venerdì 1 luglio 2016

La canapa in India: marijuana e charas

Ganja è un termine hindi utilizzato per la cosiddetta marijuana, cioè le foglie e i germogli delle piante femmina di canapa, seccate per essere fumate.
La qualità della ganja reperibile comunemente nel nord dell’India non è particolarmente elevata poiché le piante utilizzate sono spesso quelle di pianura o collina, non molto potenti.
Generalmente è anche poco selezionata, i germogli dei fiori non sono molto rigogliosi, quindi con poco principio attivo, e possiede numerosissimi piccoli semi che per essere eliminati prima del consumo richiedono una lunga e attenta operazione di pulizia.
In parte la bassa qualità della ganja è anche dovuta alla “competizione” con la resina (charas) che viene prodotta dalle rigogliose piante che crescono sulla montagne himalayane.
Nel sud dell’India invece, dove non viene prodotta la charas, spesso le piante per la ganja sono selezionate, producendo della marijuana decisamente migliore di quella del nord, spesso consumata anche sotto forma di olio.
La scarsa qualità comunque è in parte dovuta anche al clima, in India molto caldo e asciutto, che tende a seccare eccessivamente la ganja che perde velocemente gran parte del suo aroma e dei suoi principi.
Nonostante questo la ganja, come controparte dell’alcohol dei paesi occidentali, è da sempre consumata con disinvoltura, solitamente in piccoli chilum di terracotta, semplici pipe coniche, munite all’interno di una pietra, e dal prezzo irrisorio.
Il tabacco migliore da mischiare con la ganja con cui riempire i chilum non è quello delle sigarette, bensì quello delle bidi (le tipiche sigarette indiane costituite da un involucro di foglia), il cui tabacco è composto prevalentemente da sottili scagliette.
I santoni indù, noti consumatori di ganja, spesso utilizzano la foglia secca, involucro della bidi, che rimane una volta svuotata del tabacco, per accendere la pipa, dando fuoco alla foglia e pressandola sulla cima del braciere, senza dover quindi inalare lo zolfo dei fiammiferi.
Un altro interessante sistema di accensione, tipico di alcuni santoni, prevede di creare un piccolo gomitolo con i peli delle noci di cocco, il quale, come la foglia della bidi, viene bruciato e appoggiato sopra al bracere.
Entrambi i sistemi offrono, per le prime tirate, un ulteriore aroma che arricchisce quello della ganja.

Al contrario del bhang, seppur l’uso di ganja sia diffusissimo e tollerato, soprattutto per santoni e asceti che possono fumarla impunemente, la ganja è ufficialmente illegale.
Nonostante questo, un suo uso “discreto” è ampiamente tollerato e i rari casi che appaiono sul giornale di arresti per possesso di ganja riguardano sempre ingenti quantità, da qualche chilo a camion interi.
Nella città di Varanasi esistono addirittura delle “rivendite fisse”, che consistono in loschi ma inoffensivi personaggi i quali stazionano, in luoghi ben stabiliti, con un sacchetto di plastica pieno di confezioni pronte, avvolte in carta di giornale, di due dimensioni: da circa un grammo, per 1-2 chilum, e da circa 3-4 grammi.
I prezzi sono modesti e se la possono permettere in molti, tanto che tra i consumatori più assidui si segnalano i guidatori di ciclorisciò.
Uno di questi punti vendita è situato notoriamente in una zona molto trafficata, vicino a due rari negozi di alcolici, e le operazioni di vendita e acquisto avvengono talmente alla luce del sole che si dubiterebbe si tratti di una attività illegale.
C’è capitato addirittura di vedere dei poliziotti in uniforme comprarsi il loro pacchetto, oltretutto chiedendo e  ottenendo uno sconto...

La charas è una sostanza composta dalla resina della canapa, estratta semplicemente attraverso lo sfregamento dei palmi delle mani sui germogli in fiore e raschiando successivamente dai palmi la resina che vi rimane attaccata.
Grazie alle rigogliose piante che crescono sulle montagne himalayane, la charas è considerata uno dei più apprezzati tipi di hashish, soprattutto per i forti effetti psicoattivi dovuti alle alte percentuali di THC.
Come la ganja, la charas viene fumata dentro a chilum di terracotta ma preferibilmente più spessi e più lunghi, almeno 15-20 centimetri, a causa del fatto che la resina brucia più lentamente delle foglie ed i piccoli chilum di terracotta grezza diventerebbero troppo caldi.
Anche la charas è illegale ma la tolleranza verso il suo consumo è decisamente bassa e si possono avere seri problemi anche se trovati in possesso di quantità poco più che esigue.
In realtà non esiste nessun particolare accanimento e le perquisizioni dettagliate e mirate in India sono rarissime, esclusi i confini delle zone di produzione; la sua diffusione però viene meno tollerata per il fatto che dato i leggermente più complessi sistemi di preparazione, essa rappresenti un vero e proprio business, peraltro molto remunerativo.
Business nel quale, stranamente per i parametri indiani, un grande ruolo viene svolto da stranieri, in particolare, ma non solo, di paesi occidentali, che in molte zone, come la nota area di Manali, nella Valle di Kullu, sono coinvolti in pressoché tutte le operazioni: coltivazione, raccolta e distribuzione.

Sul quotidiano The Times of India di qualche anno fa, un’intera pagina era dedicata all’argomento charas, nella sezione Dance of Democracy, che riguardava le elezioni in Himachal Pradesh, dove si trova appunto l’area di Manali ed altre importanti zone di coltivazione della canapa migliore per la produzione della charas.
Nonostante l’illegalità e piccoli sforzi da parte del governo centrale di Delhi per diminuire il sempre crescente consumo, pare che non esista nessuna intenzione politica neppure per affrontare l’argomento e i politici dell’Himachal Predesh, a prescindere dallo schieramento politico, molto salomonicamente si rifiutano di usarlo a fini elettorali.
Lo stato infatti si regge essenzialmente sul turismo, indiano ed internazionale, di cui una notevole percentuale è attirata dalla possibilità di gustare in tranquillità uno dei fumi più apprezzati al mondo, e qualunque tipo di effettivo bando farebbe crollare inesorabilmente l’industria turistica e quindi l’economia dello stato.
Tra le montagne, oltretutto, sono migliaia le persone locali che traggono profitto, direttamente o indirettamente, dalla coltivazione della canapa e dalla produzione della charas, senza la quale anche loro subirebbero delle enormi perdite economiche che difficilmente potrebbero essere bilanciate da fonti alternative, come la coltivazione delle mele.

I cosiddetti problemi sociali sono relativi e nonostante il tono leggermente critico di alcuni articoli, trapelava anche evidente che gli abitanti locali sono in realtà ben contenti di questa situazione che porta comunque benessere (e buonumore) in zone di montagna dal clima piuttosto difficile.
Un articolo dal titolo allarmistico e poco imparziale “Gli abitanti danno la colpa agli stranieri per i problemi di Kullu” (la città capoluogo di quella zona), segnalava sì le lamentele di un anziano scrittore locale, ma riportava anche che gli abitanti dei villaggi dove si produce la charas sono i primi ad accogliere a braccia aperte gli stranieri, grazie alla loro riconosciuta onestà, in media superiore a quella degli indiani per quanto riguarda gli affari e alle loro maggiori risorse economiche.
La polizia locale, seppur pare che recentemente abbia deciso di porre qualche limite provando a ridurre la diffusa pratica, effettivamente poco piacevole, di fumare charas apertamente in luoghi pubblici, ha delle risorse a dir poco limitate, anzi decisamente insufficienti, e seppur ogni hanno riescano a distruggere numerose coltivazioni, queste rappresentano solo delle gocce nell’oceano.

Con questo argomento, ai limiti della legalità, speriamo di non aver scandalizzato nessuno, tenendo anche presente che noi italiani, secondo recenti studi internazionali, siamo i primi consumatori mondiali di cannabis a scopo ricreativo, insieme alla Nuova Zelanda, con percentuali di fumatori abituali che tra gli uomini compresi tra i 15 e i 60 anni raggiungono ben il 14,6%, senza contare gli ancora più numerosi consumatori occasionali.
Perfino in India, siamo riconosciuti per essere tra i maggior esperti in materia, nonché, di gran lunga, i migliori produttori di chilum, tanto che l’espressione “Italian chilum” è sinonimo di pipa di altissima qualità.

La nomea comunque è fonte di ben poco orgoglio, visto che secondo le statistiche del giornale siamo anche i primi come numero di stranieri dichiarati indesiderati dal governo indiano per crimini legati al business della charas.

Nessun commento:

Posta un commento