Come riportato in precedenti post sulla culinaria indiana (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/search/label/Culinaria),
la maggior parte degli indiani segue una dieta latto-vegetariana dove, oltre ai
latticini, hanno chiaramente una notevole importanza le verdure.
L’India, grazie alla vastità della sua superficie, produce
una grande quantità di ortaggi, di discreta qualità e varietà, ma a causa di
noti problemi di arretratezza, che si riflettono su lenti trasporti e sulla
carenza di sistemi di conservazione, nei mercati ortofrutticoli indiani si è
costretti a seguire alla lettera il vecchio adagio che consiglia di consumare
le verdure di stagione, poiché le altre, se presenti, sono di bassa qualità e
molto costose.
Da questo ne deriva che i prodotti in vendita tendono ad
essere piuttosto simili quindi monotoni.
Partendo dagli ortaggi più comuni presenti tutto l’anno,
iniziamo con le patate, sulle quali non vi è nulla di particolare da segnalare,
a parte il fatto che sono reperibili in due sole qualità: bianche e talvolta
rosse.
In certe periodi quelle bianche possono essere a loro volta
divise in “vecchie” e “nuove”, più piccole, con la buccia sottile appena
formata, molta terra marrone a ricoprirle e vagamente più saporite.
Nella loro umile semplicità, le patate, per ovvie ragioni
di praticità e costi, sono comunque l’ortaggio più diffuso sulle tavole indiane
e si potrebbe affermare che in molte zone, soprattutto in montagna, quasi non
si mangia altro: a colazione per farcire delle focacce calde chiamate paratha, a pranzo e cena stufate in
intingoli speziati, i noti curry, e
nel pomeriggio come snack, in particolare nel ripieno delle samosa, triangolini di pasta ripieni di
verdure e fritti.
Diffuse sono anche alcune qualità di patate dolci (ipomoea batatas), dal gusto quasi
impercettibile, quindi estremamente versatile in cucina.
I venditori ambulanti che spingono il proprio carretto
carico di patate, generalmente di qualità inferiore ma ad un prezzo migliore di
quello dei banchetti fissi, propongono anche le cipolle, dalla buccia di colore
viola chiaro e sapore non eccessivamente forte, caratteristiche che fanno
supporre si tratti in realtà di scalogno.
Apprezzatissime dagli indiani sia crude che per curry,
soffritti e ripieni vari, le cipolle, seppur reperibili tutto l’anno, sono
vincolate alle stagioni: la qualità non cambia di molto, ma i prezzi, già di
per sé non economici, talvolta salgono alle stelle ed in quei periodi, per
qualche tempo, spariscono dalle tavole.
Comune è anche l’erba cipollina, molto simile a quella
reperibile in Italia.
Continuando con ortaggi classici, i pomodori, nei mercati
del nord dell’India, sono presenti in genere con due soli tipi: tondeggianti e
ovoidali.
La qualità di entrambi è piuttosto bassa per quasi tutto
l’anno, poiché il pomodoro, data la delicatezza, è l’ortaggio che più di tutti
richiederebbe qualche particolare attenzione nella raccolta, smistamento e conservazione.
Di solito quelli tondeggianti sono coltivati in loco,
mentre quelli ovoidali provengono da serre.
Dal punto di vista della conservazione, decisamente più
comodi sono i cavolfiori e le verze, i quali, specialmente i primi, sono
reperibili quasi tutto l’anno, esclusi solo i mesi più caldi.
Sulla qualità dei cavoli c’è poco da segnalare, quando di
stagione sono “ottimi” ed a buona prezzo, mentre in estate sono costosi e non
molto invitanti; talvolta in inverno fanno la loro apprezzata comparsa anche i
broccoli.
Le verze sono molto utilizzate anche crude, a causa
dell’assenza di lattuga e altri ortaggi a foglia per insalate, a parte la
saltuaria comparsa, nei mesi più freddi, di insalata “riccia”.
L’assenza di bietole invece viene bilanciata dalla
massiccia ed apprezzata presenza degli spinaci, come anche del fienogreco
fresco e del bathua una pianta a foglie seghettate, dal sapore simile a
bietole e spinaci.
A questi bisogna aggiungere anche le foglie di numerose
altre piante (carote e rape ad esempio), utilizzate soprattutto nella cucina
casalinga, per insaporire i curry e rinforzare l’apporto di vitamine e minerali
di cui sono forniti.
Nella famiglia dei cavoli, che provengono tutti dalla
specie brassica oleracea, ricordiamo
anche il kohlrabi, termine inglese derivato dal tedesco, che significa
cavolo-rapa, dall’aspetto esteriore simile appunto ad una rapa.
In hindi viene chiamato ganth
gobhi, vagamente traducibile come cavolo annodato, e viene usato come la
verza.
Tra i tuberi, molto diffuso è il taro, il lungo
rizoma marrone della pianta colocasia
esculenta, che viene cucinato in modo simile alle patate, cui somiglia
parecchio sia nella consistenza che nel sapore.
Un altro tubero tipico del sud dell’Asia è lo yam piede
d’elefante (dal nome inglese), di medio-grandi dimensioni, tondeggiante ma
schiacciato, talvolta pieno di bitorzoli e sporco di terra.
La polpa è arancione-rosata e viene tenuto in alta
considerazione per il suo gusto leggermente più deciso di quello delle patate,
simile alla zucca; ottimo per stufati, ma anche tagliato a fette sottili e
fritto.
Tra le verdure indiane comuni anche nell’area mediterranea,
si segnalano i diffusissimi ortaggi da radice come rape, rapanelli e radici (di
solito l’asiatico daikon), dei quali vengono utilizzate anche le foglie verdi,
alla maniera degli spinaci.
Particolarmente varia è la scelta di carote presenti con
ben tre diverse cultivar dotate di distintive tonalità di colore: arancione,
rosso e nero.
Quelle arancioni, comuni tutto l’anno, sono grossomodo come
quelle europee a parte le dimensioni leggermente minori; quelle rosse, più
vincolate alle stagioni e presenti soprattutto d’inverno, hanno una polpa più
morbida ed un sapore più delicato, ottime crude; quelle nere, o forse più
precisamente viola molto scuro, oltre ad essere solo saltuariamente presenti
sul mercato, hanno la poco simpatica proprietà di perdere colore, sono
piuttosto dure e “fibrose” e con un gusto forte, quindi sono presumibilmente
più adatte ad essere cucinate piuttosto che consumate crude.
Nei banchetti che propongono insalatine fresche con le
carote tagliate a strisce è molto comune anche la barbabietola, considerata
anche un ottimo ingrediente per insaporire le zuppe.
Ma il vero principe degli ortaggi da mangiare crudi è
sicuramente il cetriolo, che nonostante subisca ovvi sbalzi stagionali è quasi
sempre reperibile.
Originario proprio del subcontinente indiano, le sue pur
scarse proprietà si sposano molto bene con il clima torrido ed è uno dei più apprezzati rifornitori di liquidi e sali minerali, tanto che viene spesso
proposto da venditori ambulanti.
Una volta pelato, il cetriolo viene tagliato
longitudinalmente per farne quattro spesse strisce e viene cosparso di kala namak (sale nero), un gustoso sale,
tipico indiano, di colore amaranto scuro da grezzo (da cui il nome kala,
nero, namak sale) ma che sbriciolato appare rosa.
Le dimensioni dei cetrioli indiani sono leggermente ridotte
rispetto a quelli dei mercati italiani e, a causa della loro velocissima
crescita, sono molto più maturi, quindi con la buccia “tigrata” di giallo-verde
e liscia, e non verde uniforme con piccole protuberanze.
Nei mesi più caldi compaiono sul mercato anche gli
interessanti “cetrioli armeni”, dal nome inglese, prodotti in realtà da una
varietà della pianta del melone, la cucumis
melo var. flexuosus.
I frutti di questa pianta, chiamati in hindi kakhri, sono lunghi da una decina ad una
quarantina di centimetri, sottili, leggermente attorcigliati e ricoperti di una
morbida buccia edibile, vagamente setolosa, con lunghe rughe longitudinali;
quindi, all’esterno, non assomigliano in alcun modo ai cetrioli.
La polpa all’interno, invece, provvista di un cuore di
piccoli semi, ha qualche somiglianza con il cetriolo, suo parente cucurbitaceo
(cucumis sativus), ed il sapore è
pressoché identico, o forse ancora migliore, grazie ad un piacevole retrogusto
d’erba di campo, soprattutto quando consumati leggermente acerbi.
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