Veda Vyasa |
Nella complessa mitologia induista, un
posto di rilievo è occupato dalla figura dei rishi, letteralmente saggio, riferita in particolare a sette antichi savi noti per essere i
compositori degli inni vedici, ma nella ricca letteratura sacra indù sono
numerosi i personaggi ai quali viene attribuito questo titolo.
La loro posizione nella scala
gerarchica induista è poco chiara poiché, pur essendo, almeno in origine,
esseri umani, a loro sono ascritti numerosi poteri, tra cui quello supremo di
creare mondi e divinità.
In ogni caso i rishi sono portati come
massimo esempio di elevazione spirituale, addirittura al di sopra delle
divinità stesse e le storie mitologiche che li riguardano sono cariche di
significati metafisici.
Anche il fatto stesso che alcuni di
loro fossero sposati non deve far credere che queste creature, decisamente
superiori, avessero desideri o vizi di sorta.
Infatti un rishi e la propria moglie
si complementano a vicenda: lei si occupa delle faccende mondane, mentre il
marito si prende cura dell’aspetto spirituale di entrambi.
Seppur, come detto, le varie liste dei
nomi dei rishi reperibili nei testi sacri indù tendino a variare leggermente, essi
sono riconosciuti universalmente per qualche loro specifica attività o capacità.
Veda Vyasa, ad esempio, è il rishi al
quale viene ascritta la stesura del poema epico Mahabharata, nonché la
suddivisione dei Veda in quattro parti.
Sua moglie era totalmente devota a lui
e non mise mai in dubbio quello che Vyasa le diceva. Sapeva che lui era il
“Shaktiman” (il potere dell’uomo), colui che dirige e controlla, e sapeva, per
esperienza diretta, che qualunque cosa lui le dicesse di fare sarebbe stata la
cosa giusta.
Di contro Vyasa non ebbe mai motivo di
mettere in dubbio quello che lei faceva, perché sapeva che lei era la perfetta
esecutrice dei suoi ordini.
Chiaramente questo non vuole
significare che le donne non dovrebbero mai mettere in dubbio quello che viene
detto loro dai mariti: nessuna donna dovrebbe seguire ciecamente il proprio
marito se non è sicura che egli non sbaglia mai, ma d’altronde, per la moglie
di un rishi, il discorso è decisamente diverso.
Grazie alla tremenda fede nelle
capacità spirituali del marito, la moglie di Vyasa era in grado di trasportare l’acqua
senza usare recipienti.
Il cibo deve essere nutriente, pieno
di amore ed emozioni, ma l’acqua deve essere leggera, quasi eterea.
La moglie di Vyasa, quando si recava a
prendere l’acqua, semplicemente portava un pezzo di stoffa e la forza della sua
purezza rendeva l’acqua così leggera che le bastava chiuderla nella stoffa e
portarla a casa.
Chiaramente questa non è una capacità
molto comune, vista la quantità enorme di energia necessaria per riuscire
addirittura a mutare le qualità intrinseche degli elementi.
Un giorno, mentre andava al fiume, la
moglie di Vyasa vide una coppia di Gandharva (creature mitologiche, simili ad
angeli, note per le loro capacità artisitche) che giocavano nell’acqua.
Lei li ammirò e pensò “Ah, se solo Dio
volesse che potessimo avere un bambino”.
Questo fu il suo unico pensiero a
riguardo. Non si immaginò di certo di tornare dal marito per fare sesso e
nemmeno invidiò i Gandharva, ma quel piccolo pensiero fu abbastanza per
rovinare la sua concentrazione.
Quando provò a prendere l’acqua nella
stoffa, come faceva di solito, l’acqua filtrava via. Provò ancora ed ancora ma
con lo stesso risultato ed iniziò a sentirsi frustrata.
Visto che comunque doveva portare a
casa l’acqua, alla fine decise di usare un recipiente di terracotta.
Quella sera Vyasa, che aveva passato
tutto il giorno in samadhi (trance spirituale), quando tornò chiese alla
moglie un po’ d’acqua ed appena ne bevve un sorso capì che c’era qualcosa che
non andava perché l’acqua, stranamente, era pesante.
Questo poiché era stata nel recipiente
di terracotta e aveva assorbito alcune qualità della terra di cui il recipiente
era fatto e una delle caratteristiche principali dell’elemento Terra è proprio
la pesantezza.
Molto gentilmente Vyasa fece notare la
cosa alla moglie che gli raccontò tutta la storia.
Dopo l’errore di lei, fu quindi lui a
commetterne uno, in quanto l’accusò di essere pervasa dal desiderio romantico
della carne. Ma lei gli mostrò quanto si stesse sbagliando...
Indignata rispose “L’unica cosa che ho
fatto è stata ammirarli e tu mi accusi di essere caduta nella trappola della
sensualità? Non lo farò mai! E se le mie parole sono vere, la stoffa tornerà di
nuovo a trattenere l’acqua”. Così accadde e Vyasa fu costretto a rimangiarsi le
sue accuse.
Questo è il gioco di Shakti e
Shaktiman: prima lei era in grado di trattenere l’acqua nella stoffa grazie
alla forza delle austerità del marito ma, dopo, fu solo grazie al suo proprio
potere.
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