Una delle differenze più evidenti tra
la società indù nepalese e quella indiana è il diverso approccio verso le
bevande alcoliche.
Come già evidenziato in un precedente
articolo a riguardo (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/02/il-consumo-di-alcohol-in-india.html),
in India esistono varie limitazioni, del tutto assenti nella legislazione
nepalese, che, in materia di produzione, vendita e consumo di alcolici, segue
una politica liberale molto simile a quella dei paesi occidentali.
Tongba servita nel tradizionale contenitore con cannuccia in bambù |
Tra le poche eccezioni, un’orario di
vendita fissato tra le 10 del mattino e le 10 di sera (seppur non applicato
rigidamente) ed il divieto di consumare alcohol sul suolo pubblico, per cui ad
esempio, camminare per strada, o sedersi su una panchina, bevendo una birra è
perseguibile dalla legge.
D’altronde, data l’estrema diffusione
di rivendite e bar, non è neppure molto difficile attenersi alle regole.
Sul mercato sono facilmente reperibili
birra e alcolici prodotti da distillerie locali, di qualità dallo scadente al
bevibile, nonché apprezzabili, seppur costose, bevande d’importazione.
Accanto a questi, grazie alla notevole
diversità etnico-culturale, in Nepal sono presenti vari tipi di alcolici di
produzione artigianale, per i quali vengono utilizzati semplici ingredienti
facilmente reperibili anche in zone inospitali e remote.
Nello specifico ci riferiamo a tari,
aila e tongba, in un ordine vagamente ascensionale-geografico da
sud a nord.
Partendo dalla regione meridionale del
paese, la pianura del Terai è abitata da varie etnie, tra cui spiccano i tharu,
una popolazione originale della zona, nota per possedere una particolare
resistenza genetica alla malaria.
In quest’area, come anche in tutto il
resto della pianura gangetica settentrionale indiana, è molto diffuso il vino
di palma, chiamato toddy in inglese e tari, o
nomi simili, nelle varie lingue locali.
Il sistema di raccolta di questa
bevanda è particolarmente semplice, visto che consiste nel praticare un’incisione
vicino ai fiori delle palme e legando una piccola giara di terracotta sotto al
taglio per raccogliere la linfa che lentamente ne fuoriesce.
Appena raccolto, in genere alla
mattina presto, il liquido inizia a fermentare e già dopo un paio d’ore
raggiunge una gradazione alcolica intorno ai 4-5 gradi.
Questa aumenterà fino a sera, diventando
via-via sempre più forte, come anche il gusto, ma un’eccessiva fermentazione,
lasciandolo a riposare per la notte, trasformerà invece il saporito vino in
aceto.
La stagione migliore è la calda estate ore-monsonica, durante la quale il fresco tari risulta essere particolarmente gradito.
In realtà la raccolta ed il consumo di
vino di palma non è una caratteristica esclusiva dell’etnia tharu, essendo
molto popolare anche in tutto il sub-continente ed in molte altre parti del
mondo, ma gli abitanti più numerosi nelle zone nepalesi dove si trovano le
palme adatte sono tharu (come anche apparteneva a questa etnia il gentile ragazzo
nepalese che ce lo fece assaggiare alcuni anni fa nei pressi del Parco
Nazionale di Chitwan).
Nelle regioni collinari una delle
etnie più importanti è quella newari, originaria della Valle di Kathmandu.
Ad essa va ascritta la produzione
dell’aila, un distillato prodotto con ingredienti quali riso, grano e miglio.
Questi vengono fatti fermentare grazie
al marcha (o murcha), un composto organico locale, per 4-5 giorni e
quindi distillati, cuocendoli sul fuoco in appositi contenitori di terracotta e
ottone.
La bevanda ottenuta assomiglia ad una
grappa secca, molto forte, intorno ai 50 gradi.
Come nel caso del tari e dell’etnia
tharu, la produzione ed il consumo di questo tipo di distillati, chiamati col
nome generico di rakshi, non è prerogativa unica della popolazione
newari, seppur l’aila, nome originale newari, abbia per loro una particolare
importanza anche durante le feste religiose, allorché viene abbondantemente
consumata.
Da parte nostra abbiamo avuto modo di
assaggiarlo in un ristorante tipico newari (noti in Nepal per le loro gratuite
ed apprezzate degustazioni di potenti aila) ed acquistando una bottiglia, di
recentissima produzione, abbellita dall’elegante stampa di una tipica finestra
di legno in stile newari.
La tongba è la bevanda alcolica tipica
dell’etnia tibeto-birmana limbu, la cui popolazione, oggigiorno, abita prevalentemente
remote regioni collinari dell’est nepalese.
L’ingrediente principale è il miglio
(in particolare il panico indiano, eleusine coracana), che viene
bollito, raffreddato e raccolto dentro a speciali cesti di bambù e foglie, chiusi
con vari strati di stoffa; qui viene fatto fermentare per 1-2 giorni grazie al
già citato marcha.
Dopo questo trattamento, viene messo
in vasi di terracotta sigillati e lasciato a riposare per 1-2 settimane per
permettere la completa fermentazione.
Al termina della quale non resta che
aspettare circa sei mesi per lasciare intensificare aroma e sapore.
Il risultato di questo lungo processo
sono dei piccoli semi rotondi marroni, leggermente umidi, chiamati jaand,
con i quali si riempono dei grandi contenitori di bambù cilindrici (detti tongba
e dai quali deriva il nome della bevanda), insieme ad una lunga cannuccia,
sempre di bambù, munita di piccoli fori.
Viene quindi versata dell’acqua calda
e dopo pochi minuti si può iniziare a consumare questo gustoso alcolico.
La gradazione inizialmente è piuttosto
bassa, circa 3-4 gradi, e tende a salire leggermente, facendola riposare e dopo
aver aggiunto acqua due o tre volte, finché i principi alcolici del jaand non
vengono definitivamente consumati.
Come l’aila può essere considerato un
tipo di rakshi, il tongba può essere considerato un tipo di chaang, nome
d’origine tibetano dato a vari tipi di preparazioni simili, detti volgarmente
“birra tibetana”, per i quali però, rispetto al tongba, vengono utilizzati
anche altri ingredienti quali orzo e riso.
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