I nove corpi celesti induisti con il Sole al centro |
L’astrologo riuscì
ad avere un figlio soltanto dopo lunghi anni di austerità dedicate a Shiva e il
figlio che nacque, Sarvananda, in qualche modo era un’incarnazione di Shiva, seppur
il padre lo realizzò solo in tarda età.
Un giorno, quando
Sarvananda era ancora ragazzo, il padre lo portò a corte per mostrarlo al Re,
sperando di ottenere qualche ricompensa per la sua precocità.
In quel periodo a
corte vi era un’assemblea di astrologi che discutevano sui giorni lunari, affermando
che quel giorno era luna nuova.
Quando però gli
astrologi chiesero il parere di Sarvananda, egli disse che era un giorno di
luna piena.
Questo suscitò gli
sghignazzi del gruppo di astrologi e gli procurò uno schiaffo da parte del
padre imbarazzato, preoccupato di come salvare la faccia da questa brutta
figura (e dimenticando che il figlio era un dono di Shiva).
Il ragazzo si
arrabbiò e corse a casa, dove lo accolse l’anziano servitore Purnananda che gli
asciugò le lacrime e lo consolò un poco.
Quindi mandò Sarvananda
nella giungla con un coltello a raccogliere foglie di palma sulle quali Purnananda
avrebbe poi copiato parte di alcuni testi di astrologia da insegnare al
ragazzo.
Sarvananda si
arrampicò su una palma e scaricò la sua rabbia tagliando foglie di palma.
Nel frattempo la
Natura aveva mandato un siddha, un essere etereo di altissimo ordine, a
prendersi cura di Sarvananda (Madre Natura ama Shiva, quindi è abbastanza
normale che voglia aiutare Sarvananda).
Questo siddha
assunse il corpo fisico di un asceta, creò un cobra illusorio e lo fece salire
sull’abero sul quale stava Sarvananda.
Quando il ragazzo
vide il serpente, focalizzò tutta la sua collera si di lui “Così tu vorresti
mordermi? Va bene, ma prima ti faccio a pezzetti, cosa ne dici?’, e così
dicendo tagliò il serpente in due sbattendolo contro una foglia di palma
affilata e lo gettò ai piedi dell’albero.
Il siddha era
seduto proprio là sotto e quando sentì cadere sui suoi capelli il sangue e i
pezzi del cobra morto urlò “Ehi, cosa succede? Vieni subito giù!”.
Sarvananda scese
timoroso pensando di essere sgridato o picchiato, ma il siddha si strofinò semplicemente
i capelli e disse “So tutto, ragazzo mio, e sono qui per aiutarti”.
Usando il sangue
del serpente, scrisse in dettaglio il tipo di Shava Sadhana (rituale nel
quale si utilizza un cadavere) che avrebbe compiaciuto Madre Kali se fosse
stato propriamente eseguito.
Quindi Sarvananda
tornò da Purnananda e gli raccontò l’accaduto.
L’anziano allora lesse
i dettagli e gli disse “Questo rituale deve essere fatto in una notte di luna
nuova, che è stanotte. Andiamo allo smashan (campo crematorio), mi
uccidi, siedi sul mio cadavere e compi il rituale. Quando Kali verrà da te e ti
chiederà cosa desideri, tu chiedile di farmi resuscitare e fare quello che dico”.
Giunti allo
smashan, Sarvananda tagliò la gola a Purnananda, sedette sul suo cadavere ed
iniziò a ripetere il mantra che gli era stato insegnato.
Dopo alcune
ripetizioni Kali apparve, chiese al ragazzo cosa desiderasse e lui Le rispose
come Purnananda lo aveva istruito.
Kali quindi resuscitò
Purnananda e chiese “Che cosa volete voi due?”.
Purnananda rispose “”Tutti
i cosiddetti grandi astrologi hanno preso in giro il mio ragazzo perché ha
detto che questa notte era luna piena: mantieni l’onore del mio ragazzo”.
Kali sorrise e
dall’unghia del suo dito mignolo emerse una palla di luce così luminosa che per
migliaia di chilometri sembrava una luna piena; e quando gli astrologhi di
corte la videro, rimasero stupefatti.
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