Il campo crematorio del Manikarnika Ghat a Varanasi in una foto del 1922 |
Secondo la versione induista della teoria della reincarnazione,
quando il corpo muore l’anima deve cercare di dimenticare il più in fretta
possibile l’esistenza appena terminata e trovare un nuovo corpo, in base al
bilanciamento dei suoi karma positivi e negativi.
Questo è il motivo teologico per cui gli induisti quando
muoiono si fanno cremare, attraverso il rito dell’antyesti, che viene
solitamente eseguito entro 24 ore, 48 al massimo, dal decesso, proprio per
aiutare l’anima a dimenticare la vita passata.
Sebbene oggigiorno siano sempre più diffusi, soprattutto
nelle grandi città, forni crematori elettrici o a gas, sono ancora numerosi ed
attivi i campi crematori tradizionali, chiamati in hindi dal sanscrito smashan,
dove i cadaveri vengono bruciati all’aperto su pire di legna.
Essendo spesso situati vicino a fiumi e corsi d’acqua, come
vedremo elemento molto importante durante i rituali, vengono anche chiamati
ghat crematori (smashan ghat), in quanto si trovano nei pressi dei
gradini per le abluzioni.
In ogni caso i campi crematori sono quasi sempre situati
nella zona meridionale dei centri abitati, poiché il sud è la direzione della
morte e si vorrebbe evitare che questa, quando si reca ad appropriarsi dei
deceduti, debba attraversare una città, col rischio di seminare ulteriore
distruzione al suo passaggio.
Sempre per questo motivo le pire vengono costruite in modo
da posizionare i piedi verso sud e la testa a nord, anche se, escluse vaghe
teorie personali, ci sfugge il motivo specifico per cui sia preferibile che la
morte si appropri di un corpo iniziando dai piedi piuttosto che dalla testa.
Comunque, a prescindere da dove ci si trovi, grazie a
questo particolare, le pire possono essere usate anche come pratiche e precise
bussole.
I dettagli dei rituali funebri possono essere molto
differenti per vari motivi, a partire da quello geografico, con tradizioni che
possono variare da regione a regione, fino a quelli legati all’identità del
defunto, quali sesso, età, casta ed altri ancora.
In realtà questi ultimi al giorno d’oggi dipendono
essenzialmente dalle condizioni economiche della famiglia del deceduto: con
maggiori disponibilità verrà acquistata più legna, i rituali saranno più
complessi e maggiori gli articoli per le offerte da aggiungere alla pira.
All’estremo opposto si trovano invece i cadaveri non
reclamati che vengono portati al campo crematorio da svogliati poliziotti, che
li affidano agli addetti alle cremazioni, i quali preparano delle piccole pire
con legna di recupero.
Proprio per questo motivo, prima di preparare ciascuna
pira, è tradizione prelevare cinque pezzi di legna da tenere per queste
situazioni d’emergenza.
Almeno ciò è quanto avviene nel campo crematorio di
Harichandra Ghat a Varanasi, dove abbiamo appreso i suddeti dettagli e gli altri
che descriveremo.
Prima però, come ultima premessa, bisogna ricordare che
esistono alcune categorie di persone per le quali non è prevista la cremazione,
ma vengono sepolte o immerse nei fiumi.
Tradizionalmente sono tre: i bambini, poiché, essendo ancora
puri, non hanno bisogno che i loro karma negativi vengano bruciati dal fuoco
della pira, in maniera simile a quello che avviene nella cultura cristiana dove
le bare dei bambini sono bianche.
Di solito, una volta portati al ghat crematorio, vengono legati
a delle grandi lastre di pietra, issati su una barca, quindi, giunti nel mezzo
del fiume, vengono lasciati scivolare nell’acqua.
Per lo stesso motivo anche le donne incinta non vengono
cremate, poiché portano in grembo una creatura pura.
La terza categoria di persone per cui non è prevista la
tipica cremazione indù è quella degli asceti, in quanto si considera che questi
siano già morti quando hanno fatto il voto di lasciare la vita mondana per
andare alla ricerca di Dio.
Una volta accertato clinicamente il decesso, viene
convocato il bramino di famiglia che inizia a soprassedere alle successive
operazioni ritualistiche.
Prima di tutto il corpo viene spogliato, lavato ed avvolto
in teli bianchi, essendo il bianco, per gli indù, il colore legato al lutto.
Come eccezione, le donne sposate il cui marito è ancora in
vita vengono avvolte in tessuti rossi, il colore per eccellenza del vincolo
matrimoniale.
Quindi il corpo viene legato ad una rudimentale barella di
bambù, simile ad una corta scala a pioli, e portato al campo crematorio.
Seppur sia chiaramente consentito il trasporto con mezzi a
motore, nei tratti percorsi a piedi, soprattutto l’ultimo fino all’area delle
cremazioni, è tradizione che uno dei componenti del corteo reciti continuamente
una breve frase che viene ripetuta dagli altri “Sri Rama nam, satya hai” (Il
nome di Rama è la verità).
In questo caso però, con Rama non viene intesa la divinità
settima incarnazione di Vishnu, bensì il Dio Assoluto, l’Uno, dando alla frase
un senso, se non addirittura ironico, senz’altro consolatorio: non
addoloriamoci delle nostre miserie mortali, il nome di Dio è l’unica cosa vera
e certa.
Altro particolare: il corteo ed il gruppo di parenti e
conoscenti che partecipano al funerale sono tutti rigorosamente maschi, in
quanto si teme che le donne possano piangere, fatto considerato di estremo
malaugurio per il defunto.
Giunti al ghat crematorio, il corpo viene immerso nel
fiume, ancora attaccato alla barella di bambù, quindi lasciato a sgocciolare
per qualche minuto sulla riva, mentre nel frattempo il parente più prossimo al
deceduto, colui che eseguirà il rituale, si spoglia dei vestiti, compie alcune
abluzioni, viene avvolto in teli bianchi e rasato.
Gli altri parenti terminano invece le contrattazioni con
gli addetti alle cremazioni, i quali iniziano a preparare la pira, seguendo un
metodo piuttosto semplice ed efficente: prima, con i pezzi di legno più grandi,
formano due “binari” lunghi circa un paio di metri e distanti uno, quindi
aggiungono il resto della legna alternandola perpendicolarmente e parallelamente.
Preparata la pira, il cadavere, slegato dalla portantina,
vi viene appoggiato sopra, quindi si procede a versare le offerte.
Principalmente queste sono composte da: legno di sandalo,
sotto forma di polvere, trucioli e cilindretti; ghee, burro
chiarificato; e polvere di kapoor, canfora.
A parte l’aspetto religioso-ritualistico, questo passaggio,
come la cremazione stessa, ha anche notevoli funzioni pratiche visto che i tre
suddetti ingredienti sono utili sia per dare alla pira un aroma gradevole sia
per favorire la combustione.
La fase dell’accensione della pira è piuttosto importante e
non semplicissima, sia per la giustificabile inesperienza di colui che la
esegue, sia per eventuali difficoltà climatico-ambientali.
Uno degli addetti si reca presso un tempio, situato poco
lontano, dove è conservato un fuoco sacro sempre acceso, e dal quale, con dei
pezzi di legno, preleva un tizzone che porta presso alla pira.
Qui, il parente preposto al rituale tiene in mano un fascio
di paglia nel quale viene messo il tizzone, quindi inizia a compiere tre
deambulazioni della pira, in rigoroso senso orario, al termine della quali
introdurrà il fascio di paglia, a quel punto in fiamme, nell’apertura situata
ai piedi della pira.
Quindi viene aggiunta altra paglia e con un minimo di
attenzione da parte di addetti e familiari la pira inizia a prendere fuoco.
Di solito il tempo necessario è di circa due-tre ore, in
base a vari fattori: la quantità di legna, il vento, l’umidità e non ultimo la
cura degli addetti, che quando sono ben remuniti partecipano attivamente
utilizzando i lunghi pali di bambù che formavano la portantina sulla quale era
stato trasportato il cadavere.
Poco prima che il corpo venga completamente carbonizzato,
il parente preposto, con l’aiuto di uno degli addetti, prende due pezzetti di
legno, di solito i “pioli” della barella, preleva un pezzo di ossa rimaste,
quasi sempre del bacino che sono le più spesse, quindi si avvicina alla riva
del fiume e getta il tutto nell’acqua.
Come ultimo passaggio bisogna spegnere la pira, utilizzando
una giara di terracotta che viene passata attraverso una piccola catena umana
dal fiume alla pira, dove, il parente preposto al rito versa l’acqua su quanto
è rimasto della pira facendola passare sulla sua mano destra.
Una volta che il fuoco è spento, si posiziona con le spalle
alla pira ed al fiume, gli viene data un’ultima giara piena d’acqua, che si
porta sopra alla spalla e quindi la lascia cadere all’indietro, solitamente
facendola spaccare.
Ora il rituale è definitivamente concluso, senza voltarsi
indietro, il parente preposto si allontana in fretta seguito da tutti gli
altri.
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