martedì 26 aprile 2016

Verdure indiane, I parte

Come riportato in precedenti post sulla culinaria indiana (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/search/label/Culinaria), la maggior parte degli indiani segue una dieta latto-vegetariana dove, oltre ai latticini, hanno chiaramente una notevole importanza le verdure.
L’India, grazie alla vastità della sua superficie, produce una grande quantità di ortaggi, di discreta qualità e varietà, ma a causa di noti problemi di arretratezza, che si riflettono su lenti trasporti e sulla carenza di sistemi di conservazione, nei mercati ortofrutticoli indiani si è costretti a seguire alla lettera il vecchio adagio che consiglia di consumare le verdure di stagione, poiché le altre, se presenti, sono di bassa qualità e molto costose.
Da questo ne deriva che i prodotti in vendita tendono ad essere piuttosto simili quindi monotoni.

Partendo dagli ortaggi più comuni presenti tutto l’anno, iniziamo con le patate, sulle quali non vi è nulla di particolare da segnalare, a parte il fatto che sono reperibili in due sole qualità: bianche e talvolta rosse.
In certe periodi quelle bianche possono essere a loro volta divise in “vecchie” e “nuove”, più piccole, con la buccia sottile appena formata, molta terra marrone a ricoprirle e vagamente più saporite.
Nella loro umile semplicità, le patate, per ovvie ragioni di praticità e costi, sono comunque l’ortaggio più diffuso sulle tavole indiane e si potrebbe affermare che in molte zone, soprattutto in montagna, quasi non si mangia altro: a colazione per farcire delle focacce calde chiamate paratha, a pranzo e cena stufate in intingoli speziati, i noti curry, e nel pomeriggio come snack, in particolare nel ripieno delle samosa, triangolini di pasta ripieni di verdure e fritti.
Diffuse sono anche alcune qualità di patate dolci (ipomoea batatas), dal gusto quasi impercettibile, quindi estremamente versatile in cucina.

I venditori ambulanti che spingono il proprio carretto carico di patate, generalmente di qualità inferiore ma ad un prezzo migliore di quello dei banchetti fissi, propongono anche le cipolle, dalla buccia di colore viola chiaro e sapore non eccessivamente forte, caratteristiche che fanno supporre si tratti in realtà di scalogno.
Apprezzatissime dagli indiani sia crude che per curry, soffritti e ripieni vari, le cipolle, seppur reperibili tutto l’anno, sono vincolate alle stagioni: la qualità non cambia di molto, ma i prezzi, già di per sé non economici, talvolta salgono alle stelle ed in quei periodi, per qualche tempo, spariscono dalle tavole.
Comune è anche l’erba cipollina, molto simile a quella reperibile in Italia.

Continuando con ortaggi classici, i pomodori, nei mercati del nord dell’India, sono presenti in genere con due soli tipi: tondeggianti e ovoidali.
La qualità di entrambi è piuttosto bassa per quasi tutto l’anno, poiché il pomodoro, data la delicatezza, è l’ortaggio che più di tutti richiederebbe qualche particolare attenzione nella raccolta, smistamento e conservazione.
Di solito quelli tondeggianti sono coltivati in loco, mentre quelli ovoidali provengono da serre.

Dal punto di vista della conservazione, decisamente più comodi sono i cavolfiori e le verze, i quali, specialmente i primi, sono reperibili quasi tutto l’anno, esclusi solo i mesi più caldi.
Sulla qualità dei cavoli c’è poco da segnalare, quando di stagione sono “ottimi” ed a buona prezzo, mentre in estate sono costosi e non molto invitanti; talvolta in inverno fanno la loro apprezzata comparsa anche i broccoli.
Le verze sono molto utilizzate anche crude, a causa dell’assenza di lattuga e altri ortaggi a foglia per insalate, a parte la saltuaria comparsa, nei mesi più freddi, di insalata “riccia”.

L’assenza di bietole invece viene bilanciata dalla massiccia ed apprezzata presenza degli spinaci, come anche del fienogreco fresco e del bathua una pianta a foglie seghettate, dal sapore simile a bietole e spinaci.
A questi bisogna aggiungere anche le foglie di numerose altre piante (carote e rape ad esempio), utilizzate soprattutto nella cucina casalinga, per insaporire i curry e rinforzare l’apporto di vitamine e minerali di cui sono forniti.
Nella famiglia dei cavoli, che provengono tutti dalla specie brassica oleracea, ricordiamo anche il kohlrabi, termine inglese derivato dal tedesco, che significa cavolo-rapa, dall’aspetto esteriore simile appunto ad una rapa.
In hindi viene chiamato ganth gobhi, vagamente traducibile come cavolo annodato, e viene usato come la verza.

Tra i tuberi, molto diffuso è il taro, il lungo rizoma marrone della pianta colocasia esculenta, che viene cucinato in modo simile alle patate, cui somiglia parecchio sia nella consistenza che nel sapore.

Un altro tubero tipico del sud dell’Asia è lo yam piede d’elefante (dal nome inglese), di medio-grandi dimensioni, tondeggiante ma schiacciato, talvolta pieno di bitorzoli e sporco di terra.
La polpa è arancione-rosata e viene tenuto in alta considerazione per il suo gusto leggermente più deciso di quello delle patate, simile alla zucca; ottimo per stufati, ma anche tagliato a fette sottili e fritto.

Tra le verdure indiane comuni anche nell’area mediterranea, si segnalano i diffusissimi ortaggi da radice come rape, rapanelli e radici (di solito l’asiatico daikon), dei quali vengono utilizzate anche le foglie verdi, alla maniera degli spinaci.
Particolarmente varia è la scelta di carote presenti con ben tre diverse cultivar dotate di distintive tonalità di colore: arancione, rosso e nero.
Quelle arancioni, comuni tutto l’anno, sono grossomodo come quelle europee a parte le dimensioni leggermente minori; quelle rosse, più vincolate alle stagioni e presenti soprattutto d’inverno, hanno una polpa più morbida ed un sapore più delicato, ottime crude; quelle nere, o forse più precisamente viola molto scuro, oltre ad essere solo saltuariamente presenti sul mercato, hanno la poco simpatica proprietà di perdere colore, sono piuttosto dure e “fibrose” e con un gusto forte, quindi sono presumibilmente più adatte ad essere cucinate piuttosto che consumate crude.
Nei banchetti che propongono insalatine fresche con le carote tagliate a strisce è molto comune anche la barbabietola, considerata anche un ottimo ingrediente per insaporire le zuppe.

Ma il vero principe degli ortaggi da mangiare crudi è sicuramente il cetriolo, che nonostante subisca ovvi sbalzi stagionali è quasi sempre reperibile.
Originario proprio del subcontinente indiano, le sue pur scarse proprietà si sposano molto bene con il clima torrido ed è uno dei più apprezzati rifornitori di liquidi e sali minerali, tanto che viene spesso proposto da venditori ambulanti.
Una volta pelato, il cetriolo viene tagliato longitudinalmente per farne quattro spesse strisce e viene cosparso di kala namak (sale nero), un gustoso sale, tipico indiano, di colore amaranto scuro da grezzo (da cui il nome kala, nero, namak sale) ma che sbriciolato appare rosa.
Le dimensioni dei cetrioli indiani sono leggermente ridotte rispetto a quelli dei mercati italiani e, a causa della loro velocissima crescita, sono molto più maturi, quindi con la buccia “tigrata” di giallo-verde e liscia, e non verde uniforme con piccole protuberanze.

Nei mesi più caldi compaiono sul mercato anche gli interessanti “cetrioli armeni”, dal nome inglese, prodotti in realtà da una varietà della pianta del melone, la cucumis melo var. flexuosus.
I frutti di questa pianta, chiamati in hindi kakhri, sono lunghi da una decina ad una quarantina di centimetri, sottili, leggermente attorcigliati e ricoperti di una morbida buccia edibile, vagamente setolosa, con lunghe rughe longitudinali; quindi, all’esterno, non assomigliano in alcun modo ai cetrioli.

La polpa all’interno, invece, provvista di un cuore di piccoli semi, ha qualche somiglianza con il cetriolo, suo parente cucurbitaceo (cucumis sativus), ed il sapore è pressoché identico, o forse ancora migliore, grazie ad un piacevole retrogusto d’erba di campo, soprattutto quando consumati leggermente acerbi.

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