martedì 24 gennaio 2017

Ipotesi sulla vita di Gesù in India

Cristo crucificado.jpg
Gesù in India? è il titolo di un saggio del sociologo Manuel Olivares, pubblicato nel 2015, dove vengono analizzate le più importanti fonti che ipotizzano una o addirittura due visite di Gesù Cristo nel subcontinente indiano.
Purtroppo non esistono prove certe, come evidenziato anche dall’opportuno punto interrogativo nel titolo del libro, ma grazie all’approfondita ricerca dell’autore è comunque possibile estrarre da questo testo numerose informazioni per farsi un’idea più precisa sulla questione.
Chiaramente, per chi volesse approfondire l’argomento, consigliamo di procurarsi il libro (per ulteriori dettagli rimandiamo al link della pagina Facebook https://www.facebook.com/JesusChristinIndia/?ref=ts&fref=ts), mentre in questo post ci limiteremo a descrivere le linee generali, secondo la nostra personale comprensione.

Come poc’anzi accennato, le ipotesi riguardano ben due visite di Gesù in India, la prima durante i cosiddetti anni perduti, che non vengono descritti nei vangeli canonici, la seconda dopo essere sopravvissuto alla crocifissione.

La prima ipotesi, abbastanza plausibile a livello pratico, considera che Gesù si sia unito a delle carovane di mercanti e si sia diretto in oriente, lungo un percorso alquanto battuto che sarà poi storicamente definito la Via della Seta.
La distanza d’altronde non era incolmable e circa diciotto anni, tra i 13 ed i 30, sarebbero stati più che sufficienti per un uomo giovane ed in buona salute, per andare dalla Palestina all’India e ritorno.

Seguendo un possibile percorso geografico, Gesù entrò in India da nord, scese nel subcontinente, dove venne in contatto prima con monaci jainisti, quindi con l’induismo ed infine, tornando indietro passando dal Nepal, con il buddismo.
Secondo gli studi del professore indiano Hassnain Maria Fida, sostenitore di questa teoria, addirittura, prima di tornare in Palestina, Gesù visitò brevemente anche la Gran Bretagna, per entrare in contatto con l’allora diffuso druidismo.

L’ipotesi che Cristo abbia quindi trascorso gli anni più importanti della sua crescita pellegrinando nel subcontinente indiano, ed altrove, per conoscere le più diverse tradizioni religiose e spirituali, è sicuramente suggestiva, e volendo appropriata, ma manca di fonti attendibili a suffragarla.
A quanto pare infatti le uniche prove sarebbero da cercare in alcuni introvabili manoscritti in lingua pali, custoditi in remoti monasteri buddisti, o la citazione in un testo induista della già oscura setta dei Nath.
Tenendo presente che il dibattito venne aperto verso la fine dell’ottocento ed abbia affascinato numerosi ricercatori, è possibile che non siano ancora stati trovati i numerosi testi della supposta ricca documentazione in lingua pali?
Senza dimenticare che per ovvi problemi linguistici, i nomi che Gesù avrebbe assunto in queste tradizioni, sono collegabili foneticamente ma non necessariamente anche dal punto di vista etimologico (problema che si potrebbe porre pure con le fonti islamiche di cui vedremo più avanti).
Anche il più moderno filone di matrice induista sembra essenzialmente riprendere le stesse misteriose fonti, con lo scopo di trovare, un po’ forzatamente, un’origine indiana agli insegnamenti cristiani.
Il mistico Swami Abhedananda, il politico e storico Jawahralal Nehru, ed il Premio Nobel per l’economia e scrittore Amartya Sen, che hanno espresso la propria favorevole opinione in proposito, nonostante l’indubbia autorità, si rifanno a fonti che non sono confermate, e di certo non lo saranno solo continuando a citarle come probabili.

Come ultima nota, purtroppo di nuovo contro a questa pur attraente teoria, com’è possibile che a Gesù stesso non sia mai capitato di fare alcun cenno o riferimento a ciò che aveva appreso durante i suoi lunghi anni in oriente?
Se avesse davvero imparato i Veda, i canoni Pali, le scritture Jaina, possibile che non gli sia mai scappato, neppure per errore, un nome di qualcuno o qualcosa che avesse chiare origini indiane?


La seconda ipotesi, che vede Gesù sopravvivere alla crocefissione e dirigersi in India a trascorrere il resto della sua vita, pare ancora più ardita ma non meno affascinante ed apparentemente suffragata da qualche prova vagamente attendibile.

Una, ad esempio, è un testo pubblicato a Lipsia nel 1849 intitolato “La crocifissione secondo un testimone oculare”, un documento antichissimo in cui un esseno contemporaneo di Gesù afferma che il Cristo venne deposto dalla croce ancora in vita, affidato alle cure di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, due esseni, che lo curarono ed aiutarono a riprendersi.
Quindi, salutati i discepoli, insieme a Maria, tornò in India a trascorrere gli ultimi anni della sua vita, per alcuni una cinquantina in tutto, per altri addirittura fino all’eta di 120 anni.
Fin dalla sua apparizione, questo testo fece molta impressione negli ambienti ecclesiastici, ma non ebbe una grande risonanza visto che non vi era nessun interesse teologico a sostenere questa tesi, che sminuiva la dimensione sensazionalistico-miracolistica della storia “ufficiale” di Gesù, visto che in questo modo non risorse ma semplicemente sopravvisse alla crocefissione.

Un’altra fonte piuttosto autorevole ed attendibile sulle quali è basata questa teoria è il Corano.
Quello che troviamo particolarmente intrigante nelle ipotesi che si possono raggiungere attraverso i testi islamici è che questi, al contrario di quelli indiani, non sembrano avere particolari interessi, se non prettamente teologici, a sostenere che Gesù sopravvisse la crocifissione e finì la sua vita in India.
Stando alla Sura 4, versetti 157-158, non è vero che Gesù, il Messia, venne ucciso, ma venne fatto in modo che così sembrasse, quando in realtà venne assunto in cielo da Allah con tutto il corpo, creando quindi i presupposti per la sua seconda venuta, almeno stando all’escatologia islamica.

Oltre a queste fonti scritte, affascinante è anche la tradizione secondo la quale, nella città indiana di Shrinagar, nello stato del Jammu e Kashmir, tra i vicoli della città vecchia esiste un’antica tomba dedicata ad un santo mussulmano chiamato Yuzasaf, nome persiano di Gesù.
In passato era stato ipotizzato un tentativo di studiare scientificamente la tomba per poter trovare qualche prova concreta, almeno dell’antichità, ma purtroppo, a causa della situazione politica estremamente volatile della città, non sono mai stati portati a termine.
Bisogna anche notare che da parte delle autorità mussulmane non c’è nessun particolare interesse ad approfondire la questione, visto che teologicamente, secondo il Corano, Gesù venne assunto in cielo da Allah, né tantomeno a fare di quel piccolo santuario di Shrinagar, chiamato Roza Bal, un centro di pellegrinaggio cristiano.

Un’ultima interessante questione sulla possibilità che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione proviene da alcune teorie che riguardano la sindone, la cui attendibilità è però influenzata dall’ancora dubbia autenticità del sudario conservato a Torino.

In ogni caso, a prescindere dalla più o meno plausibile attendibilità delle fonti, come accennato in apertura di articolo, lo studio della questione di Gesù in India, oltre all’indiscussa ed accattivante esoticità, permette di fare la conoscenza con tradizioni poco conosciute ma molto antiche, bagaglio culturale di aree del mondo dove la storia dell’uomo ha vissuto alcune delle vicende più importanti.

Il testo Gesù in India? risulta quindi anche un ottimo mezzo per risalire alle fonti di queste tradizioni, citate lungo tutto il testo e raccolte nell’utilissima bibliografia, che contiene riferimenti a pressoché tutto il materiale reperibile sull’argomento.

Nessun commento:

Posta un commento