lunedì 9 gennaio 2017

Il racconto Pus ki raat, II parte

Un’altra ora era passata e l’intensità del freddo vento sembrava aumentare. Halku si sedette, tirando su le ginocchia per nascondervi il viso. Sembrava che il sangue gli si fosse gelato ed ora l’acqua scorreva nelle vene. Sollevò la testa per guardare il cielo: quando finirà questa notte? L’orsa maggiore non era ancora apparsa in cielo, solo quando sarà visibile finalmente arriverà l’alba.
Poco lontano dal campo di Halku c’era un frutteto di alberi di mango che stavano perdendo le foglie. Halku notò una pila di foglie e pensò di bruciarle per scaldarsi un poco. Se qualcuno dovesse vedermi raccogliere foglie di notte, mi prenderebbe per un fantasma e magari tra gi alberi c’è qualche animale pericoloso, ma non ce la faccio più a star qui seduto a tremare.
Strappò alcuni arbusti secchi, fece una specie di scopino e prendendo dalla buca per il fuoco un pezzo di sterco di mucca ancora fumante, si diresse verso il frutteto. Jabra lo vide, si avvicinò ed iniziò a scondinzolare.
Halku gli disse “Non ce la faccio più Jabra, andiamo a bruciare qualche foglia e a scaldarci. Quando staremo meglio, torneremo qui e proveremo a dormire un poco, è lunga la notte”. Jabra diede il suo assenso con un gemito e lo seguì. Il frutteto era immerso nell’oscurità, il vento soffiava tra le foglie e la rugiada che si era formata sugli alberi stava gocciolando a terra.

All’improvviso una folata di vento portò la fragranza dei fiori di henné ed Halku disse “Che buon profumo Jabra! Anche tu l’avrai sentito!”. Jabra invece aveva trovato un osso e lo stava rosicchiando.
Halku mise il tizzone di sterco sul terreno, iniziò a raccogliere le foglie ed in poco tempo ne aveva fatto un bella pila. Le sue mani era gelate, così come i suoi piedi scalzi e sperava proprio che bruciando quel mucchio di foglie si sarebbe un po’ scaldato.
In poco tempo il falò si accese ed il suo inconsitente chiarore sembrava far salire l’oscurità sulle chiome degli alberi e quella luce pareva una barca nell’oceano dell’oscurità.
Halku era seduto di fronte al fuoco a scaldarsi e dopo un po’ potè togliersi di dosso il lenzuolo ed allungò le gambe, come a sfidare il freddo “Fa quello che vuoi!”. Non poteva nascondere la felicità per essere riuscito a sconfiggere il freddo.
Si girò verso il cane “Non hai più freddo Jabra?”.
Jabra rispose con un gemito, quasi anche lui si stesse chiedendo se avesse ancora freddo.
“Chissà perché non ho avuto prima questa idea?”. Jabra in risposta scodinzolò.
“Dai, saltiamo su questo fuoco e vediamo chi riesce a non bruciarsi. Ma se ti bruci non ti darò nessuna medicina, eh!”. Jabra guardò il fuoco spaventato .
“E non dirlo a Munni, altrimenti mi sgrida!”.
Detto questo saltò sopra al fuoco, bruciandosi i piedi, ma che importava? Jabra intanto gli correva intorno.
“Dai vieni!”, e così dicendo saltò di nuovo sul fuoco.

Le foglie però bruciarono in fretta ed il frutteto ricadde nell’oscurità. C’era del fuoco che bruciava lentamente sotto alla cenere, che si riaccendeva quando soffiava il vento e subito si rispegneva.
Halku si avvolse nel lenzuolo, si sedette vicino alla cenere ed iniziò a cantare. Finalmente si era un po’ scaldato e sebbene il freddo fosse aumentato, la sonnolenza stava avendo la meglio.
Jabra abbaiò e corse verso l’oscurità. Halku realizzò che un branco di animali era entrato nei campi, forse i nilgai (antilope azzura indiana). Li poteva sentire correre e gli sembrò di sentirli brucare il raccolto e masticare.
Disse a se stesso “Non è possibile che qualche animale sia entrato nei campi con Jabra che abbaia, li sbranerebbe. Me lo sto immaginando... Ecco, ora non si sente niente, mi devo essere sbagliato”.
Chiamò Jabra a gran voce, ma lui continuava ad abbaiare e non si avvicinò.
Quindi sentì di nuovo il rumore degli animali che brucavano e questa volta non potè far finta di niente. Ma si sentiva male all’idea di alzarsi, proprio ora che aveva trovato una posizione calda e comoda. Correre dietro a quegli animali con quel freddo gli sembrava una pazzia, così non si alzò, ma si limitò ad urlare “Andate via, andate via!”.
Jabra continuava ad abbaiare e gli animali a mangiare il raccolto: un così buon raccolto ed ora queste bestie lo stanno distruggendo.
Determinato, Halku si alzò, ma non aveva fatto che due o tre passi che una folata di vento freddo lo colpì come il morso di uno scorpione e ritornò nel suo giaciglio, frugando tra la cenere per scaldarsi un poco.
Jabra intanto continuava ad abbaiare fino a diventare rauco, le antilopi stavano ripulendo il campo e Halku stava seduto calmo vicino alle calde ceneri. L’indolenza l’aveva avvolto come una corda.
Disteso presso la cenere, si avvolse nel lenzuolo e finalmente si addormentò.

Quando si svegliò alla mattina, il sole stava brillando in cielo e Munni gli stava dicendo “Continuerai a dormire ancora molto? Tu te ne stai qui beato ed il campo è stato distrutto!”.
Halku si alzò e chiese “Vieni dal campo?”.
Munni fece cenno di sì “Tutto il campo è rovinato e tu dormi così? Che bisogno c’era di spendere la notte qua fuori?”.
Haklu cercò una scusa “Sono quasi morto e tu sei preoccupata per il campo? Ho avuto un tal mal di stomaco”.
I due camminarono sul margine del campo, constatando la completa distruzione.
Jabra invece dormiva sotto alla brandina, tanto stanco che sembrava morto.
Mentre i due guardavano il campo, la tristezza avvolse Munni, ma Halku sembrava quasi contento.
Munni gli disse con tono preoccupato “Ora dovrai lavorare alla giornata e pagare i debiti”.

Halku rispose allegro “Almeno non dovrò dormire qui durante le fredde notti d’inverno!”.

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