lunedì 30 maggio 2016

Bevande alcoliche nepalesi

Una delle differenze più evidenti tra la società indù nepalese e quella indiana è il diverso approccio verso le bevande alcoliche.
Come già evidenziato in un precedente articolo a riguardo (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/02/il-consumo-di-alcohol-in-india.html), in India esistono varie limitazioni, del tutto assenti nella legislazione nepalese, che, in materia di produzione, vendita e consumo di alcolici, segue una politica liberale molto simile a quella dei paesi occidentali.
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Tongba servita nel tradizionale contenitore con cannuccia in bambù
Tra le poche eccezioni, un’orario di vendita fissato tra le 10 del mattino e le 10 di sera (seppur non applicato rigidamente) ed il divieto di consumare alcohol sul suolo pubblico, per cui ad esempio, camminare per strada, o sedersi su una panchina, bevendo una birra è perseguibile dalla legge.
D’altronde, data l’estrema diffusione di rivendite e bar, non è neppure molto difficile attenersi alle regole.
Sul mercato sono facilmente reperibili birra e alcolici prodotti da distillerie locali, di qualità dallo scadente al bevibile, nonché apprezzabili, seppur costose, bevande d’importazione.
Accanto a questi, grazie alla notevole diversità etnico-culturale, in Nepal sono presenti vari tipi di alcolici di produzione artigianale, per i quali vengono utilizzati semplici ingredienti facilmente reperibili anche in zone inospitali e remote.
Nello specifico ci riferiamo a tari, aila e tongba, in un ordine vagamente ascensionale-geografico da sud a nord.

Partendo dalla regione meridionale del paese, la pianura del Terai è abitata da varie etnie, tra cui spiccano i tharu, una popolazione originale della zona, nota per possedere una particolare resistenza genetica alla malaria.
In quest’area, come anche in tutto il resto della pianura gangetica settentrionale indiana, è molto diffuso il vino di palma, chiamato toddy in inglese e tari, o nomi simili, nelle varie lingue locali.
Il sistema di raccolta di questa bevanda è particolarmente semplice, visto che consiste nel praticare un’incisione vicino ai fiori delle palme e legando una piccola giara di terracotta sotto al taglio per raccogliere la linfa che lentamente ne fuoriesce.
Appena raccolto, in genere alla mattina presto, il liquido inizia a fermentare e già dopo un paio d’ore raggiunge una gradazione alcolica intorno ai 4-5 gradi.
Questa aumenterà fino a sera, diventando via-via sempre più forte, come anche il gusto, ma un’eccessiva fermentazione, lasciandolo a riposare per la notte, trasformerà invece il saporito vino in aceto.
La stagione migliore è la calda estate ore-monsonica, durante la quale il fresco tari risulta essere particolarmente gradito. 
In realtà la raccolta ed il consumo di vino di palma non è una caratteristica esclusiva dell’etnia tharu, essendo molto popolare anche in tutto il sub-continente ed in molte altre parti del mondo, ma gli abitanti più numerosi nelle zone nepalesi dove si trovano le palme adatte sono tharu (come anche apparteneva a questa etnia il gentile ragazzo nepalese che ce lo fece assaggiare alcuni anni fa nei pressi del Parco Nazionale di Chitwan).

Nelle regioni collinari una delle etnie più importanti è quella newari, originaria della Valle di Kathmandu.
Ad essa va ascritta la produzione dell’aila, un distillato prodotto con ingredienti quali riso, grano e miglio.
Questi vengono fatti fermentare grazie al marcha (o murcha), un composto organico locale, per 4-5 giorni e quindi distillati, cuocendoli sul fuoco in appositi contenitori di terracotta e ottone.
La bevanda ottenuta assomiglia ad una grappa secca, molto forte, intorno ai 50 gradi.
Come nel caso del tari e dell’etnia tharu, la produzione ed il consumo di questo tipo di distillati, chiamati col nome generico di rakshi, non è prerogativa unica della popolazione newari, seppur l’aila, nome originale newari, abbia per loro una particolare importanza anche durante le feste religiose, allorché viene abbondantemente consumata.
Da parte nostra abbiamo avuto modo di assaggiarlo in un ristorante tipico newari (noti in Nepal per le loro gratuite ed apprezzate degustazioni di potenti aila) ed acquistando una bottiglia, di recentissima produzione, abbellita dall’elegante stampa di una tipica finestra di legno in stile newari.

La tongba è la bevanda alcolica tipica dell’etnia tibeto-birmana limbu, la cui popolazione, oggigiorno, abita prevalentemente remote regioni collinari dell’est nepalese.
L’ingrediente principale è il miglio (in particolare il panico indiano, eleusine coracana), che viene bollito, raffreddato e raccolto dentro a speciali cesti di bambù e foglie, chiusi con vari strati di stoffa; qui viene fatto fermentare per 1-2 giorni grazie al già citato marcha.
Dopo questo trattamento, viene messo in vasi di terracotta sigillati e lasciato a riposare per 1-2 settimane per permettere la completa fermentazione.
Al termina della quale non resta che aspettare circa sei mesi per lasciare intensificare aroma e sapore.
Il risultato di questo lungo processo sono dei piccoli semi rotondi marroni, leggermente umidi, chiamati jaand, con i quali si riempono dei grandi contenitori di bambù cilindrici (detti tongba e dai quali deriva il nome della bevanda), insieme ad una lunga cannuccia, sempre di bambù, munita di piccoli fori.
Viene quindi versata dell’acqua calda e dopo pochi minuti si può iniziare a consumare questo gustoso alcolico.
La gradazione inizialmente è piuttosto bassa, circa 3-4 gradi, e tende a salire leggermente, facendola riposare e dopo aver aggiunto acqua due o tre volte, finché i principi alcolici del jaand non vengono definitivamente consumati.

Come l’aila può essere considerato un tipo di rakshi, il tongba può essere considerato un tipo di chaang, nome d’origine tibetano dato a vari tipi di preparazioni simili, detti volgarmente “birra tibetana”, per i quali però, rispetto al tongba, vengono utilizzati anche altri ingredienti quali orzo e riso.

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