sabato 18 marzo 2017

Catastrofi naturali in India

A causa di una poco felice posizione geografica ed il susseguente clima estremo, il subcontinente indiano è spesso vittima di catastrofi naturali di grandi proporzioni.
Con il lento ma progressivo sviluppo del paese, negli ultimi decenni le vittime ed i danni causati in India sono sempre inferiori, seppur stiano invece aumentando i gravi incidenti causati dall’uomo, che spesso hanno devastanti conseguenze.
Gli eventi più catastrofici sono la siccità, le inondazioni ed i terremoti, che possono provocare elevatissimi numeri di vittime.

La disponibilità d’acqua in India dipende dalle estive piogge monsoniche, purtroppo spesso erratiche a causa di peculiari condizioni atmosferiche, in particolare l’influenza del Nino.
Ancora oggi un monsone debole od assente è in grado di creare notevoli danni all’agricoltura e quindi all’economia del paese, mentre fino al non lontano 1943, ripetute annate senza pioggia causavano tremende carestie che mietevano milioni di vittime.
Se la siccità è solitamente la causa primaria dello scoppio delle carestie, nel subcontinente spesso hanno influito anche le inondazioni, soprattutto nell’area del delta del Gange occupato dal Bengala Occidentale e dal Bangladesh, in grado di distruggere completamente i raccolti.
Stando ai dati delle voci di Wikipedia in inglese, tra le 20 peggiori carestie della storia, ben 7 sono avvenute in India, nei tre secoli tra il 1630 ed il 1943, anno dell’ultima grande carestia del Bengala.
La più grave avvenne nel periodo tra il 1789 ed il 1792 nel centro-sud della penisola indiana e fu causata da interferenze del Nino che annullarono le piogge monsoniche per alcuni anni di fila.
Il numero di vittime è stato calcolato in circa 11 milioni di persone, catastrofe che si può anche intuire dal nome con cui è nota, Skull Famine, per la quantità di ossa che giacevano nelle strade e nei campi.

Tra i dieci disastri naturali che hanno colpito il pianeta e causato il maggior numero di vittime, ben 3 eventi, dal V al VII, sono stati cicloni abbattutisi nell’Oceano Indiano.
Il Ciclone Bhola del 1970 è stato il più distruttivo e colpì principalmente il Bangladesh (al tempo ancora Pakistan Orientale), causando la morte di circa 375 mila persone, o comunque un numero compreso tra i 250 ed i 500 mila.
Il Ciclone di Coringa del 1839 colpì in particolare la cittadina di Coringa in Andhra Pradesh e provocò la morte di 300 mila persone, numero simile stimato anche per il Ciclone di Calcutta, che colpì il Golfo del Bengala del 1737.
Altri devastanti cicloni si verificarono: in Bangladesh nel 1991, causando circa 140 mila vittime; nella città di Bombay, sulla costa opposta, nel 1882, con 100 mila morti; ed infine il Ciclone del Bengala del 1874, che fece circa 80 mila vittime.
Purtroppo, nel non lontano 2004, alla lista delle inondazioni causate dai cicloni si è aggiunta la voce tsunami, con quello dell’Oceano Indiano che causò circa 280 mila morti, di cui alcune decine di migliaia in India.

Come accennato in un post specifico sull’argomento, al quale rimandiamo per ulteriori dettagli (http://informazioniindiaenepal.blogspot.in/2017/03/i-terremoti-in-india.html), il subcontinente indiano è spesso colpito da potenti terremoti, che causano la morte di migliaia di persone, oltre a creare ingenti ed estesi danni.
Il terremoto più catastrofico per numero di vittime fu quello che colpì il Kashmir pakistano nel 2005, causando poco più di 85 mila morti, mentre in territorio indiano si ricorda tristemente il terremoto del Gujarat del 2001 che fece circa 20 mila vittime.


Per quanto riguarda catastrofi di minor entità, l’India non è particolarmente prona a tragedie legate a tempeste e valanghe, non possiede vulcani attivi ed anche le ondate di caldo, che hanno causato circa 2.500 morti sia nel 1998 che nel 2015, sono ben lontane dai dati di quelle che hanno colpito Europa e Russia nel 2003 e 2010, con 70 e 56 mila vittime.

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