giovedì 10 marzo 2016

Gli scacchi in India

Krishna e Radha mentre giocano al chaturanga
A causa di numerosi fattori, soprattutto climatici, culturali e sociali, l’India non possiede una grande tradizione sportiva.
Il caldo torrido, tipico del subcontinente, non invoglia a praticare faticose ed apparentemente futili attività all’aria aperta; la nota pacificità e tolleranza del pensiero indiano annullano in gran parte la competitività; la purtroppo nota povertà indiana rende, ancora oggi, l’attività sportiva un passatempo quasi elitario.
Gli sport dove l’India produce atleti di livello internazionale sono di solito considerati minori ed è piuttosto noto lo scarso successo indiano ai Giochi Olimpici, considerando l’abbondantissima popolazione del paese.
Tra le poche attività sportive diffuse globalmente in cui l’India è piuttosto competitiva a livello mondiale vi è il gioco degli scacchi, che per le sue caratteristiche non sembra patire delle condizioni tipiche indiane di cui si è appena detto, le quali, al contrario, sembrano quasi adatte.
Fisicamente lo sforzo è minimo, quindi il clima torrido poco incide nella pratica; l’articolata mentalità indiana ha, tra i lati positivi, una notevole propensione all’astrazione, molto utile negli scacchi per creare complesse strategie di gioco; viste le ridotte attrezzature e l’ancor più ridotta necessità di spazio, gli scacchi possono essere praticati pressoché ovunque da chiunque.
Grazie a ciò, l’India può vantare una notevole tradizione scacchistica ed una scuola che ha prodotto uno dei più grandi giocatori moderni, il pluricampione mondiale Vishwanath Anand, e l’altrettanto formidabile Joneru Hampi, da anni stabilmente tra le primissime posizioni del ranking mondiale femminile.
Storicamente, pare che il luogo d’origine stesso degli scacchi, o quantomeno di uno dei suoi precursori, sia proprio il subcontinente indiano.
Secondo la leggenda, un antico re, per vincere una guerra contro un potente vicino regnante, fu costretto a sacrificare il vita del proprio figlio.
Questi fu infatti inviato, al comando di poche truppe, a compiere una temeraria azione diversiva per distrarre il nemico e permettere al grosso dell’esercito del re di attaccare l’avversario di sorpresa.
La mossa si rivelò azzeccata ma il principe morì e, nonostante la vittoria, il re, non riuscendo a darsi pace per aver perso l’amato e valoroso figlio, cadde in una profonda depressione.
Furono fatti numerosi tentativi per alleviare la pena del sovrano, finché un giorno si presentò a corte un bramino (sacerdote) che propose al re un gioco di sua invenzione, il chaturanga, una sorta di primitivo gioco degli scacchi.
Oltre all’aspetto ludico, in realtà lo scopo del sacerdote era quello di mostrare, attraverso le dinamiche del gioco, come alcune scelte, seppur dolorose, siano necessarie, caratteristica tipica anche degli scacchi.
Infatti, dopo la fase iniziale, in cui i giocatori cercano di occupare la parte centrale della scacchiera, il gioco procede prevalentemente con mosse che portano a sacrificare i propri pezzi meno potenti, per poter in cambio impossessarsi di quelli più importanti dell’avversario.
A parte i successi internazionali, che attirano un sempre maggior numero di giocatori aspiranti professionisti, bisogna segnalare come in India gli scacchi siano un passatempo piuttosto diffuso anche tra la gente comune e nelle strade indiane non è raro notare gruppi di uomini che seguono con attenzione interessanti partite, magari tra un pensieroso barbiere e un concentratissimo elettricista.

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