Il presente post riguarda l’abbigliamento
tradizionale indiano da uomo che, nonostante il progressivo avanzare della moda
occidentale, viene ancora ampiamente utilizzato.
Tralasciando i capi regionali che,
data la multiforme cultura indiana, sono numerosissimi, ci dedicheremo agli
abiti indossati più comunemente in gran parte del paese.
Partendo dall’abbigliamento maschile,
il completo indiano tradizionale più diffuso al giorno d’oggi è sicuramente il kurta-pajama, un abito composto da una
lunga camicia senza colletto, o alla coreana, che scende fino alle ginocchia
(kurta), e da ampi pantaloni a tubo tenuti con un laccio (pajama).
Indubbiamente due capi molto comodi
per il torrido clima indiano.
La kurta infatti, data la lunghezza,
nel bordo inferiore possiede due aperture laterali lunghe 15-20 centimetri in
modo da far passare un po’ d’aria e non creare inconvenienti nel camminare,
mentre le maniche, sempre lunghe, sono generalmente a tubo e senza polsini,
consentendo quindi all’aria di filtrare anche attraverso di esse.
Il colletto è chiuso con una fila di 3
o 4 bottoni, quindi si può anche aprire leggermente.
Tra le variazioni regionali, bisogna
segnalare l’elegante versione con il colletto e le maniche con polsini come le
camice occidentali, chiamata Pathan Kurta, utilizzata prevalentemente dai
mussulmani.
Il pajama invece può presentare come
variazione al modello classico a tubo, uno a stringere verso il fondo, detto
Churidar Pajama, usato prevalentemente in Rajasthan e dalle donne.
Il materiale più comune è il cotone,
ma si trovano anche kurta-pajama confezionati con economici materiali sintetici
per la vita di tutti i giorni, o preziosa seta per le occasioni speciali.
Come accessorio al kurta-pajama si può
combinare una sciarpa da portare sulle spalle: se di buona fattura ha in genere
funzione di abbellimento e viene chiamata dupatta
(che al femminile è invece usata quotidianamente sul completo salwar-kameez), mentre di semplice cotone
serve a detergere il sudore.
Nel nord dell’India questa specie di
sciarpa-asciugamani viene chiamata gamcha
e viene spesso utilizzata anche come costume per lavarsi nei fiumi, o
arrotolata sulla testa, a mo’ di turbante, per coprirsi dagli impietosi raggi
di sole.
Tra i numerosi usi che si possono fare
di questa semplice striscia di cotone, la voce inglese di wikipedia segnala
addirittura la possibilità di farne uno scaccia-animali (in India più utile di
quanto possa sembrare), semplicemente legando una grossa pietra ad un’estremità
della sciarpa per usarla come una bolas.
I colori più diffusi sono il bianco,
per quanto riguarda quelli a tinta unica, oppure arancione e blu per quelli con
piccole quadrettature.
Nelle brevissime stagioni di mezzo
indiane, al kurta-pajama si abbinano molto bene anche dei gilet senza maniche,
in particolare sui kurta-pajama bianchi è molto diffuso il gilet nero, creando
un completo semplice ma formale, spesso utilizzato anche da politici.
Per l’inverno, che in India comunque
non è né lungo né rigido, si possono indossare kurta-pajama di materiali più
pesanti, come il khadi e la lana, e
sostituire il gilet con una più pesante Nehru
Jacket.
Il khadi è un tessuto tipico indiano,
quasi sempre di cotone, filato a mano su un filatoio chiamato charka, che produce un tessuto
leggermente grezzo ma anche molto resistente e versatile.
L’importanza del khadi è anche storica
visto che il suo utilizzo fu incoraggiato da Gandhi come mossa politico-economica
per favorire lo sviluppo domestico, invece di importare prodotti filati industrialmente
in Inghilterra.
La Nehru Jacket è una giacca con il
colletto alla coreana e chiusa da una lunga fila di bottoni.
Nonostante il nome, fu raramente
indossata dal primo Primo Ministro Indiano Nehru, il quale invece faceva maggior
uso di achkan e sherwani (dalle quali si è successivamente evoluta la Nehru
Jacket), due giacche tradizionali molto simili, tipiche del sub-continente
indiano, che rispetto alla Nehru Jacket sono lunghe fino alle ginocchia ed hanno
un taglio più asiatico, mentre la Nehru Jacket ricorda molto le giacche da uomo
occidentali (escluso chiaramente il tipico colletto alla coreana).
Esistono anche versioni senza maniche
della Nehru Jacket, che ricordano molto dei pesanti gilet.
Ovviamente entrambi i componenti della
combinazione kurta-pajama possono essere abbinati ad altri vestiti.
Sopra al pajama al posto della kurta, si
può indossare una comune camicia occidentale o semplici magliette, mentre sotto
alla kurta si possono abbinare sia capi occidentali, come pantaloni con taglio classico
o jeans, sia capi tradizionali, quali il dhoti
e il lunghi.
Il dhoti è composto semplicemente da
un lungo drappo di cotone bianco, di circa 1 metro per 4, che viene arrotolato
intorno alla vita in maniera alquanto complessa.
Nonostante la scarsa praticità e la
dubbia eleganza, viene considerato un capo piuttosto formale, utilizzato in
particolare in ambiti religiosi indù, ma talvolta, specialmente nel sud del
paese dove l’uso del dhoti è maggiore, anche per occasioni ufficiali: noto è
l’ampio utilizzo da parte del famoso politico P. Chidambaran, attualmente
Ministro delle Finanze.
Il lunghi (noto nel sud-est asiatico
con il nome di sarong) può essere
considerato la versione popolare del dhoti, essendo anch’esso un semplice telo ma
con misure decisamente inferiori (circa 1 metro per 2) e quindi più pratico da indossare.
Nel nord dell’India il lunghi viene
considerato un capo molto informale (tipico, ad esempio, dei guidatori di
ciclorisciò) e non adatto a molte occasioni (scuole e uffici), mentre al sud il
suo utilizzo è maggiore e quindi più tollerato.
Rispetto al dhoti, che é sempre di
cotone e quasi sempre bianco o al massimo azzurro chiaro, il lunghi prevede
alcune variazioni sui materiali (molti sono un mix di cotone e sintetico), ma
soprattutto nei colori; in particolare vengono utilizzate quadrettature di
varie dimensioni sulle quali sono possibili infinite combinazioni.
Quelli a tinta unita sono invece
abbelliti da ricami che occupano i bordi più lunghi e servono anche per evitare
che il tessuto si sfili.
Venendo alle calzature, l’unica
annotazione di rilievo è l’ampio utilizzo di sandali e ciabatte, soprattutto
infradito, che in base a materiali e stili possono anche essere considerati
molto formali, visto che, dato il clima torrido del subcontinente, avere i
piedi scoperti non è deplorevole.
Giungendo infine ai copricapo,
escludendo sempre quelli regionali, il cappello indiano più diffuso è
sicuramente il Gandhi Cap, dall’ampio
utilizzo che ne fece il padre della nazione indiana.
Molto simile alla “bustina” militare e
confezionato quasi sempre con khadi bianco, il Gandhi Cap è diventato il
copricapo simbolo della lotta per l’indipendenza e venne quindi utilizzato da
gran parte dei più importanti politici di quel periodo.
Anche il Primo Ministro Nehru era
solito indossare il Gandhi Cap che quindi col tempo divenne un segno distintivo
del partito del Congresso.
Oggigiorno viene ancora indossato per
scopi politici da parte dei numerosi gandhiani, i quali, in linea con gli
insegnamenti del loro ispiratore, non perdono occasione per mostrare la loro
passione a protestare.
Nonostante questo, il Gandi Cap viene
ancora utilizzato dagli anziani nelle campagne, senza nessun significato
politico, come accessorio formale e cappello da festività.
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