mercoledì 27 aprile 2016

Verdure indiane, II parte

Un gradito ortaggio originario del subcontinente indiano e presente costantemente sul mercato con numerose forme è la melanzana.
Le più diffuse sono quelle allungate ma anche quelle grandi rotonde sono molto comuni, mentre più rare sono quelle piccole rotonde.
A queste varietà va aggiunta la specie di colore bianco, cui si deve il curioso nome inglese delle melanzane, eggplant (pianta delle uova), considerato sinonimo di aubergine.
La forma di queste piccole melanzane bianche in realtà è allungata, simile a quelle viola, ma durante la crescita è facile immaginare come la pianta possa sembrare produrre effettivamente tante piccole uova.
Per quanto riguarda il gusto, sia quelle viola, ma ancor di più quelle bianche, ne hanno molto poco e difficilmente arrivano ad avere quel sapore forte e pungente, piuttosto apprezzato in cucina, di cui sono provviste spesso le melanzane italiane.
Ultimo particolare, di natura linguistica, come il colore rosa chiaro viene detto in hindi pyaji, da pyaj cipolla, il viola scuro, baigani, prende il nome dalle melanzane, chiamate baigan.

I peperoni in India sono reperibili in tre varietà: i più comuni tondeggianti verdi, lunghi verdi e lunghi rossi; la loro produzione non è elevatissima ma, quando di stagione, sono piuttosto apprezzati.
I peperoncini piccanti invece sono presenti costantemente in grandi quantità sia nella nota forma allungata, sia in una tondeggiante, più potente ma anche più saporita.

Un ortaggio estremamente diffuso nella cucina indiana è la zucca, piuttosto versatile negli stufati di verdure e presente in diverse varietà, sia del genere cucurbita, molto comune anche in europa, sia con specie del genere lagenaria ed altre ancora.
La più versatile è la lagenaria longissima, chiamata in italiano zucca da pergola (in hindi lokhi), dotata di una buccia liscia verde chiaro e lunga di solito oltre i 50 cm fino a circa un metro.
Sia la buccia che la polpa, di colore bianco, sono più morbide delle zucche cucurbita ed il sapore, piuttosto leggero e dolce, si presta molto bene a curry di patate, di ceci e quelli di verdure miste.
Secondo la brevissima voce italiana di Wikipedia è comune anche nel sud Italia, di cui siamo colpevolmente poco esperti, e trova vari impieghi nella cucina del Cilento ed in quella napoletana; conoscendo l’ortaggio e le capacità culinarie italiane, non dubitiamo vengano prodotte ottime pietanze.
Oltre alla forma allungata, sui mercati  indiani si trovano spesso anche di forma rotonda della specie lagenaria sicaria, i cui frutti sono chiamati in italiano zucche a fiasco, per la loro forma e il loro utilizzo come recipienti.
Sono anche apprezzatissime, sia in India che in Africa, come casse armoniche di numerosi strumenti, soprattutto a corde, tra cui gli indiani sitar, veena, tanpura e surbahar.
Tradizionalmente nel subcontinente indiano, quelle dalla forma simile a due bocce una sopra all’altra erano usate anche dagli asceti per produrre delle ciotole per l’elemosina e il dio Shiva stesso viene spesso ritratto con uno di questi contenitori.
In sud-america è nota invece per essere utilizzata come recipiente per il consumo dell’erba mate.

Altra zucca sporadicamente presente sui mercati è il cosidetto melone invernale, dal nome inglese; piccola, rotonda e verde scuro, fa parte della sottotribù benincasinae, come anche la tinda, nome indiano di una zucca piccola e verde chiaro, chiamata zucca rotonda indiana, o zucca mela.
Piuttosto comune è  il chayote, frutto della pianta cucurbitacea sechium edule, che per la forma viene chiamata in inglese pera zucca o pera verdura, mentre in italiano si dà più importanza alla caratteristica di alcuni frutti di possedere delle escrescenze aghiformi e viene chiamata zucca centenaria oppure zucchina, o patata, o melanzana spinosa.
Liguisticamente, comunque, il nome più corretto, assieme all’originale spagnolo chayote, è quello derivato dal genere, cioè sechio.
Per finire l’argomento zucche, citiamo il kundru, nome indiano del frutto della pianta coccinia grandis, che tra le cucurbitaceae indiane è quella che più di tutte assomiglia, seppur solo vagamente, alla zucchina.

Un ortaggio che trova un clima favorevole, sebbene sia originario dell’Africa, è il gombo, nome del frutto giovane della pianta abelmoschus esculentus, chiamato in inglese okra, o lady’sfinger, e in hindi, bindi.
I gombi sono lunghi circa 10-15 cm, conici, da cui il nome inglese “dita di donna”, ed hanno un’originale forma ottagonale.
La buccia verde è leggermente setolosa ma sottile e commestibile, e la polpa all’interno ricca di semi, anch’essi edibili.
Di solito i gombi vengono cucinati saltati in padella, da soli o insieme a cipolle e patate, piuttosto che essere utilizzati nei classici stufati misti.
Saltandoli in padella, dai semi del gombo viene prodotta una sostanza viscida, che seppur a prima vista possa sembrare poco gradevole, in realtà si asciuga durante la cottura (15-20 minuti) ed ha anche la non comune proprietà di lubrificare l’ugola, quindi il suo consumo può essere sorprendentemente efficace nel migliorare le prestazioni canore.
I gombi possiedono molti elementi importanti per la nutrizione umana, grazie ai quali sono considerati un alimento particolarmente sano: numerose fibre, alta concentrazione di vitamina C, sodio, potassio, antiossidanti e sono privi di colesterolo e grassi.
A tutto questo bisogna aggiungere che il gombo ha un sapore decisamente gradevole, che ricorda vagamente zucchini e asparagi, e forse anche il cuore dei carciofi, tre apprezzabili ortaggi che purtroppo in India sono assenti.

Nella scala dei sapori, dalla parte opposta rispetto al gombo, si trova un prodotto originario dell’India che a causa del suo noto retrogusto amaro è considerato il terrore dei bambini, e anche di qualche adulto: la karela, nome hindi del frutto della pianta momordica charantia, chiamata in inglese, non a caso, melone amaro o zucca amara (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2016/02/le-karela.html).
La forma del fenotipo indiano è oblunga, sui 10-15 cm di lunghezza e all’esterno si presenta tendenzialmente di un piacevole colore verde vivo e ricoperta di piccole escrescenze simili a grandi brigole, mentre l’interno è composto da una sostanza bianca spugnosa, che ricorda l’albedo della buccia degli agrumi, dove sono incastrati alcuni grossi semi.
Per essere cucinata, la karela viene tagliata a fettine e tutta la parte bianca interna e i semi vengono rimossi, per cui rimangono dei dischetti composti essenzialmente dalla parte bitorzoluta esterna.
Di solito qualche sottile fettina di karela viene aggiunta ai misti di verdure, per nascondere il loro gusto amaro ed esaltare quello degli altri ortaggi, oppure vengono saltate/fritte in padella, con un po’ di sale e peperoncino, e sono un ottimo accompagnamento all’accoppiata riso-dal (brodo di lenticchie).
Nonostante il suo gusto amaro, comunque tollerabile, non sia apprezzato da tutti, il consumo di karela è comune, non solo per il basso costo, ma poiché è riconosciuto possedere numerose proprietà benefiche per l’organismo umano.

Simile al karela, ma più raro sul mercato, è il frutto della pianta congenere momordica dioica, chiamato in inglese zucca spinosa, per la forma delle sue tipiche protuberanze.

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