In un piccolo principato indiano, vi
era un suonatore di pakhawaj (un
grande tamburo suonato da entrambi i lati) chiamato Khudav Singh.
Egli era un esperto di pakhawaj poiché,
con la sua musica, pregava la dea Durga.
La sua devozione era tale che, prima
di suonare, egli lanciava il suo strumento in aria, la dea stessa lo colpiva
tre volte, quindi lui lo riprendeva al volo e solo allora iniziava la sua
esecuzione.
La sorella del maharajà, una ragazza
di sedici anni, adorava la sua musica e cercava di ascoltarlo appena se ne
presentava l’occasione, finché col tempo si innamorò dello stesso Khudav Singh.
Il maharajà, molto irritato, le ordinò
di lasciare perdere il musicista e quando lei rifiutò, domandò allora a Khudav
Singh di ripudiare la ragazza.
Egli però rispose “Lei ama e apprezza
la mia arte. Come faccio a mandarla via?”.
Il maharajà allora disse “Molto bene,
visto che hai osato disobbedirmi, sei condannato a morire schiacciato sotto le
zampe di un elefante!”.
Quindi invitò tutti gli abitanti del
principato all’esecuzione, come monito a non comportarsi stupidamente come
Khudav Singh.
L’elefante fu fatto ubriacare fino a
che non divenne completamente furioso, quindi il maharajà chiese a Khudav Singh
se avesse un ultimo desiderio.
Egli rispose “Il mio pakhawaj, mio
compagno di tutta la vita, dovrebbe essere schiacciato insieme a me”.
E gli fu dato il suo strumento.
Mentre l’elefante avanzava inferocito,
Khudav Singh iniziò a suonare il raga Ganesha Paran: quando questo raga viene
suonato propriamente, il dio Ganesha (dalla testa d’elefante) deve presentarsi
al suonatore, non ha scelta, non può scappare.
Questo sistema era un modo per Khudav
Singh di implorare la sua divinità “Per favore Madre Durga, chiama Ganesha,
aiutami!”.
Durga, che in realtà è una
rappresentazione di Parvati e quindi la madre di Ganesha, chiese allora al
figlio di aiutare il suo devoto.
Ganesha acconsentì ed entrò nel corpo
dell’elefante, il quale si sedette placidamente di fronte a Khudav Singh che
suonava il pakhawaj e iniziò ad accarezzargli la testa con la proboscide.
Per più di mezz’ora i soldati
cercarono di istigare l’animale con lance e spunzoni ma egli rifiutò di
attaccare.
Il maharajà capì quindi il proprio
errore e disse “Lasciamo che mia sorella sposi Khudav Singh e liberiamo l’elefante:
ovunque egli andrà quelle terre apparterranno a Khudav Singh”.
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