In verde l'area occupata dal Pakistan, in arancione quella indiana, a bande diagonali quella cinese |
Una delle cause dei pessimi rapporti diplomatici tra India
e Pakistan è la non ancor ben definita questione dei confini terrestri.
In particolare, com’è noto, la regione montana del Kashmir
offre vari punti di contenzioso tra le due orgogliose nazioni, con l’area
meridionale occupata dall’India e rivendicata dal Pakistan e l’area
settentrionale occupata invece dal Pakistan e rivendicata dall’India (senza
contare una piccola parte cinese rivendicata dagli indiani).
L’International Border (IB) venne tracciato dagli inglesi nell’Agosto
del 1947 e chiamato Radcliffe Line, in onore di Sir Cyril Radcliffe, il capo
della commissione preposta ai confini, quindi venne rettificato nel 1949
dall’ONU dopo la Guerra Indo-Pakistana del 1947.
Per gran parte dei suoi 2.900 chilometri, grossomodo dal
Mar Arabico all’area del Punjab, il confine Indo-Pakistano, sebbene fonte di
qualche occasionale disputa, non presenta particolari problemi ed è accettato
non solo dai due stati interessati ma anche dalla comunità internazionale.
Più a nord, partendo dalla città di Jammu, iniziano invece
le rivendicazioni, solo parzialmente mitigate dal Patto di Shimla del 1972, con
la demarcazione della Line of Control (LOC) che divide di fatto l’Azad Kashmir
pakistano dallo stato indiano Jammu and Kashmir.
Il confine marittimo sul Mar Arabico è piuttosto ben
definito, seppur talvolta capiti che i pescatori di entrambi i paesi, più o
meno inavvertitamente, finiscano per oltrepassare i limiti e vengano catturati dagli
opposti eserciti.
Di solito comunque le questioni vengono risolte abbastanza
amichevolmente con piccole amnistie o veri e proprio scambi di prigionieri.
Sulla terraferma la demarcazione del confine è più
problematica, non tanto per cause politiche, bensì orografiche, date dalla
particolare conformazione ed inospitalità delle zone attraversate.
Politicamente, sebbene l’area sia stata materia di
contenzioso durante la Guerra Indo-Pakistana del 1965, la questione è stata
risolta quasi definitivamente nel 1968, grazie ad un tribunale inglese
stabilito all’uopo dall’allora Primo Ministro Harold Wilson, che concesse il
10% al Pakistan ed il restante 90% all’India.
Ed escludendo l’Incidente dell’Atlantique dell’Agosto 1999,
in cui una aereo dell’esercito pakistano venne abbattuto da un caccia indiano
per aver sconfinato nel cielo dell’India, grossomodo non ha più creato grandi
problemi.
Geograficamente invece, il Rann of Kutch si presenta come
una vasta regione paludosa stagionale che durante i mesi dei monsoni si
trasforma in un gigantesco acquitrino salmastro.
Trovandosi anche presso il delta dell’Indo (che comunque
scorre in territorio pakistano), l’area subisce spesso notevoli inondazioni
dai suoi effluenti, a cui vanno aggiunti i non rari terremoti (in particolare
nel 1819, 1956 e 2001) che mutano i corsi dei fiumi spostandoli anche di alcuni
chilometri.
Allontanandosi dal mare, il terreno attraversato dall’IB (International
Border) si trasforma in un vero e proprio deserto di sabbia, il Thar, che
prosegue verso nord fino all’area geografica del Punjab (più o meno equamente
divisa tra Pakistan e India), molto fertile grazie alla presenza di numerosi
corsi d’acqua originati dalle non lontane montagne: il nome stesso Punjab
signufica letteralmente Le cinque acque, cioè I cinque fiumi.
Qui il confine Indo-Pakistano è ben marcato, grazie anche
alla presenza del Wagah Border (noto per le bellicose cerimonie di chiusura che
attirano un surreale tifo da stadio), attualmente il posto di confine più
frequentato e storicamente porta d’accesso occidentale alla penisola indiana.
La spinosa questione del Kashmir sorse all’indomani della
dipartita degli inglesi dal subcontinente indiano e fu causata dalla
particolare situazione socio-religiosa dell’area.
Seppur la maggior parte della popolazione fosse, e sia
tuttora, mussulmana, che avrebbe dato diritto di occupazione al Pakistan, il
Maharajà era un indù che decise di cedere il proprio regno all’India, ponendo
quindi le basi per un’infinità di dispute tra i due stati, esacerbati anche dai
numerosi e bellicosi movimenti indipendentisti, spesso appoggiati dal Pakistan
che non perde occasione per seminare zizzania in territorio indiano.
Il culmine venne raggiunto tra Maggio e Luglio del 1999 con
la Guerra di Kargil, causata da una forte infiltrazione in territorio indiano
di militanti kashmiri, sostenuti dall’esercito pakistano.
La tempestiva ed energica reazione indiana, appoggiata
anche dalla comunità internazionale (con il presidente americano Bill Clinton
che chiese espressamente alla controparte pakistana di interrompere l’attacco)
permise una veloce risoluzione del conflitto rioccupando i propri territori ed
espellendo gli invasori.
Il coinvolgimento del governo e dell’esercito pakistano,
anche questo provato tempestivamente dall’intelligence indiana, pare sia stato
causato dall’intenzione di poter utilizzare eventuali guadagni territoriali
come “merce di scambio” per potersi riappropriare degli avamposti situati sul
Ghiacciaio di Siachen, che l’India aveva conquistato nel non lontano 1984.
Il differente trattamento della comunità internazionale in
questi due episodi è dato dal fatto che nel caso del Ghiacciaio di Siachen,
l’India aveva conquistato territori che non erano chiaramente marcati, mentre
l’invasione pakistana di Kargil aveva superato confini ben definiti.
La questione del Ghiacciaio di Siachen è comunque emblematica
della complessità della situazione e famosa per alcuni record ben poco
edificanti.
Innanzitutto si tratta del campo di battaglia alla maggior
altitudine, circa 6.000 m s.l.m., ed è noto per essere uno dei luoghi più
pericolosi al mondo, non tanto per gli sporadici conflitti, quanto per la
durezza del clima che tra freddo, altitudine, tempeste e valanghe causa ben più
decessi delle operazioni belliche (esperti di balistica mettono anche in dubbio
la reale efficacia, a quelle altitudini, delle armi di fuoco).
L’area del contenzioso si aggira intorno ai 2.500 km2 e si
tratta di un grande ghiacciaio situato nelle remote montagne del Karakorum
Orientale, presso il punto in cui si incontrano i confini tra Pakistan, India e
Cina.
Inizialmente, e giustamente, data l’inaccessibilità
dell’area il confine non era molto ben definito ma non sembrava presentare
particolari controversie ed era accettata la divisione dell’ONU del 1949,
nonché la sua rettificazione in seguito al conflitto Indo-Pakistano del 1971 ed
il successivo Patto di Shimla del 1972.
Fondamentalmente la situazione era la seguente: l’esercito
pakistano arroccato sul versante occidentale e l’esercito indiano su quello
orientale, in mezzo si trovava il ghiacciaio, in una non ben definita “terra di
nessuno”.
Con l’inasprirsi delle relazioni tra i due paesi, dal 1977
alcuni militari indiani iniziarono ad esplorare meglio la zona, spinti anche
dal fatto che il Pakistan, sul suo versante, stava iniziando ad aprire le porte alle
esplorazioni internazionali, come per legittimare la propria occupazione.
Nel 1981, una volta acquisita una certa conoscenza
dell’area, l’esercito indiano iniziò a preparare un attacco, dapprima previsto
dalla controparte pakistana che si era accorta delle attività sospette del
nemico, pare addirittura per aver trovato i resti di un pacchetto di sigarette
indiane (se gli indiani non l’hanno capito così che non si butta la spazzatura
per terra, non lo capiranno mai).
Purtroppo però anche l’esercito pakistano fece un
grossolano errore, cioè si rifornì di materiale bellico speciale per il freddo
estremo dalla stessa ditta londinese di cui si serviva l’esercito indiano, il
quale, venutone a conoscenza, ordinò quindi il doppio del materiale per
preparare il maggior numero possibile di soldati.
E nell’Aprile del 1984, con l’Operazione Meghdoot (Il
messaggero delle nuvole), l’India avanzò il proprio confine fino ad occupare due
importanti passi di montagna il Sia La ed il Bilafond La (e successivamente
anche il terzo ed ultimo, il Gyong La), che permettevano una posizione
dominante sul ghiacciaio.
Durante i successivi tre anni, l’esercito pakistano
concentrò i suoi sforzi nel cercare di impossessarsi dei picchi che si trovavano
al di sopra dei passi controllati dagli indiani, in particolare il Qaid Post
situato proprio sopra al Bilafond La.
Nei mesi di Giugno-Luglio del 1987 però, l’India lanciò
l’ardita Operazione Rajiv, con la quale riuscì a conquistare il Qaid Post,
ribattezzato in seguito Bana Post in onore del comandante Subedar Bana Singh, uno
dei responsabili della riuscita operazione.
Il successivo tentativo a Settembre dello stesso anno di
riprenderne possesso da parte dell’esercito pakistano fu invece sventato grazie
al fatto che l’India, insospettita da strani movimenti oltre confine, ebbe modo
di anticipare l’operazione Qaidat, guidata dal Generale Musharraf (futuro
Presidente del Pakistan), con l’operazione Vajrashakti.
Successivamente il Pakistan ha riprovato più volte a
riconquistare il terreno perso (circa 2.500 km2), nel 1990,1995, 1996 e perfino
nel 1999, senza però riuscire nel suo intento.
Al momento la situazione è piuttosto definita dalla Actual
Ground Position Line, una linea di circa 110 km che rappresenta il nuovo
confine sul ghiacciaio.
Oltre a questo, vi sono altre cause contingenti grazie alle
quali da molti anni non si verificano particolari incidenti: intanto un temporaneo
armistizio attivo dal 2003, quindi un auspicato maggior disinteresse delle due
parti, nonché la situazione di stallo bellico.
L’India infatti, preso possesso e controllo dell’intero
ghiacciaio, non ha nessun interesse particolare a lasciare i suoi dominanti
avamposti per scendere verso il lato opposto della valle ed il Pakistan non è
in grado di risalire e riprendersi le sue postazioni.
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