Krishna e Radha mentre giocano al chaturanga |
A causa di numerosi fattori,
soprattutto climatici, culturali e sociali, l’India non possiede una grande tradizione sportiva.
Il caldo torrido, tipico del
subcontinente, non invoglia a praticare faticose ed apparentemente futili attività
all’aria aperta; la nota pacificità e tolleranza del pensiero indiano annullano
in gran parte la competitività; la purtroppo nota povertà indiana rende, ancora
oggi, l’attività sportiva un passatempo quasi elitario.
Gli sport dove l’India produce atleti
di livello internazionale sono di solito considerati minori ed è piuttosto noto
lo scarso successo indiano ai Giochi Olimpici, considerando l’abbondantissima
popolazione del paese.
Tra le poche attività sportive diffuse
globalmente in cui l’India è piuttosto competitiva a livello mondiale vi è il
gioco degli scacchi, che per le sue caratteristiche non sembra patire delle condizioni
tipiche indiane di cui si è appena detto, le quali, al contrario, sembrano quasi
adatte.
Fisicamente lo sforzo è minimo, quindi
il clima torrido poco incide nella pratica; l’articolata mentalità indiana ha,
tra i lati positivi, una notevole propensione all’astrazione, molto utile negli
scacchi per creare complesse strategie di gioco; viste le ridotte attrezzature
e l’ancor più ridotta necessità di spazio, gli scacchi possono essere praticati
pressoché ovunque da chiunque.
Grazie a ciò, l’India può vantare una
notevole tradizione scacchistica ed una scuola che ha prodotto uno dei più
grandi giocatori moderni, il pluricampione mondiale Vishwanath Anand, e l’altrettanto
formidabile Joneru Hampi, da anni stabilmente tra le primissime posizioni del
ranking mondiale femminile.
Storicamente, pare che il luogo
d’origine stesso degli scacchi, o quantomeno di uno dei suoi precursori, sia proprio
il subcontinente indiano.
Secondo la leggenda, un antico re, per
vincere una guerra contro un potente vicino regnante, fu costretto a
sacrificare il vita del proprio figlio.
Questi fu infatti inviato, al comando
di poche truppe, a compiere una temeraria azione diversiva per distrarre il
nemico e permettere al grosso dell’esercito del re di attaccare l’avversario di
sorpresa.
La mossa si rivelò azzeccata ma il principe
morì e, nonostante la vittoria, il re, non riuscendo a darsi pace per aver
perso l’amato e valoroso figlio, cadde in una profonda depressione.
Furono fatti numerosi tentativi per
alleviare la pena del sovrano, finché un giorno si presentò a corte un bramino (sacerdote)
che propose al re un gioco di sua invenzione, il chaturanga, una sorta
di primitivo gioco degli scacchi.
Oltre all’aspetto ludico, in realtà lo
scopo del sacerdote era quello di mostrare, attraverso le dinamiche del gioco,
come alcune scelte, seppur dolorose, siano necessarie, caratteristica tipica
anche degli scacchi.
Infatti, dopo la fase iniziale, in cui
i giocatori cercano di occupare la parte centrale della scacchiera, il gioco
procede prevalentemente con mosse che portano a sacrificare i propri pezzi meno
potenti, per poter in cambio impossessarsi di quelli più importanti
dell’avversario.
A parte i successi internazionali, che
attirano un sempre maggior numero di giocatori aspiranti professionisti,
bisogna segnalare come in India gli scacchi siano un passatempo piuttosto
diffuso anche tra la gente comune e nelle strade indiane non è raro notare
gruppi di uomini che seguono con attenzione interessanti partite, magari tra un
pensieroso barbiere e un concentratissimo elettricista.
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