Il maharajà di un piccolo principato
indiano aveva dei problemi a dormire, cosa piuttosto comune visto che i sovrani
hanno così tante preoccupazioni.
La maggior parte dei regnanti, perfino
al giorno d’oggi, quando sono afflitti dall’insonnia, cercano conforto nelle
donne, o nel bere, o in qualche altro divertimento.
Sebbene, molti dei passati sovrani
indiani avessero invece sistemi più sofisticati per trascorrere le loro
nottate in attesa di addormentarsi.
Questo maharajà era un poeta, così
trascorreva le notti insonni passeggiando sul suo terrazzo in cerca di
ispirazione.
Una sera era assorto sulla prima riga
di una poesia che stava scrivendo, proprio sull’argomento del sonno “Shete
sukham kas tu?”, chi è colui che dorme felice? Continuava a ripetere.
All’improvviso, dall’oscurità sotto di
lui, si alzò una voce che rispose “Samadhi nishtah”, colui che è perennemente
in samadhi (volgarmente trance spirituale).
“Molto bene! – pensò il maharajà –
Shete sukham kas tu? Samadhi nishtah. Dorme bene colui la cui coscienza è
sempre connessa con la Coscienza Universale; questo è il vero sonno. Molto
bene! E ora, Ko shatrur iva? Chi è il nemico (del sonno e del samadhi)?”.
Il maharajà quindi iniziò a ripetere
“Ko shatrur iva? Ko shatrur iva?...”, finché la voce che già aveva sentito urlò
“Nijendriyani!”, gli organi dei sensi.
Sono loro infatti i nemici del sonno e
del samadhi.
“Splendido! – esclamò il maharajà – Quindi
ora, Mitrani kani?”, chi sono gli amici?
“Jitendriyani!” (i sensi vinti), rispose
di nuovo la voce, che ancora una volta aveva ragione: non bisogna distruggere i
sensi ma tenerli sotto controllo per usarli al meglio.
Quando il maharajà sentì questa
risposta, si affacciò dal balcone e chiamò la voce misteriosa “Per favore, sii
così gentile da farti vedere, grande poeta!”.
E chi comparve sotto il balcone del maharajà?
Il guardiano notturno.
“Non sapevo della tua grandezza, devi
diventare mio consigliere!”, esclamò il maharajà appena lo vide.
“No, Sua Maestà! – rispose l’umile
guardiano – Vi servivo come guardiano perché non volevo che qualcuno conoscesse
i miei talenti e sarei stato lasciato in pace a pensare ai miei affari. Vi ho
risposto solo perché, come Vostro servo, mi sentivo obbligato ad aiutarVi. Ora
però Vi devo lasciare e cercare un altro posto dove vivere in pace”.
E così fece, nonostante l’insistenza del
maharajà a rimanere.
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