nel bacino idrico dei fiumi Karnaphuli e Sangu sempre in Bangladesh.
Un’ultima popolazione di circa una cinquantina di individui vive nel fiume Chambal (già noto per ospitare anche il raro gaviale: http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/09/i-coccodrilli-in-india.html), che scorre tra gli stati indiani del Rajasthan, Uttar Pradesh e Madhya Pradesh, e sfocia nel grande fiume Yamuna (http://informazioniindiaenepal.blogspot.it/2016/06/il-fiume-yamuna.html), l’inquinamento del quale però da molti anni rende la vita dei platanisti quasi impossibile.
A causa degli ancora scarsi studi specifici, non sono disponibili dati recenti ed attendibili sull’attuale popolazione di delfini del Gange, che comunque, dato il più ampio areale rispetto a quello dell’Indo, dovrebbe essere maggiore e dovrebbe superare i 2-3 mila individui.

Un inaspettato aiuto per la conservazione del  platanista gangetico potrebbe essere la religione, grazie ai numerosi sforzi che si stanno iniziando a fare per ripulire le acque del sacro fiume Gange.

In realtà non esistono particolari riferimenti ai delfini gangetici nell’induismo, ma sicuramente potrebbero trarre un notevole vantaggio da un minor inquinamento delle acque del Gange e dall’interrompere la costruzione di nuove dighe e canali, estremamente dannosi per il proliferare dei delfini.

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