Namdev fu un poeta e santo vissuto in
Maharashtra e Punjab intorno al XIII secolo ed è una figura storica accertata,
la seguente storia invece è probabilmente apocrifa.
Namdev era un grande devoto del dio
Vishnu, nella sua forma di Vitthala (Colui che sta sul mattone), e grazie alla
sua devozione aveva ottenuto il raro privilegio che Vitthala andasse ogni
giorno a mangiare da lui.
Per questo Namdev pensava di essere
diventato qualcuno, finché non accadde un episodio che gli insegnò la retta via.
Un giorno vi fu un raduno di tutti i
più grandi santi del Maharashtra, al quale furono invitati, tra gli altri,
Tukaram, Jnaneshvara e Gora Kumbhar, il santo vasaio.
Quando tutti si furono seduti,
Muktabai, la sorella di Jnanesvara, disse “Gora, perché non usi il tuo bastone
e metti alla prova tutti noi per vedere se siamo fatti bene?”, riferendosi al
bastone che il vasaio usa per determinare se i vasi sono cotti a dovere oppure
no.
Gora Kumbhar sorrise e cominciò a
provare.
Alla fine disse che tutti avevano
superato la prova, tranne Namdev, del quale disse “Costui dovrà ritornare nel
forno ancora per qualche tempo”.
Naturalmente Namdev si irritò, perché
si considerava il più grande devoto di Dio e andò a casa a lamentarsi con
Vitthala.
Questi gli disse “Gora aveva ragione,
Namdev, e se non credi a lui, ti metterò alla prova anch’io. Oggi, prima di
notte, verrò da te e dovrai riconoscermi, altrimenti fallirai”.
La sera, mentre passeggiava fuori,
Namdev vide un chandala (un “fuoricasta” che vive cercando tra i rifiuti)
e sua moglie, che cucinavano il loro pasto serale.
Sentendosi stanco, si sedette a
riposare lì vicino, da un punto dove poteva vedere cosa stesse succedendo.
Il chandala urlò a sua moglie “La
pentola non è piena. Taglia a pezzi i polli e mettili dentro”.
Nei pressi vi erano venticinque polli
che in realtà rappresentavano i 25 tattva
(i principi essenziali dell’universo), ma Namdev non lo capì e pensò solo “Quanta
violenza! Comunque sia fatta la volontà di Dio”.
Dopo un po’ il chandala disse alla
moglie “La pentola non è ancora piena. Taglia i cani e mettili dentro”.
Vi erano quattro cani, che
rappresentavano i Veda, ma Namdev non riuscì a realizzarlo e pensò “Alla fine i
chandala dovranno sopportare il peso dei loro karma”.
Quello che Vishnu-Vitthala stava
cercando di insegnare a Namdev era che quando tutti i tattva e i Veda sono
stati uccisi, macellati e cucinati, rimane soltanto la Reltà, Assoluta e
Indifferenziata.
Questa era l’ultima lezione che Namdev
doveva imparare: aveva avuto successo nell’adorazione di Vitthala, ma quella
adorazione era limitata dalla dualità e ora doveva andare oltre alla dualità.
Tuttavia, a causa del gioco di Vishnu,
in quel momento non realizzò niente di tutto questo.
Ad un tratto il chandala disse a sua
moglie “La pentola non è ancora piena. Facciamo a pezzi quell’uomo laggiù e
mettiamolo dentro!”.
Namdev scattò in piedi e
dimenticandosi di Dio e di tutto il resto, si mise a correre per salvarsi.
Vishnu-Vitthala, in verità, voleva
iniziarlo alla Realtà Indifferenziata attraverso l’uccisione, la macellazione e
la cottura: Sadguru, Karnaguru e Upaguru.
Sadguru è il Maestro che uccide
l’aspirante, separandolo dalla sua esistenza mondana; il Karnaguru scortica la
carcassa, cioè l’ego, in modo che tutte le aggiunte di innumerevoli nascite e
la falsa personalità sono tagliate a pezzettini; l’Upaguru, infine, cucina
l’ego nel fuoco della shakti (energia) e il risultato è un piatto
delizioso: un essere illuminato.
Questo era quello che Vishnu voleva
fare a Namdev, ma lui non era ancora pronto.
Dopo essere scappato dai chandala,
Namdev giunse nel vicino villaggio, dove scorse un tempio di Shiva e decise di
entrarvi per riposare.
Dentro vi trovò un vecchio sdraiato
con i piedi appoggiati sopra allo Shiva-lingam (simbolo fallico del dio).
Namdev gli disse in maniera molto solenne
“Non sai, buon uomo, che stai profanando la santità di questo tempio?”.
Il vecchio lo guardò e disse “Figlio
mio, sono molto anziano e malato, non posso muovere le gambe. Mi aiuteresti
così che possa evitare di far arrabbiare Shiva?”.
Dapprima Namdev provò repulsione,
perché si sarebbe dovuto sporcare toccando i piedi del vecchio, ma alla fine
vinse il suo ribrezzo, sollevò i piedi oltraggiosi e li pose giù a breve
distanza.
“Nam – disse il vecchio – sento che vi
è ancora qualcosa sotto i miei piedi, vorresti vedere cos’è?”.
Il vecchio lo chiamò “Nam” e non
Namdev, che letteralmente significa “nome (nam) di Dio (dev)”, perché stava
insinuando che Namdev non aveva ancora raggiunto quello stato, ma era ancora
soltanto un nome comune. Essere chiamato “Nam”, infatti, irritò Namdev, che
però non realizzò che il vecchio non poteva sapere il suo nome.
Contro voglia, Namdev sollevò di nuovo
le gambe del vecchio e vide un altro Shiva-lingam. Le spostò di nuovo, ma un
altro Shiva-lingam spuntò dove i piedi toccarono il terreno.
“Nam, dimmi dove non sta il Signore
Shiva e là metterò i piedi”.
Finalmente Namdev capì che quel
vecchio era qualcosa di più di quello che vedevano i suoi occhi, abbracciò i suoi
piedi e lo prese come guru.
Il vecchio, il cui vero nome era
Vishoba Kechar, insegnò a Namdev che malgrado avesse conosciuto un aspetto di
Dio, doveva ancora apprendere la Sua universalità.
Quando Namdev ebbe imparato la
lezione, Vishoba Kechar lo mandò ad una nuova assemblea di santi, Gora Kumbhar
lo batté con il suo bastone e disse “Ora anche questo è pronto!”.
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