venerdì 12 febbraio 2016

L'Imperatore Akbar

Jalal-ud-Din Muhammad Akbar (1542-1605), chiamato anche Shahanshah, “Re dei Re”, o Akbar il Grande, fu il terzo imperatore della dinastia mussulmana Moghul che regnò su gran parte del nord dell’India dal 1526, con la fondazione dell’impero da parte di Babur, fino alla morte del sesto discendente Aurangzeb nel 1707.
Dopo Aurangzeb, che fondò il suo regno sulla violenza e la repressione, la dinastia conobbe un lento ma inesorabile declino, l’impero si frammentò in piccoli principati, di cui i Moghul erano a capo solo nominalmente, e furono soppiantati definitivamente dagli inglesi dopo la ribellione indiana del 1857.
Akbar divenne imperatore all’età di 9 anni, con la morte improvvisa del padre Humayum, assunse le redini del potere a 13 anni, nel 1556, e lo mantenne per 49 anni fino alla sua morte, espandendo i domini Moghul su quasi tutto il nord dell’India.
I motivi del successo del suo regno vanno fatti risalire alla notevole versatilità del talentuoso personaggio ed alla sua risaputa tolleranza, grazie alla quale è passato alla storia come un sovrano illuminato e il lungo periodo del suo regno fu, se non proprio pacifico, sicuramente prospero.
Come capo supremo dell’importantissimo esercito, Akbar fu un grande stratega militare, arte che imparò in famiglia, dal padre, dallo zio Askari, col quale trascorse parte della sua impegnata infanzia in Afghanistan, e dal tutore Bairam Khan.
Fu infatti grazie alle eccelse qualità di comandante dell’esercito che Akbar fu in grado di sconfiggere definitivamente la dinastia afghana Suri, che in precedenza, col sovrano Sher Shah Suri, aveva costretto Humayum all’esilio dall’India.
Dopo la morte di Sher Shah Suri, Humayum era riuscito a riconquistare Delhi ma fu Akbar, sconfiggendo definitivamente gli eredi Suri, a porre fine alle ambizioni della dinastia afghana sull’India.
Una volta assicuratosi un vasto territorio attorno alla capitale Delhi e stabiliti i confini occidentali, Akbar iniziò l’opera di espansione dell’impero, dapprima conquistando il Kashmir a nord, il Rajasthan a sud e la pianura gangetica ad est.
Alla sua morte l’Impero Moghul comprendeva anche il Gujarat e il Maharashtra a sud ed arrivava fino al Bengala ad est.
Tra le numerose novità militari introdotte da Akbar, oltre ad un efficiente sistema di suddivisione dell’esercito, vi fu l’ampio utilizzo di elefanti come macchine da guerra; lui stesso ne possedeva circa 5000, mentre il totale di quelli disponibili nell’impero raggiungeva circa le 40000 unità.
Soprattutto pare sia stato il primo a montare dei piccoli cannoni sulla schiena dei pachidermi, raggiungendo il doppio scopo di potenziare oltremodo gli elefanti e rendere mobile l’artiglieria pesante.
L’unico punto debole del potentissimo esercito di Akbar era la marina, principalmente perché gli sbocchi sul mare in Gujarat e in Bengala furono aggiunti all’impero piuttosto tardi.
Per garantirsi una certa libertà di navigazione, soprattutto per fini commerciali e per i pellegrinaggi a La Mecca, Akbar fu quindi costretto a collaborare con i portoghesi, che al tempo controllavano le rotte del Mare Arabico.
Oltre alle capacità militari, Akbar fu infatti un ottimo diplomatico ed amministratore, qualità decisamente importanti per governare un impero così vasto.
Durante il suo regno furono particolarmente numerosi i matrimoni di convenienza tra donne indù delle famiglie degli ex regnanti locali e i più importanti rappresentanti della dinastia Moghul, e sebbene questa fosse una tradizione precedente ad Akbar, con lui divennero veri e propri legami familiari.
Precedentemente le donne indù venivano pressoché offerte ai regnanti mussulmani che le portavano con loro, allontanandole del tutto dalla famiglia d’origine, mentre Akbar tendeva a comprendere queste famiglie nella propria amministrazione, offrendo ai membri vari incarichi, anche di prestigio.
Questo si rivelò un’astutissima mossa dal punto di vista amministrativo, poiché gli ex piccoli regnanti locali conoscevano meglio di lui la situazione economica e sociale, e in molti casi si rivelarono ottimi collaboratori.
Il sistema di divisione dell’impero fu migliorato, come anche l’importante e difficile operazione di raccolta delle tasse, fattore che favorì chiaramente la prosperità economica.
La qualità del carattere di Akbar che più di tutte lo rese un sovrano diverso, per certi aspetti veramente illuminato, fu una notevole tolleranza, accompagnata dall’abitudine ad ascoltare le idee degli altri.
Sebbene queste qualità per l’uomo comune non siano altro che la base di un sereno e pacifico vivere in società, sono decisamente rare in regnanti e sovrani; gli stessi politici moderni, in troppi casi, ne sembrano completamente sprovvisti.
In particolare Akbar si rivelò estremamente tollerante in campo religioso, cosa che lo distinse da tutti gli altri sovrani mussulmani Moghul, esclusi parzialmente il figlio Jehangir e il nipote Shah Jahan che lo succedettero al trono.
Se molti altri imperatori della dinastia, Babur e Aurangzeb su tutti, si resero famosi per la sistematica ed accanita distruzione di templi indù, Akbar, al contrario, è noto per aver spesso sovvenzionato la ristrutturazione di quelli demoliti o la costruzione di nuovi.
Egli stesso fu un appassionato ricercatore spirituale ed è risaputo come uno dei suoi passatempi serali preferiti fosse discutere con i rappresentanti di tutte le religioni presenti nel suo vasto impero: mussulmani, indù, jaina, buddisti, zoroastriani e cristiani
Dopo lungo filosofeggiare ed aver realizzato che le religioni hanno la brutta tendenza a dividere, piuttosto che ad unire, Akbar decise di creare un proprio movimento religioso chiamato Din-i-Ilahi, la Fede Divina, il cui scopo era quello di promuovere il sincretismo religioso, utilizzando principi assimilati da varie fedi.
Più che una religione fu un sistema etico basato su pietà, prudenza, astinenza e bontà, qualità morali che in quel periodo di continue guerre erano evidentemente molto rare.
Il movimento comunque, pur rappresentando un interessante e originale esperimento, non ebbe molto successo e pare che storicamente contò solo 19 seguaci, tutti parenti e stretti collaboratori di Akbar.
Sebbene egli fu per tutta la vita analfabeta, Akbar fu un generoso mecenate di scienze ed arti che favorì apertamente ed aiutò quindi a sviluppare.
Akbar stesso viene considerato dagli storici un artista ed artigiano, oltre che teologo, generale, guerriero, armaiolo, fabbro ferraio, carpentiere, inventore, merlettaio, allenatore di animali e botanico.
Artisticamente si interessò a promuovere la scuola Moghul, sia in pittura che in architettura, e anche grazie ai suoi sforzi, qualche anno più tardi questi raggiungeranno il loro apice sotto l’imperatore Shah Jahan, il creatore del Taj Mahal, nipote abiatico di Akbar.
Dal punto di vista zoologico-botanico, Akbar, oltre ai già citati elefanti, allevava personalmente centinaia di ghepardi che utilizzava per la caccia, suo passatempo preferito, nonché creò, insieme al figlio Jehangir, delle ottime cultivar di quello che considerava il Re dei frutti, il mango.
Bisogna anche segnalare che Akbar, come ogni persona di successo, era molto abile nel riconoscere i talenti altrui e si circondò dei più dotati personaggi del suo tempo.
Prima di tutto fu fortunato nell’essere stato allevato da un custode eccelso, Bairam Khan, il consigliere personale del padre Humayum, il quale, all’improvvisa morte del genitore, prese Akbar sotto la sua protezione, lo aiutò a salire al trono e lo istruì saggiamente sulle intricate relazioni diplomatiche interne ed estere.
Nonostante il forte legame tra i due, a causa di un violento litigio a corte, Akbar nel 1560 licenziò Bairam Khan ordinandogli di andare in pellegrinaggio a La Mecca.
Bairam Khan fu invece convinto dagli oppositori dell’imperatore a ribellarsi e si mise a capo di un esercito che però fu agilmente sconfitto da Akbar.
Nonostante il tradimento, Akbar, ancora riconoscente dell’aiuto ricevuto in gioventù, perdonò Bairam Khan, offrendogli di tornare a corte o continuare il suo pellegrinaggio a La Mecca; Bairam Khan scelse la seconda opzione.
Secondo una delle varie leggende più o meno fondate storicamente, alla corte di Akbar erano presenti nove personaggi, chiamati Navratna, cioè Nove Pietre Preziose, che rappresentavano l’eccellenza nei loro relativi campi.
Birbal, che spesso troviamo brillante protagonista di alcune interessanti storie (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/search/label/Storie%20su%20Akbar), fu il suo sagace consigliere personale e fidato generale.
Il loro rapporto d’amicizia fu strettissimo e quando Birbal morì, durante una campagna per sedare delle tribù rivoltose in Afghanistan, Akbar pianse la sua morte per lungo tempo.
Un altro intelligente consigliere di Akbar fu Mullah Do Pyaza, sebbene, in una storiella che abbiamo pubblicato in passato, non faccia proprio una bella figura (http://informazioniindiaenepal.blogspot.com/2016/02/akbar-birbal-e-mullah-do-pyaza.html).
In realtà la storicità di Mullah Do Pyaza è dubbia e le notizie su di lui sono prese in gran parte da un opuscoletto goliardico sulla sua vita e i suoi scherzi, pubblicato a fine ‘800.
Il nome Do Pyaza, che in hindi significa “due cipolle”, deriva dal fatto che un giorno il Mullah, per sbadataggine, aggiunse due volte le cipolle in una pietanza.
Da questo episodio semi-leggendario successivamente si sviluppò un tipico curry, il do pyaza, di carne o verdure, noto per l’abbondante utilizzo della cipolla, sia nel soffritto che successivamente insieme agli altri ingredienti.
Figura storica riconosciuta è quella di Raja Man Singh, il Maharajà di Amber, allora potente principato, il quale si sottomise all’Imperatore Akbar e divenne uno dei suoi comandanti militari di maggior successo.
Altro componente dei Nove Gioielli della corte di Akbar documentato storicamente è Raja Todar Mall, dapprima entrato nelle grazie dell’imperatore per le sue qualità di condottiero militare, ma successivamente elevato a Ministro delle Finanze, incarico che eseguì con particolare successo.
Tra le curiosità, Raja Todar Mall fu responsabile della ristrutturazione del Kashi Vishwanath Mandir a Varanasi, uno dei templi di Shiva più importanti.
Da grande appassionato di musica e poesia, Akbar si circondò dei migliori musicisti e poeti, le cui fonti storiche sono piuttosto attendibili.
Myan Tansen è noto per essere stato un eccellente compositore e cantante, oltre che per aver contribuito in molti modi allo sviluppo della musica classica industani: compose numerosi raga, sviluppò nuovi strumenti e perfezionò il genere vocale del dhrupad.
Ben due poeti facevano parte della squadra d’eccellenza di Akbar: Abdul Rahim e Faizi.
Abdul Rahim era figlio di Bairam Khan, il custode di gioventù di Akbar, e quando successivamente la moglie di Bairam Khan divenne la seconda moglie di Akbar, Rahim divenne di fatto suo figliastro.
Rahim è noto per la sua devozione a Krishna, nonostante fosse mussulmano, e la sua sagacia, che esprimeva nelle doha, una metrica tipica di quel periodo, composta da due soli versi.
Anche Faizi, sebbene mussulmano, aveva una visione religiosa panteista, espressa molto chiaramente nelle sue numerose opere in lingua farsi (persiano).
Fu anche il primo a tradurre un importante manuale sanscrito sullo yoga, lo Yoga Vashisht, in tale lingua.
Il fratello minore di Faizi, Abul Fazl, fu invece lo storico di Akbar ed è noto per aver scritto l’Akbarnama, la storia ufficiale, in tre volumi, del regno di Akbar.
L’ottimo pedigree dei due fratelli può essere fatto risalire al padre, Shaikh Mubarak, il quale pare fosse uno studioso di filosofia islamica e greca.
L’ultimo gioiello alla corte di Akbar, la cui figura storica è piuttosto dubbia, fu il fachiro Aziao-Din, che ovviamente era il consigliere personale dell’imperatore per quanto riguardava le materie religiose e spirituali.
Tra i pochi insuccessi di Akbar bisogna segnalare la costruzione di una nuova capitale, la famosa Fatehpur Sikri, nei pressi di Agra, costruita con enormi sforzi e presto abbandonata per vari motivi, tra cui la carenza d’acqua e la scarsa difendibilità, visto che fu creata seguendo esigenze artistiche piuttosto che militari.

In realtà, date le enormi risorse finanziarie dell’impero, il fallimento di questo progetto non creò nessun particolare problema economico e nonostante gran parte della città sia oggi in rovina, da quello che è rimasto si può notare come lo scopo artistico di Akbar fu sicuramente raggiunto.

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