Il termine tantra definisce un insieme di discipline
spirituali tipiche delle religioni asiatiche, quali induismo, buddismo e
jainismo.
Nell’induismo la filosofia tantrica è contenuta in alcuni
manuali, chiamati anch’essi tantra, composti prevalentemente in epoca
medioevale.
La caratteristica peculiare del tantrismo indù, che lo
distingue e in parte contrappone alla più diffusa filosofia induista vedanta, è
l’accettazione del mondo come reale.
Come tutti i sistemi spirituali che formano l’induismo,
anche il tantra segue il principio del velo di Maya, cioè che il mondo è
un’illusione, ma piuttosto che negarla cerca invece di utilizzarla come mezzo
reale per ampliare il campo delle percezioni e la conoscenza dell’individuo.
Generalmente il tantra indù viene diviso in due categorie,
seppur tale distinzione abbia un valore più accademico e pratico che non
filosofico.
Il dakshinachara, il percorso della mano destra,
segue le dottrine tantriche ortodosse, mentre il vamachara (detto anche vamamarg),
il percorso della mano sinistra, segue pratiche eterodosse.
Nella cultura indù la mano destra viene utilizzata per le
azioni auspiciose, quali mangiare e porgere offerte alle divinità, mentre la
sinistra, infausta, si occupa di azioni “impure”, quali pulire gli orifizi corporei
o uccidere gli animali.
Tra le scuole o sette che fanno parte del percorso della
mano sinstra vi è l’aghora, sicuramente la setta più estrema tra le numerose
che formano l’induismo.
Etimologicamente significa non-terrifico (da a,
alpha privativo e ghora, terrifico), in quanto, per i praticanti di
questa disciplina, nulla è inauspicioso, trasformando invece le esperienze più
terrificanti in mezzi per accumulare energia psichica che gli permetta di
proseguire nel percorso verso una più profonda conoscenza.
Il velo di Maya (il mondo reale illusorio) viene quindi
considerato semplicemente un’espressione dell’energia universale Shakti e
dell’energia individuale Kundalini, il controllo delle quali permette al
praticante di raggiungere la purificazione dell’ego e quindi l’unione
dell’anima individuale con quella universale.
Una delle caratteristiche peculiari del percorso aghora,
che lo rende alquanto misterioso, è l’assenza di un vero e proprio corpus di
testi, ma la sua conoscenza viene tramandata oralmente da maestro a discepoli.
Oltre che per salvaguardare le proprie tradizioni, questo è
dovuto anche all’effettiva difficoltà nell’esprimere concetti che possono
essere assimilati solo tramite l’esperienza diretta.
In particolare nell’aghora nulla viene considerato infausto
e questo ha portato a compiere rituali che possono comprendere il consumo di
carne, alcool, droghe e sesso (già ben note nel tantrismo), fino a pratiche
ancora più estreme quali coprofagia, necrofilia, automutilazioni e
cannibalismo.
Chiaramente questi rituali non vengono effettuati
quotidianamente come le comuni pooja (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/02/pooja.html)
poiché non si tratta di semplici perversioni od appagamenti del corpo, e
richiedono una notevole preparazione psico-fisica per aiutare il praticante ad
ampliare il campo delle percezioni ed offrirgli una maggiore consapevolezza del
mondo che lo circonda.
Ad esempio, mangiare le proprie feci come puro atto d’amore
verso una creazione di Dio, richiede indubbiamente una forza mentale accumulabile
solo dopo lunghe pratiche.
D’altronde le feci non sono altro che il risultato della
trasformazione del cibo attraverso il nostro corpo, perché le troviamo tanto
disgustose?
Altra caratteristica tipica del percorso aghora è la
completa accettazione della morte che viene divinizzata con la dea Kali o una
delle sue manifestazioni terrifiche, quali ad esempio Tara, Chinnamasta e
Chamunda.
La morte stessa è infatti un altro dei numerosi aspetti di
Maya e non viene vista in contrapposizione alla vita, bensì come complementare
ad essa.
“Per conoscere la vita bisogna conoscere la morte e per
fare questo i luoghi più adatti sono i cimiteri e i campi crematori”, questo è
quanto viene riportato dal Dr. Svoboda nel suo libro “Aghora, alla sinistra di
Dio”, parte di una trilogia dove viene narrato il suo decennale rapporto con
l’aghori Vimalananda.
I campi crematori sono difatti i luoghi preferiti dai
praticanti dell’aghora, per vari motivi, non ultimo quello di reperire il
materiale per i loro rituali, ma soprattutto proprio per la forte presenza di
un’energia che, se dominata, può essere trasformata in un utile mezzo per
ampliare la consapevolezza dell’individuo.
Il pericolo di un percorso estremo come l’aghora è lo
stesso di tutte le tradizioni spirituali: quello di compiacersi del proprio
successo e di perdere il controllo dell’ego.
Per questo al giorno d’oggi i praticanti aghori sono visti
con sospetto, dato che spesso le loro supposte capacità vengono utilizzate per
scopi tutt’altro che spirituali.
I rituali che prevedono l’uso di ossa, umane o animali, furono
concepiti per mettersi in contatto con gli spiriti ed aiutarli a migliorare la
loro condizione, invece vengono quasi sempre usati per scopi ben più egoistici
e le pratiche tantriche-aghora sono spesso considerate magia nera, se non
addirittura satanismo.
In effetti esistono numerosi manuali tantrici (per citare
alcuni dei più noti: Mantramahodadhi, Sarada-Tilaka e Damara Tantra) composti
da lunghi elenchi di rituali per scopi decisamente materiali, quali controllare
i pensieri delle persone o uccidere nemici, che rappresentano una perversione
di quelli che sarebbero i principi che regolano tali pratiche.
Addirittura, perfino al giorno d’oggi, non è così raro
leggere sui giornali indiani di bambini rapiti e sacrificati da praticanti
tantrici, solitamente sedicenti aghori, che con questi rituali cercano di dare
prole a coppie senza figli.
Uccidendo bambini, i quali hanno un’anima ancora poco
sviluppata, si cerca quindi di trasferirla nel grembo della donna sterile per
permetterle di dare alla luce un figlio; questo secondo i principi aghora
s’intende.
Per fortuna comunque, nella maggior parte dei casi, i
responsabili vengono arrestati, come successe alcuni anni fa persino ad un
politico del sud dell’India, accusato di aver partecipato ad un tal crimine.
Nonostante questo, per le loro notoriamente durissime
pratiche ascetiche, i pur rari veri praticanti aghori sono tenuti in grande
considerazione, non solo dalla masse più credulone e superstiziose, ma anche da
persone di maggior cultura, che probabilmente vedono in questi personaggi gli
ultimi residui di un’antica spiritualità libera dai superflui tabù
cultural-religioso di cui oggigiorno l’induismo potrebbe, ma forse anche
dovrebbe, fare a meno.
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