sabato 7 gennaio 2017

Il racconto Kafan, II parte

Alla mattina, quando Madhav entrò nella capanna per dare un’occhiata, sua moglie era fredda e le mosche le volavano sul viso. I suoi occhi erano rivolti verso l’alto ed il suo corpo era coperto di polvere. Nel suo ventre, anche il bebè era morto.
Madhav corse da Ghisu ed entrambi iniziarono a lamentarsi e a battersi il petto. Quando i vicini udirono il loro strazio, arrivarono di corsa e, seguendo la tradizione, iniziarono a consolare i familiari della defunta.
Ma quello non era il momento di lasciarsi andare al dispiacere, bisognava preoccuparsi del sudario e della legna; i soldi in quella casa erano come la carne nel nido di un rapace.
Padre e figlio andarono quindi a struggersi dal capo del villaggio. Questi odiava anche solo la loro faccia. Spesso li aveva picchiati con le sue stesse mani, per aver rubato o per non essersi presentati al lavoro.

Vedendoli gli chiese “Cosa succede Ghisu, perché ti lamenti? In questo periodo non ti si vede in giro, sembra che tu non voglia più vivere in questo villaggio”.
Ghisu si prostrò a terra e disse con gli occhi pieni di lacrime “Mio Padrone, ho un grosso problema. La scorsa notte è mancata la moglie di Madhav. Ha passato tutto il giorno a contorcersi dal dolore, mentre noi due siamo stati al suo fianco tutta la notte. Qualunque medicina potevamo darle, gliela abbiamo data, ma non c’è stato nulla da fare. Ora non c’è nessuno che si prenda cura di noi, Padrone, siamo devastati, la nostra famiglia è distrutta! Sono il vostro schiavo, ora chi si prenderà cura del suo funerale se non voi? Tutti i soldi che avevamo li abbiamo spesi in medicine. Se il Padrone ci mostrasse un po’ di compassione, potrebbe avere il suo meritato funerale. A quale porta dovrei recarmi, se non alla vostra?”.

Il capovillaggio era una persona compassionevole, ma mostrare compassione a Ghisu era come cercare di tingere una coperta nera. Avrebbe voluto dirgli “Vattene via di qua! Tieniti il corpo in casa e lascia che marcisca. Di solito non vieni neppure quando ti chiamo ed ora che hai bisogno di qualcosa vieni qui e cerchi di lusingarmi? Tu subdolo villano!”. Ma quello non era il momento di rabbia, rancore e vendetta. Volente o meno, tirò fuori due rupie e le fece cadere. Non disse neppure una parola di consolazione e non guardò nemmeno in direzione di Ghisu, come se avesse semplicemente svolto un dovere.
Quando il capovillaggio ha dato due rupie, come faranno a rifiutare gli altri ricchi proprietari? Ghisu sapeva bene come battere il tamburo del nome del capovillaggio. Uno diede due paise, un altro quattro, e in un’ora Ghisu aveva raccolto cinque rupie in contanti. Qualcuno offrì del grano, altri la legna e nel pomeriggio Ghisu e Madhav si recarono al mercato per comprare il sudario. Nel frattempo altre persone iniziarono a tagliare il bambù per fare la portartina su cui trasportare il cadavere e a svolgere altri preparativi per il funerale.
Le donne del villaggio vennero a dare un’occhiata al corpo ed a piangere alcune lacrime sulla sua impotenza.

Quando i due giunsero al mercato, Ghisu disse “Abbiamo abbastanza legna per bruciarla, vero Madhav?”.
Madhav rispose “Sì, abbiamo parecchia legna, ora ci serve solo il sudario”.
“Dai compriamo un sudario leggero”.
“Ma certo! Quando trasporteremo il cadavere ormai sarà notte, chi farà caso al sudario?”.
“Che razza di tradizione: uno che in vita sua non ha avuto altro che vecchi stracci per coprirsi, ha bisogno di un nuovo sudario quando muore”.
“Dopotutto, il sudario brucia insieme al cadavere”.
“A che cosa serve? Se avessimo avuto prima cinque rupie, avremmo potuto darle delle medicine”.
Tutti e due intanto cercavano di capire cosa stesse pensando l’altro e continuarono a girare per il mercato finché non venne sera. Ogni tanto entravano in un negozio, davano un’occhiata ai vari tessuti, dalla seta al cotone, ma sembrava che nessuno facesse al caso loro. Ad un certo punto si trovarono, per caso o deliberatamente, di fronte ad un negozio di alcolici e come se si fossero accordati in precedenza, automaticamente entrarono. Per un po’ stettero in piedi, incerti sul da fare, quindi Ghisu si diresse dal commesso e gli chiese “Per favore, dia una bottiglia anche a noi”. Oltre alla bottiglia di liquore, Ghisu comprò dei dolci al sesamo e dopo i dolci trovò del pesce fritto, si sedettero nella veranda ed iniziarono a bere.

Dopo qualche bicchiere iniziarono a sentirsi sollevati
Ghisu disse “Che senso ha avvolgerla in un sudario? Dopotutto anche quello brucerà, niente se ne andrà con lei”.
Guardando verso il cielo, come per persuadere gli angeli della sua innocenza, Madhav continuò “È una tradizione del mondo. Perché queste stesse persone danno migliaia di rupie ai sacerdoti? Chi può dire se ci sarà o no una ricompensa in un altro mondo?”.
“I ricchi hanno il benessere, lasciamo che lo sprechino. Noi cosa abbiamo da sprecare?”.
“Ma cosa gli dirai alla gente? Non ci chiederanno dov’è il sudario?”.
Ghisu scoppiò a ridere “Gli diremo che i soldi sono sgusciati via dalle mie tasche, li abbiamo cercati, ma non li abbiamo trovati. La gente non ci crederà ma ci daranno di nuovo la stessa somma”.
Anche Madhav scoppiò a ridere, felice per questo inaspettato colpo di fortuna e disse “Era proprio brava quella povera donna, perfino da morta è riuscita a servirci un buon pasto”.
Più di metà bottiglia era andata, Ghisu ordinò due porzioni di puri, uno stufato di carne, del fegato speziato ed altro pesce fritto. Madhav portò tutto su due piatti dal vicino ristorante, per il prezzo di una rupia e mezza, ed ora erano rimaste solo poche paise.

I due quindi si sedettero a mangiare i puri, con la stessa grandiosità della tigre che insegue la sua preda nella giungla. Non avevano paura che gli venisse chiesto di giustificarsi e non temevano il disonore. Erano passati attraverso questi stati di debolezza molto tempo fa. Ghisu disse in tono quasi filosofico “Se la mia anima è compiaciuta, non riceverà anche lei dei meriti religiosi?”.
Madhav abbassò la testa in pia approvazione “Cetamente li riceverà. Dio, tu conosci i cuori, portala in paradiso! Entrambi le stiamo dando la nostra più accorata benedizione. Il banchetto che ho avuto stasera, non l’avevo mai avuto in vita mia”.
Dopo qualche momento però, un dubbio venne a Madhav “Anche noi andremo lì un giorno, non è vero?”.
Ghisu non rispose a questa infantile domanda e guardò male Madhav: non voleva che pensieri sulle questioni ultraterrene lo distraessero dal piacere che stava provando in quel momento.
“Quando là lei ci chiederà perché non le abbiamo messo il sudario, cosa le diremo?”.
“E smettila!”.
“Ma ce lo chiederà sicuramente!”.
“Come fai a sapere che lei non avrà un sudario? Mi consideri un tale asino? Ho vissuto in questo mondo per sessant’anni e non ho fatto altro che bighellonare ? Avrà un sudario e pure bello, molto meglio di quello che le avremmo comprato noi”.
Madhav non era convinto e disse “Chi lo darà? Ti sei ingoiato tutti i soldi! È a me che chiederà, sono stato io a mettere la polvere di sindur tra la partizione dei suoi capelli”. (Nel matrimonio indù è questo il gesto che sancisce la coppia)
Ghisu iniziò ad irritarsi “Ti dico, avrà il suo sudario, perché non mi credi?”.
“Chi ci darà i soldi, perché non me lo dici?”.
“Ce li daranno gli stessi che ce li hanno dati prima, ma non li metteranno nelle nostre mani. E se in qualche modo dovessimo riuscire a prenderli, ci siederemo di nuovo qui e berremo allo stesso modo, e quelli ci daranno il sudario una terza volta”.

Con l’avanzare dell’oscurità, le stelle brillavano sempre più, mentre all’interno del negozio di alcolici il tumulto aumentava. Una persona cantava, un’altra borbottava, uno abbracciava il suo compagno di bevuta, un altro spingeva il bicchiere sulla bocca del suo amico. L’atmosfera era gioiosa e l’intossicazione nell’aria. Quante persone diventano degli asini con un bicchiere! Vengono qui solo per assaporare il gusto di dimenticarsi di se stessi. Più del liquore è l’aria qui ad elevare i loro spiriti. I disastri della vita li hanno colpiti e trascinati qui e per un momento si dimenticano se sono vivo o morti, o mezzi vivi.
E questi due, padre e figlio, sono ancora lì che bevono e fanno bagordi. Gli occhi di tutti i presenti sono posati su di loro: che fortunati che sono, si sono divisi un’intera bottiglia.
Finito di mangiare, Madhav prese un piatto di foglie con gli avanzi dei puri e li diede ad un mendicante, che stava lì in piedi e li fissava con occhi affamati. E per la prima volta in vita sua sentì l’orgoglio, il piacere ed il brivido di dare.

Ghisu disse “Prendi, mangia tutto e dalle la tua benedizione. La tua benedizione di certo le arriverà, benedicila con ogni pelo del tuo corpo, questo è il pagamento di un lavoro molto duro”.
Madhav di nuovo alzò gli occhi al cielo e disse “Andrà sicuramente in paradiso, diventerà la regina del paradiso”.

Ghsu si alzò e come se stesse nuotando tra le onde della gioia disse “Sì, figliolo, andrà in paradiso. Non ha mai disturbato o tormentato nessuno, perfino morendo è riuscita a soddisfare il più grande desiderio della nostra vita. Se non ci va lei in paradiso, ci andranno forse quei grassi ricchi signori che rubano alla povera gente con entrambe le mani, che vanno a fare il bagno nel Gange per lavarsi i peccati e che offrono acqua santa nei templi?”.

Ma quest’umore di pietà durò poco, il continuo cambiamento è una delle qualità speciali dell’intossicazione ed ora era il turno di dispiacere e disperazione. Madhav disse “Ma quella povera donna ha sofferto molto durante la vita, perfino la sua morte è stata così dolorosa”. E coprendosi gli occhi con le mani iniziò a piangere e singhiozzare.
Ghisu allora si avvicinò per consolarlo “Perché piangi figlio? Sii contento che è stata liberata da questa rete di illusioni. È fuggita dalla trappola ed è stata fortunata ad essere riuscita a rompere il legame con le illusioni del mondo così velocemente”.
E stando abbracciati in piedi iniziarono a cantare.

Tutti gli avventori del negozio di alcolici erano assorbiti dallo spettacolo di questi due bevitori, che, completamente ubriachi, continuavano a cantare. Quindi cominciarono a ballare, con piroette e salti, caddero, si rialzarono, gesticolarono ed infine, stravolti dall’ubriacatura, collassarono.

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