Gli abiti femminili tipici indiani
sono due: il famoso sari e il meno
noto, ma oggigiorno più diffuso, salwar-kameez.
Il sari è composto semplicemente da un
lungo drappo di tessuto di circa 1 metro per 6 che viene arrotolato intorno al
corpo. Circa un metro e mezzo di un’estremità, chiamato anchal in hindi, possiede di solito un design differente dal resto
del tessuto e rappresenta la parte finale del sari che di solito serve a
coprire la testa.
Data la semplicità del capo in sé, i
punti di forza del sari sono quindi i materiali, i colori e i disegni del
tessuto, e la maestria con la quale viene piegato.
Il materiale più diffuso probabilmente
è il cotone, ma sono molto comuni anche mix cotone-sintetico, più resistenti e
facili da lavare; per le occasioni speciali la seta è sicuramente il materiale
più adatto.
Grazie a numerosissime variazioni
regionali, colori e disegni sono pressoché infiniti, mentre le tecniche per
indossarlo pare siano circa un’ottantina.
Molti sistemi di piegatura del sari hanno
come scopo la praticità, cercando di lasciare più libertà di movimento
possibile, visto che le donne indiane devono quotidianamente compiere i più
disparati lavori.
Altri sistemi hanno scopi prettamente
estetici e vengono utilizzati per le occasioni formali. Molto diffusa è una
tecnica considerata da cerimonia che prevede di sorreggere l’anchal con un
braccio, lasciando quindi libera una sola mano.
L’unico accessorio di accompagnamento
al sari è il choli, un corpetto a
mezze maniche che copre la parte superiore del busto, lasciando in vista
l’ombelico, e molto scollato sulla schiena.
Il colore del choli è intonato a
quello del sari e spesso nelle confezioni di sari in vendita viene inserito un
pezzo di tessuto extra proprio per confezionare un choli.
Il salwar-kameez invece è la versione
femminile del kurta-pajama indossato dagli uomini,.
Le differenze tra i due completi sono
molto sottili e al di fuori dell’India il termine salwar-kameez viene
utilizzato anche per i capi indossati dagli uomini (in Pakistan è l’abito nazionale
maschile).
La kameez da donna, lunga camicia
senza colletto che scende fino alle ginocchia, è pressoché identica alla kurta da
uomo, tanto che oggigiorno i due termini sono diventati sinonimi e kurta viene
usato anche per gli abiti femminili.
I salwar, rispetto ai classici pajama,
sono leggermente stretti in fondo e più voluminosi sulle gambe, secondo uno
stile chiamato Patiala salwar, dal nome della città del Punjab dove pare sia
nato questo stile.
Ma forse i pantaloni più diffusi sono
i Churidar pajama rajasthani, quasi attillati e stringenti verso il basso.
Per la stagione fredda gli abiti
femminili indiani non prevedono nessun sistema tradizionale se non quello di vestire
dei maglioncini tipo cardigan che, seppur con risultati estetici poco eleganti,
possono essere indossati sia sopra il sari che il salwar-kameez.
Altro metodo molto diffuso in India
per proteggersi dal freddo è quello di avvolgersi in un grande scialle o una
coperta, sistema usato abbondantemente sia da donne che uomini.
In questo caso il risultato estetico,
simile a un “nobile” mantello, non è disprezzabile, anche se chiaramente
dipende dalla qualità di scialle o coperta: semplici teli monocolore utilizzati
quotidianamente hanno il solo scopo di cercare di proteggere dal freddo, mentre
più elaborati design (magari ispirati a disegni tipici regionali) sono usati
per occasioni formali. Non è raro, ad esempio, l’utilizzo di questo sistema da
parte di professori universitari, che talvolta si presentano in classe avvolti
in “eleganti” coperte di kashmeer.
Quello che manca a questo sistema di
difendersi dal freddo è invece la praticità, visto che una coperta buttata
sulle spalle viene facilmente spostata dal vento ed è normale aggiustarsi
continuamente i bordi per cercare di coprirsi il più possibile.
Infine, non esistono copricapo tipici
femminili in quanto l’anchal del sari ha di per sé questa funzione, come anche
la dupatta indossata in combinazione con il salwar-kameez.
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