Un sitar |
Gli strumenti tipici della musica classica indostana del
nord dell’India sono circa una dozzina, divisi in strumenti a corde, a fiato e
percussioni, ai quali si è aggiunto, dalla seconda metà del XIX secolo,
l’armonio, strumento a tastiera introdotto dai missionari europei.
Secondo le idee musicali indiane, l’importanza di uno
strumento dipende essenzialmente da quanto esso riesca ad avvicinarsi alla voce
umana, considerata anticamente l’archetipo di ogni strumento musicale.
In questo articolo tratteremo dei più rappresentativi di
cui ben 6 a corde, 2 a fiato, 3 percussioni, 1 a tastiera e, per ultimo, la
voce umana.
Lo strumento più noto della musica classica indostana è
sicuramente il sitar.
Esso si sviluppò durante la dominazione Moghul (circa dal
XV al XVIII secolo) come evoluzione del più antico veena e di un altro strumento a corde di origine persiana chiamato setar, il cui significato è tre corde, e
dal quale è derivato il nome dello strumento indiano.
Al giorno d’oggi esistono due tipi principali di sitar,
oltre a numerosi sotto-tipi, che differiscono essenzialmente nelle decorazioni
e nei materiali, ma le caratteristiche principali sono pressoché identiche.
In genere è composto da una ventina di corde (tra le 20 e
le 23), montate su un lungo corpo di legno di teak stagionato, munito di
numerosi tasti e piroli, ed una voluminosa cassa armonica ricavata da una
zucca vuota situata alla base; talvolta è presenta una seconda cassa armonica
più piccola, sempre di zucca, nella parte superiore.
Il suono, molto caratteristico, viene ricavato pizzicando
le corde con un plettro e modulando il suono con due dita, l’indice e il medio.
Altro importante strumento a corde è il veena, l’antenato del sitar, al quale
assomiglia molto sia nelle forme che nel suono.
Le differenze riguardano il minor numero di corde, in
genere 7 nel veena, e dal possedere due grandi casse armoniche di zucca a
entrambi gli estremi dello strumento; la lunghezza del corpo della veena, con i
suoi 150 cm circa, è invece molto simile a quella del sitar.
Tra i vari tipi di veena, quello maggiormente utilizzato
nella musica classica indostana è il rudra
veena, seppur oggigiorno lo strumento stia subendo una leggera crisi dovuta
all’evoluzione del più comodo sitar che permette di suonare più agilmente toni
musicali che precedentemente erano appannaggio esclusivo del veena.
Il sarod, seppur
a prima vista possa ricordare i due strumenti appena descritti, ha una
differente origine, fatta risalire al rubab
afghano e produce un suono più profondo e greve, rispetto a quello dolce e
vibrato di sitar e veena.
Come i suoi due parenti, anche il sarod è uno strumento
piuttosto voluminoso, composto da una cassa armonica di legno, ricoperta con
pelle di capra, un lungo corpo sul quale sono montate dalle 20 alle 25 corde, e
una seconda cassa armonica di metallo montata quasi sulla cima del manico,
munito di vari piroli
I tipi principali di sarod sono tre ma le differenze sono
molto sottili e pressoché indistinguibili ad occhi ed orecchie inesperti.
Sempre tra gli strumenti a corde, importante ruolo è quello
coperto dal tanpura, chiamato
variamente anche tambura, tamboura o taanpura.
Seppur possa ricordare i tre strumenti già citati, viene di
solito suonato come accompagnamento a sitar, veena e sarod, e non segue la
parte melodica della musica ma la sostiene ed arricchisce con un’armonia basata
su specifici toni o note.
La tanpura è composta da una cassa armonica di zucca (come
sitar e veena di solito della specie lagenaria
siceraria) e un corpo cavo, lungo circa 150 cm, al quale sono collegate 4 o
5 corde, che sono pizzicate una dopo l’altra, secondo pattern ben definiti, per
creare la base armonica.
Dato il numero ristretto di corde, minori sono anche i
piroli presenti sul manico.
Il sarangi invece
si distingue chiaramente dagli strumenti a corde citati finora poiché viene
suonato tramite un archetto, ricordando molto da vicino il violino.
Creato da un singolo pezzo di legno, di solito cedro rosso,
la struttura del sarangi, vagamente a scatola, è divisa in tre camere acustiche
chiamate, curiosamente, pancia, petto e cervello.
Il numero di corde supera le 30 quindi vi sono anche
numerosi tasti e piroli, e grazie a questi accorgimenti tecnici il sarangi
viene considerato lo strumento più versatile e più complesso della musica
classica indiana.
In genere viene suonato come strumento principale, ma è
anche apprezzato accompagnatore di pezzi vocali, con i quali condivide gran
parte del repertorio.
Una versione più semplice di sarangi, in bambù e con sole
4-5 corde, è considerato strumento tradizionale in Nepal, ma il suo repertorio
nepalese, diversamente da quello indiano che proviene dalla musica classica, è
basato sulla musica popolare.
Un ultimo strumento a corde utilizzato ampiamente nella
musica classica indiana è il santoor,
anticamente originario della Persia e nativo del Kashmir nella sua versione
indiana.
Costruito di solito in legno di noce, il santoor è composto
da un corpo a forma di trapezio, alto circa 15-20cm, che funge da cassa
armonica e sul quale sono montate numerosissime corde, oltre 70, raggruppate in
gruppi di 3-4, la cui tensione è regolabile grazie ad una trentina di piroli.
Appoggiato sulle cosce del musicista seduto a gambe
incrociate, viene suonato con due piccole bacchette con le quali si colpiscono
delicatamente le sensibilissime corde.
Risulta essere quindi uno strumento dalle numerosissime
tonalità e il cui suono può essere ulteriormente modificato utilizzando i palmi
delle mani.
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