lunedì 18 luglio 2016

L'acqua in India

Public well in Bijapur in the early 1900s.jpg
Un pozzo pubblico agli inizi del '900
Tra i problemi più gravi che ostacolano e rallentano il progresso nei paesi in via di sviluppo, bisogna sicuramente citare quelli relativi all’acqua.
In alcuni casi è la carenza, cioè la siccità, come capita notoriamente, ad esempio, nei paesi africani della zona sahariana; in altri casi è l’eccesso d’acqua, cioè le inondazioni, delle quali sono invece periodicamente vittima i paesi del sud-est asiatico dal clima monsonico.
L’India, per mantenere intatta la sua caratteristica originalità, viene saltuariamente afflitta da entrambe le calamità.
Talvolta anche all’interno dello stesso stato, come avviene spesso, quando i monsoni sono erratici (purtroppo non di rado) nello stato dell’Uttar Pradesh, che occupa gran parte della pianura gangetica: i distretti orientali chiedono al governo lo stato d’emergenza per le inondazioni, mentre, a circa 300 chilometri di distanza, i distretti occidentali lo chiedono per la siccità.
Per quanto riguarda l’abbondanza d’acqua e le inondazioni, la responsabilità diretta dell’uomo, seppur possa essere decisiva nell’evitare piccole e grandi tragedie, dipende fortemente dalla furia degli elementi: le alluvioni indiane, infatti, sono spesso causate da piogge di proporzioni bibliche in grado di durare per giorno su vastissime aree.
Questo però rende ancora più gravi le responsabilità dell’uomo in India riguardo alla carenza: dove va a finire allora tutta l’acqua in eccesso?
Traducendo alla lettera una, stranamente colorita, espressione inglese, giù nella fogna (down the drain), visto che ricerche specifiche ed inchieste giornalistiche hanno appurato che lo spreco raggiunge addirittura il 70%!

Infatti, l’approvigionamento dell’acqua in India è “garantito” da tubature che passano nel sottosuolo vecchissime e inadeguate, ed alle quali i palazzi sono collegati tramite delle pompe elettriche, azionabili manualmente, che fanno risalire l’acqua fino a delle cisterne di plastica situate sui tetti.
Dopo una prima notevole porzione d’acqua dispersa dalle già citate disastrose tubature, una seconda parte viene quindi sperperata nel collegamento delle pompe, nonché nel “lungo” percorso fino alle cisterne, di per sé non esenti da perdite...
A quel punto si verifica un altro passaggio, apparentemente innocuo, che però incide parecchio nello spreco totale, cioè lo stabilire quando le cisterne sono piene, per cui, in moltissimi casi, si lasciano le pompe accese finché l’acqua non tracima: talvolta per pochi secondi, più spesso per alcuni minuti, ma non raramente anche per ore.
Questo perché le cisterne sono quasi sempre collocate in posizioni scomodissime e gli indiani non hanno ancora trovato dei sistemi pratici per risolvere questo inconveniente.
Arrivando poi ai vari rubinetti, in genere distributi nelle cucine e nei gabinetti, ma spesso presenti anche nei posti più impensabili (ad esempio: cosa mai ci farà un rubinetto sulle scale del nostro palazzo?), ecco un altro passaggio, per fortuna l’ultimo, durante il quale si verifica un enorme spreco.
In particolare sembra normale che tutti i rubinetti indiani, in primis quelli delle docce, non interrompano immediatamente il flusso dell’acqua una volta chiusi, ma misteriosamente continuano a gocciolare a lungo, spesso eternamente, creando il frequentissimo fenomeno del gabinetto mezzo allagato (spesso dovuto anche ad altrettanto misteriosamente trasudanti tubi), che probabilmente accomuna gli indiani di tutto il paese più di qualunque cosa, anche del cricket, visto che lo si può riscontrare dagli alberghi a quattro stelle, fino alle baraccopoli.
Per gli alberghi a cinque stelle manchiamo di esperienze dirette, ma non ci stupiremmo se qualche tubo o rubinetto gocciolasse anche nel mitico Taj Hotel di Mumbai, altrimenti non sarebbe “vera” India.

Date queste premesse, pochi mezzi e scarsa conoscenza, la soluzione al problema risulta davvero difficile, visto il numero elevato di responsabili, e ci siamo limitati a discutere del semplice approvigionamento, senza entrare nel delicatissimo, e di nuovo quasi disastroso, argomento della qualità dell’acqua.
Dopo tutti i passaggi che abbiamo enumerato, è inutile evidenziare le infinite possibilità che questa venga infatti attaccata da agenti inquinanti.
Partendo dalle tubature, che scorrono sottoterra spesso pericolosamente vicine agli scarichi fognari, si arriva alle cisterne, lasciate sui tetti a sostenere la furia degli elementi, e rarissimamente al centro di necessarie opere di pulizia e manutenzione.
A questo va aggiunto che, soprattutto durante la lunga stagione calda indiana, le cisterne d’acqua sui tetti sono spesso prese di mira da assetate scimmie, gatti e uccelli, quindi l’acqua che proviene dalle cisterne, garantita con un po’ di fortuna 24 ore al giorno, risulta però essere decisamente impropria per quasi tutti gli usi domestici, esclusi giusto lavare i pavimenti e il bucato.

L’acqua migliore è quindi quella che viene erogata mentre le pompe sono in funzione, poiché arriva direttamente senza passare dalle cisterne.
Ogni appartamento indiano, per quanto “sgarruppato”, di solito è dotato di un rubinetto dedicato proprio a questo scopo, cioè quello di funzionare solo quando la pompa è accesa; se quest’acqua viene successivamente trattata in qualche modo – ad esempio bollita, oppure con pastiglie di cloro o sodio, o ancora meglio purificata attraverso uno dei numerosi sistemi disponibili sul mercato indiano – può essere considerata sicura a tutti gli effetti, perfino per dissetarsi.
Tutto questo spiega il grandissimo successo dell’acqua imbottigliata, non solo per i delicati stomaci stranieri, ma anche per gli indiani stessi, o almeno chi di loro se la può permettere, seppur, anche in questo caso, non sono escluse spiacevoli sorprese: soprattutto durante la stagione calda, quando la richiesta d’acqua potabile è elevatissima, nascono come funghi piccole fabbriche per l’imbottigliamento dell’acqua, le cui condizioni igieniche sono spesso a dir poco agghiaccianti.
Tutti gli anni nei mesi di Aprile-Maggio, nel distretto di Varanasi, la polizia perquisisce, e in genere chiude, parecchie attività di questo tipo, dove spesso viene anche prodotto del pericolosissimo ghiaccio, probabilmente il veleno più pericoloso dell’India per gli esseri umani dopo quello del corba reale.

Seppur bisogna ammettere che le marche più famose possono essere ritenute sicure ed esenti da ogni rischio, bisogna anche ricordare che l’acqua indiana in bottiglia non proviene da sorgenti alpine, come siamo abituati nel fortunato Bel Paese, bensì dal sottosuolo e purificata attraverso il processo dell’osmosi inversa, scientificamente accurato, visto che viene utilizzato anche sulle navi per rendere potabile l’acqua di mare, ma che priva l’acqua di minerali ed altri importanti elementi.
La storica marca Bisleri (dal nome del primo imbottigliatore d’acqua in India, lo svizzero Bisleri), mantenendosi sempre all’avanguardia, ha prodotto ultimamente una serie di bottiglie sulle quali è scritto “with added minerals” (con aggiunta di minerali), decisamente importanti, soprattutto quando le temperature superano i 40 gradi, in India molto spesso e molto a lungo.
Il vago gusto “di piscina” che può avere talvolta l’acqua indiana imbottigliata si suppone provenga dai necessari processi di sterilizzazione, oltre che dalla già citata osmosi, ma ci si abitua abbastanza in fretta.

La situazione è leggermente migliore in montagna, dove invece, misconosciute marche locali possono spesso vantare piccole sorgenti montane, per cui l’acqua torna ad avere qualche elemento naturale nonché  il suo tipico ed apprezzato insapore.

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